O meglio, forse questi ultimi li capisco, accecati come sono da uno spirito di parte feroce e intollerante, per cui chiunque la pensi in maniera diversa da loro è colpevole moralmente e merita tutto il male del mondo. Parlano da comunisti o "democratici", anche se magari si vantano delle loro origini ebraiche al momento buono o ne fanno spettacolo. Ma non capisco quelli di J-call, i pacifisti fra i quali vi è anche qualche persona perbene, che dopo mille prove e dichiarazioni di parte palestinese di non voler la pace, al massimo una tregua per prepararsi meglio; di non volere le trattative, al massimo una resa alle loro condizioni, in modo da fare implodere Israele sotto le difficoltà; di voler distruggere lo stato ebraico passo passo se non tutto insieme, di considerare gli ebrei "un corpo estraneo al Medio Oriente" se non proprio un popolo che i Musulmani hanno il dovere di uccidere "quando si nasconderanno dietro ai sassi e agli alberi", come continuano a predicare i religiosi islamici. Tutto questo è noto, documentato, mille documenti sono stati pubblicati, anche la collezione delle cartoline è piena di prove, di filmati, di rimandi a siti islamici e arabi. Ma imperterriti e "come ebrei", sentendosi altamente morali, alcune persone anche stimabili continuano a tendere il collo alla lama del macellaio e non solo il loro collo, quello di tutto Israele. Bisogna avere fiducia, dicono, accettare le condizioni, "restituire" Giudea e Samaria ai "Palestinesi" (anche se sanno benissimo che non sono mai state loro, sono solo state occupate e pulite etnicamente dai giordani fra il '48 e il '67), guardarsi dall'attaccare l'Iran che prepara l'atomica e descrive apertamente la sua volontà di "cancellare Israele dalla carta geografica", togliere il blocco a Gaza, rendendo comoda l'importazione di missili e armi pesanti che già usano contro Israele nella misura del possibile. Insomma, con aria compunta indicano il suicidio ebraico come soluzione elegante e costruttiva dei problemi della regione.
Non capisco, vi dicevo. Ma poi mi viene in menta una storia. Quella di Hermann Cohen, uno dei massimi filosofi della Germania guglielmina, fondatore della scuola neokantiana di Meburg, maestro di Cassirer, persona ammodo, grande intellettuale europeo. Cohen pubblicò nel 1919 un libro famosissimo e tradotto in molte lingue (Religione della ragione dalle fonti dell'ebraismo (Die Religion der Vernunft aus den Quellen des Judentums), in cui spiegava che la religione ebraica era un'ottima anticamera al kantismo (e in definitiva al luteranesimo). Che Kant fosse stato spesso e volentieri antisemita, come del resto tutta la tradizione luterana, non lo preoccupava molto: quello era il modello della modernità e l'ebraismo rispettabile doveva abbandonare le sue ubbie teologiche per affermarsi "nei limiti della ragione"). Fece di più: nel 1915, in piena guerra mondiale, fece uscire " Deutschtum und Judentum" (Ebraismo e Germanicità), un libro in cui in sostanza spiegava che la Germania era la nuova terra promessa dell'ebraismo, che il modo migliore di essere ebrei nel suo tempo era farsi integralmente tedeschi. E coerentemente un anno dopo scrisse un appello agli ebrei americani perché evitassero di combattere con il loro paese contro la Germania, perché avrebbero commesso in questa maniera un fratricidio. Dopo pochi anni Hitler prese il potere in Germania, Cohen morì prima ma la sua famiglia fu sterminata nei campi. Non fu una sorpresa, il movimento antisemita era dilagante in Germania da decenni, ma Cohen "come ebreo" scelse di non vedere. Anzi volle fortissimamente credere che ebraismo e germanicità fossero la stessa cosa.
Vi è un'illusione sotto l'atteggiamento di Cohen come quello delle persone perbene dentro JCall e il pacifismo ebraico: che se gli ebrei si comporteranno bene, anzi diventeranno un modello di etica, se assumeranno la morale dei loro nemici, se baderanno con cura a non tutelare la loro incolumità, a rifiutare la loro specifica identità, saranno apprezzati o quanto meno lasciati in pace. Si tratta di una difesa psicologica dalle persecuzioni. Se immagino buoni i miei persecutori, se mi attribuisco la colpa dell'odio altrui (o magari la scarico agli "altri" ebrei, ai "coloni", ai "nazionalisti", agli "ultraortodossi", agli ebrei orientali immigrati in Germania, ai "tifosi da curva sud", al governo "di estrema destra"), allora posso sperare che correggendomi (o sconfiggendo gli "estremisti" o magari distinguendomi da loro) posso essere lasciato in pace. Essere buoni, in quest'ottica è rifiutare "come ebrei" le "colpe" dell'ebraismo, denunciare il "peccato originale" della nascita di Israele, rifiutare le "superstizioni" della religione ebraica in favore della "pura ragione", aborrire i "nazionalisti" che pretendono di difendersi con le armi invece di porgere l'altra guancia, mostrarsi il più "universali" possibile, così universali da non avere più assolutamente nessun colore, nessuna identità, nessuna definizione. Mimetizzarsi, definirsi solo come esseri morali, sparire, maigare suicidarsi per non essere uccisi.