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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
08.02.2012 La debolezza dell'Occidente di fronte alla repressione di Bashar al Assad
commento di Franco Venturini

Testata: Corriere della Sera
Data: 08 febbraio 2012
Pagina: 1
Autore: Franco Venturini
Titolo: «La strategia dell'orso»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 08/02/2012, a pag. 1-20, l'articolo di Franco Venturini dal titolo " La strategia dell'orso ".


Franco Venturini

L'Italia e altri governi europei richiamano i loro ambasciatori, gli arabi del Golfo fanno altrettanto, l'America chiude la sua sede diplomatica a Damasco, persino la signora Ashton strepita che Assad se ne deve andare, ma nulla riesce a dissimulare la verità: l'Occidente e la Lega araba, dopo il veto russo-cinese in sede Onu, sono più che mai impotenti davanti ai massacri che si compiono ogni giorno in Siria. Da cinque giorni la città ribelle di Homs viene bombardata, ieri con i carri armati piazzati sulle alture circostanti. Operazioni di «pulizia» proseguono nei sobborghi di Damasco, non troppo lontano dal palazzo presidenziale di Bashar Al Assad. Quanti morti abbiano fatto undici mesi di repressione e poi di guerra civile è difficile dirlo, ma una stima ormai vecchia dell'Onu parlava di 4.500 vittime e gli oppositori affermano che oggi sono almeno 6.000. L'Unesco è più precisa: quattrocento bambini morti e altri quattrocento arrestati, torturati o abusati sessualmente.
Non illudiamoci. Se sabato scorso la risoluzione di condanna fosse stata approvata dal Consiglio di sicurezza invece di naufragare davanti al veto congiunto di Russia e Cina, sul terreno le cose non sarebbero cambiate di molto. Certo, Assad si sarebbe sentito più isolato. Ma colui che sulle prime fu considerato un riformista ha già abbondantemente dimostrato quale tipo di lotta sia in corso in Siria: una lotta di vita o di morte, di sopravvivenza della minoranza alauita che sostiene il potere oppure di vendetta della maggioranza sunnita, che di sicuro non farebbe complimenti con Assad anche in memoria delle stragi compiute dal padre.
Oltretutto, Assad si sente protetto da una corazza invisibile: la volontà generale, enunciata e più volte confermata, di non usare la forza in Siria. La Libia è stata una lezione piuttosto dura e lo è ancora, benché pochi in Occidente lo riconoscano ufficialmente. Non va ripetuta, e pazienza se si viene accusati di applicare la politica dei due pesi e delle due misure. E poi, la Siria non è la Libia. Quel che avviene a Damasco si ripercuote in Iran, in Libano, indirettamente in Israele, in Turchia, insomma in situazioni e in Stati che potrebbero innescare reazioni a catena oggi imprevedibili.
È su questa tela di fondo che con l'agilità dell'orso si muove la Russia. Prima giudica offensiva l'accelerazione che gli Usa e qualche europeo imprimono al voto in Consiglio di sicurezza, senza aspettare che il ministro Lavrov si rechi da Assad. E pongono il veto, trascinandosi dietro una Cina sorprendentemente disponibile. Poi l'inviato di Medvedev (ma sappiamo bene che in realtà è l'inviato di Putin) si reca a Damasco, ieri, e dopo il tanto atteso colloquio con Assad annuncia quello che somiglia molto a un classico elenco di buone intenzioni già altre volte recitato: siamo per la pace immediata, per il dialogo con le opposizioni, per il proseguimento e anzi l'allargamento della missione della Lega araba, e presto, vi assicuro presto, sarà annunciata la data del referendum sulla nuova Costituzione che dovrebbe rendere meno dominante il partito Baath.
Lavrov ha ottenuto poco o nulla, eppure sarebbe un errore liquidare completamente la sua trasferta. Perché nello slancio il ministro di Mosca ha affermato che la Russia appoggia la risoluzione della Lega araba, la stessa che è stata indirettamente silurata all'Onu, la stessa che chiede l'allontanamento di Assad dal potere. Errore o indizio? Più il secondo del primo, perché da altre fonti rimbalza l'indiscrezione che la Russia in realtà vorrebbe applicare in Siria una «soluzione yemenita»: una transizione al termine della quale Assad dovrebbe lasciare il posto. S'intende, a qualcuno accettabile per il Cremlino e le sue sfere di influenza vere o presunte.
Ma se anche Lavrov avesse detto tutta la verità, il suo tentativo parrebbe assai arduo: Assad non accetta una coalizione, figuriamoci se accetterebbe di andarsene e di rischiare la pelle. Le ragioni della Russia sono chiare da tempo: vendite di armi, una basa navale, no ai regime change patrocinati dall'America, e soprattutto Mosca vuole sfruttare il declino del ruolo Usa in Medio Oriente per riaffermare quello della Russia (con relativo beneficio elettorale per Putin il 4 marzo). Ma sono chiare, come abbiamo visto, anche le ragioni di Assad. Ed è chiaro che occidentali e arabi più di tanto non vogliono impegnarsi. Alla fine si torna sempre alla stessa casella: l'esercito regolare siriano, che farà? E i militari passati dall'altra parte, quanti aiuti e quanti consigli riceveranno?

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