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Informazione Corretta Rassegna Stampa
12.02.2012 Una Questione di Sovranità
Analisi di Mordechai Kedar

Testata: Informazione Corretta
Data: 12 febbraio 2012
Pagina: 1
Autore: Mordechai Kedar
Titolo: «Una Questione di Sovranità»

Una Questione di Sovranità
Analisi di Mordechai Kedar

(Traduzione dall'ebraico di Sally Zahav, a cura di Yehudit Weisz)


Mordechai Kedar

 Per generazioni, i paesi del Medio Oriente sono stati oggetto di interesse da parte dei paesi occidentali, tra i quali Europa, USA e Canada. Il colonialismo, che nei secoli scorsi portò alla conquista,controllo e sfruttamento delle risorse naturali, durante il XX°secolo mutò le proprie caratteristiche. Prevalse l’egemonia politica, tramite il controllo della sicurezza dello stato e attraverso il sostegno di collaboratori corrotti legati economicamente.

Negli ultimi venti anni si è sviluppata una nuova forma di influenza occidentale sui paesi del Medio Oriente: quella delle ONG finanziate con fondi occidentali. Nel mondo arabo sono attive migliaia di queste organizzazioni, e in gran parte agiscono con il consenso del governo dal momento che esse non pesano sulle finanze dello Stato e in più aiutano la società ad adottare e realizzare riforme moderne e razionali, quali la democrazia e il ruolo della legge, e collaborando a mettere ai margini le tradizioni locali, quali il tribalismo e il culto per spiriti maligni. Ci sono poi organizzazioni che si occupano della sanità attravero centri che offrono alla popolazione assistenza medica.

Altro importante tema che impegna molte ONG è la condizione femminile: molte si propongono di dare un’istruzione alle donne in materie che vanno dalla matematica al come diventare imprenditrici di nuove imprese. Altre fondano ospedali per la medicina delle donne, altre ancora insegnano lavori manuali. Le volontarie occidentali che lavorano in queste organizzazioni sono motivate dall’impegno personale e spesso vivono in condizioni precarie, sacrificando anche la vita, nel momento in cui vengono attaccate dalla popolazione locale che non accetta la loro presenza attiva.

Talvolta il governo locale contrasta queste organizzazioni, soprattutto quando non ne condividono gli scopi o incoraggiano attività che non entrano nell’ottica delle autorità al potere. E’ quanto accade oggi in Egitto, dove è stato limitato il numero di ONG che svolgono un ruolo importante per la transizione e la costruzione della democrazia, e dove 19 volontari americani -insieme a operatori egiziani- stanno per essere processati per la loro attività.

 Il caso ha inasprito i rapporti tra Egitto e USA. L’accusa del governo egiziano è di mancata autorizzazione a operare, ma tutti sanno che questa accusa è solo una foglia di fico che nasconde la verità: il governo egiziano non vuole stranieri che interferiscano con la sua politica o educhino la popolazione in modo diverso dalla propria ideologia. Inoltre c’è il problema dell’orgoglio nazionale che in Egitto si è accentuato e sviluppato particolarmente nell’ultimo anno dopo il successo delle manifestazioni che, sotto gli auspici del governo americano, ha rovesciato il potere del dittatore che per anni li aveva umiliati e offesi.

La sensazione predominante in Egitto, dopo la cacciata di Mubarak un anno fa, è quella di un grande orgoglio ritrovato dopo essere riusciti a destituire la “sfinge”che li aveva oppressi, torturati e privati dei loro diritti e del loro onore. Sono riusciti a riconquistarli con il sacrificio di molte vite, il successo della cacciata ha creato un clima di successo, la sensazione di poter gridare ”Yes, we can!”. Questo sentimento li ha di nuovo riportati nelle strade e nelle piazze per protestare contro la continuazione del potere del Consilio Supremo Militare; da allora questi ragazzi in piazza Tahrir si sono sacrificati per mandare a casa i vecchi leader, in modo da permettere ai giovani ufficiali di prendere in mano la situazione.

D’altra parte il Consilio Supremo Militare al governo, sotto la guida del generale Tantawi, non accetta l’eccessiva libertà che il popolo egiziano si è conquistato e vede nelle ONG straniere un ostacolo, perché sospetta che esse si intromettano negli affari interni del Paese, incoraggiando i giovani egiziani a organizzarsi, fino a diventare più attivi in azioni che contrastano la nuova dittatura militare che si è imposta in Egitto negli ultimi sei mesi. In questa situazione, sono nove le organizzazioni coinvolte, di cui quattro egiziane, quattro americane e una tedesca. Le 43 persone che sono state denunciate - e che a breve subiranno un processo per aver accettato fondi stranieri illegali - sono: 16 egiziane, 19 americane, 5 serbi e 3 tedeschi. Sono stati inoltre accusati di aver raccolto informazioni per gli USA, e per aver chiesto aiuti per candidati egiziani e partiti “al servizio di interessi stranieri”. Ma, soprattutto, la “colpa”di queste organizzazioni è aver sostenuto la laicità egiziana e i giovani liberali, e i partiti che li rappresentavano, sconfitti alle elezioni.

L’organizzazione americana “Freedom House” ha ammesso di aver inviato in Egitto delle persone per sostenere la stampa egiziana ad adottare una linea indipendente. Altre ONG avevano il compito di diffondere le idee per una società civile e promuovere elezioni libere e democratiche. Malgrado ciò, i portavoce delle ONG americane sostengono con forza di aver osservato le leggi egiziane e di avere sempre operato alla luce del sole.

Le ONG egiziane sotto inchiesta, “L’Istituto Nazionale Democratico” e “L’Istituto Internazionale Repubblicano”, sono ritenute da molti al centro di una lotta di potere tra il Consiglio Supremo Militare e i Fratelli Musulmani, una lotta in cui i militari cercano di dimostrare ai “Fratelli” la propria forza nel non cedere neppure alla grande e potente America, che fornisce all’Egitto denaro e prodotti alimentari che sono essenziali in questo momento.

 La decisione egiziana di chiudere le ONG e processarne i volontari, ha creato una grande tensione nei rapporti tra Egitto e USA. Washington (il Presidente Obama, i membri del suo staff e membri del Congresso) cerca di far pressioni sul governo egiziano per impedire che si arrivi a un processo, chiedendo la liberazione immediata dei 19 volontari americani. Inoltre Washington minaccia di interrompere la fornitura all’Egitto di aiuti militari e civili, cosa che porterebbe la popolazione a una grave carestia.

La domanda è cosa induce il governo egiziano - militare e civile - a entrare in conflitto con gli Stati Uniti ?. Vi sono numerose risposte, la più importante è la volontà del regime egiziano di trovare un colpevole del fatto che la rivoluzione non ha ottenuto i risultati che si proponeva. L’economia sta collassando, il turismo è finito, la povertà è in aumento, la disoccupazione si sta diffondendo, le casse dello Stato sono vuote, l’esercito continua a governare con crudeltà, rigore e senza alcuna umanità. Ci sono inoltre ancora alcuni fedeli di Mubaraq al potere.

 Una situazione come questa crea un forte desiderio di trovare un capro espiatorio da accusare per quanto sta avvenendo. Israele non può essere il capro espiatorio adatto, perché significherebbe che un 'piccolo e spregevole' paese come l’ “Entità Sionista” sarebbe riuscito a distruggere la rivoluzione egiziana. Perciò bisogna pensare che il colpevole della rivoluzione fallita sia un grande Paese e quale sarebbe più grande e potente degli Stati Uniti?

Avevamo già visto qualcosa di simile nel 1967, all’inizio della Guerra dei Sei Giorni, nel momento in cui Abd al-Nasser, Presidente dell’Egitto, e Hussein, Re di Giordania, resisi conto che un attacco della Forza Aerea israeliana aveva totalmente distrutto le loro basi aeree, durante una conversazione telefonica discussero sulla possibilità di accusare gli Stati Uniti di averli bombardati, questo perché, se si fosse saputo che era stato Israele, sarebbe stata troppo grande l’umiliazione. Un piccolo Paese ( se pensiamo alla superficie di Israele prima del 1967) era riuscito in un solo giorno a distruggere totalmente la loro Flotta Aerea. Quella telefonata era stata registrata dall’Intelligence israeliana e, dopo che le stazioni radio arabe avevano dato la notizia che gli Americani avevano attaccato le basi delle Forze Aeree arabe, Israele trasmise la registrazione della discussione tra Nasser e Hussein attraverso “la Voce di Israele in arabo”. La trasmissione di questo inganno causò ai due leaders una pesante umiliazione, dal momento che furono colti in flagrante come due bugiardi mentre concordavano la loro frode.

Per i religiosi egiziani musulmani, sono la grande maggioranza in Egitto, è facile accusare gli Stati Uniti di complottare, dato che partono dal presupposto ben radicato che gli Stati Uniti odiano l’Islam e farebbero qualsiasi cosa per indebolire la nuova maggioranza islamica nel Parlamento egiziano e restituire poi la Terra del Nilo a coloro che sono guidati da principi laici e liberali. Le ONG che diffondono idee estranee all’Islam come la democrazia e che sono sostenute finanziariamente dagli Stati Uniti, rappresentano il capro espiatorio ideale per gli Egiziani religiosi frustrati per la rivoluzione fallita.

Oltre a cercare chi incolpare per il fallimento della rivoluzione, ci potrebbe anche essere il fatto che nelle investigazioni sugli americani in Egitto, ci sia anche un forte spirito di vendetta contro gli Stati Uniti per aver sostenuto Mubaraq e la sua crudele dittatura per anni. Inoltre - va tenuto conto del contesto - in Egitto l’uomo della strada si rende conto che molti leader non hanno problemi a fare severe accuse agli Stati Uniti: come fa Chavez, Presidente del Venezuela, come fa Ahmadinejad, il Presidente iraniano e persino il Primo Ministro d’Israele, che 'osa' costruire appartamenti a Gerusalemme contro le forti obiezioni della Casa Bianca.

Il fatto che il governo egiziano, malgrado le difficoltà in cui si trova, senta di potersi ora opporre agli Stati Uniti, deriva dalla debolezza internazionale che affligge la più grande superpotenza al mondo. Malgrado le minacce da parte americana di ridurre gli aiuti all’Egitto, è chiaro che i militari egiziani pensano che gli USA non oseranno cancellarli, perché ciò potrebbe portare alla morte milioni di egiziani per fame. E chi accuserebbero per questo, se non gli Stati Uniti? E così pensano di poter forzare la situazione, perché ritengono che gli americani  non oseranno mai interrompere l’invio di aiuti alimentari. (Gaza ne è un esempio: è possibile lanciare missili contro un paese e quel paese continuerà ad alimentare coloro che lo stanno colpendo).

La discussione in Egitto sugli aiuti americani ai paesi bisognosi, può anche andare nella direzione opposta, quando i portavoce dei partiti laici, accusati di accettare sostegni economici dagli Stati Uniti per le loro organizzazioni, accusano i Fratelli Musulmani di ricevere fondi da una “fonte esterna”, in questo caso da Iran e Al Qaeda. E’ interessante notare che ci sono anche degli americani che esprimono comprensione per il processo contro le ONG finanziate da paesi stranieri. Uno di loro questa settimana ha detto: “Cosa faremmo noi, se un altro Paese si inserisse nei nostri affari interni?”
Altri a Washington stanno cercando di risolvere il problema dietro le quinte, in un modo che ponga gli Stati Uniti nel ruolo dell' alleato responsabile che con una mano continua a finanziare i cattivi egiziani e con l’altra porta a casa 19 cittadini americani, soltanto colpevoli di aver voluto portare la democrazia occidentale in un paese arabo, che invece ha scelto l’islam mediorientale.

Dobbiamo però ricordare che Israele è sulla stessa barca dell' Egitto. Chi sovvenziona il New Israel Fund? Chi maldestramente interferisce nel processo democratico in Israele? Chi sostiene le organizzazioni che offuscano il carattere ebraico e sionista di Israele? Chi sborsa denaro per un piano di pace che ha il solo e unico obiettivo di indebolire la capacità di resistere del popolo che vive nella Terra di Sion? Un paese che compromette la sua indipendenza e sovranità e si comporta come un mendicante nel souk, ha solo da rimproverare sé stesso se altri vengono a controllare i finanziamenti che riceve.

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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