Siria: l'agonia del leone
Analisi di Mordechai Kedar
(Traduzione dall'ebraico di Sally Zahav,
a cura di Yehudit Weisz)
Tutti sanno che il cognome del precedente Presidente Siriano e di suo figlio, l’attuale Presidente, è “Assad”, ovvero “Leone”. Chi se ne intende di cose siriane, sa che il cognome originale è “Al-Wahish”, ”Il barbaro”, ma il nonno di Bashar lo aveva sostituito con “Assad”, più gradevole e dal significato più onorevole . Ultimamente però, molti in Siria son tornati a chiamare Assad con il suo cognome originale,il che sottolinea il modo disonorevole, inaccettabile e disgustoso che riserva ai suoi cittadini che vogliono difendere libertà e diritti civili. Quando così tanti in Siria dicono che il regime sta per crollare, già questa stessa affermazione evidenzia un’erosione nella fiducia che ancora - forse - ispira parte dei suoi sostenitori. Non parliamo dello zoccolo duro dei fedelissimi costi-quel-che-costi di Assad, in massima parte membri dello stesso gruppo etnico alauita, ma di quelle persone che restano ai margini della politica o che già in passato erano stati legati al regime Siriano. Uno di questi è lo sceicco sciita Sobhi Tufaili, uno dei “padri fondatori” di Hezbollah e suo primo segretario generale, che aveva avuto un ruolo che nella creazione di Hezbollah trent’anni prima, procurando armi, addestramento fino a farlo diventare il movimento più potente del Paese dei Cedri. Lo sceicco Tufaili questa settimana si è segnalato per aver dichiarato, “ Il regime siriano è ancora in grado di gestire il processo di transizione al “cambiamento necessario”, ma deve accettare la democrazia, anche se gradualmente nel tempo, prima che sia troppo tardi ”. Tufaili, infatti, non fa assegnamento su un aiuto russo a lungo termine , anche perché la Russia non vuole suicidarsi dal punto di vista politico, e nel momento in cui si saprà che il regime di Assad è caduto, gli aiuti cesseranno. Questo modo di esprimersi chiaramente da parte dello sceicco sulla fine di un regime arabo, alleato e potente patrono di Hezbollah, è qualcosa che di solito non appartiene alla cultura politica del Medio Oriente, e se Tufaili si sente libero di parlare in questo modo, significa che in Siria è andato storto qualcosa di fondamentale. Anche l’Iran (“ La peggiore specie di dittatura ” nelle parole di Tufaili), il leale sostenitore di Siria e Hezbollah, non sfugge alla sua critica: ” Il ruolo Iraniano giustifica la lotta contro Assad, ma sarebbe meglio che gli iraniani sostenessero un’intesa con tutti i settori della società siriana, con l'accettazione di Assad alle richieste dei suoi oppositori ”. L’aperto sostegno da parte di Tufaili al popolo siriano, nasce dalla sensazione che Assad perderà la battaglia, che il popolo sarà il vincitore, e che sarà utile per i libanesi in generale, e per gli sciiti in particolare, sostenere il popolo siriano e non il regime oggi in declino. Le parole dello sceicco sono rivolte anche alla discussione all’interno della comunità sciita libanese: Hezbollah invia soldati in Siria per combattere in aiuto ad Assad, ma Tufaili, che riveste il ruolo del “vecchio responsabile”, dice cose che non possono essere valutate altrimenti, e cioè che bisogna sostenere il popolo siriano e non il regime.
Le parti in campo.
L’opposizione ad Assad si rinvigorisce, l'organizzazione militare si rafforza e le conquiste sul territorio aumentano di giorno in giorno, malgrado le perdite. Le stesse perdite che dimostrano quanto siano determinati i combattenti del “Libero Esercito Siriano” a raggiungere l' obiettivo, anche a un prezzo molto alto; al contrario, è sempre più basso il morale tra i soldati nell'esercito regolare, alcuni dei quali continuano a combattere contro l’opposizione soltanto per non farsi giustiziare dai loro comandanti per il solo sospetto di simpatizzare con i ribelli. Il “Libero Esercito Siriano” è riuscito in pochi giorni a controllare la zona vicina alla capitale Damasco, e si è ritirato solo per non offrire all’esercito di Assad un’occasione per attaccare con crudeltà la popolazione civile di quell’area. E’ indubbio che l’esercito dei ribelli dimostra di essere in grado di lanciare una vera e propria sfida all’esercito regolare. Il numero delle vittime in battaglia aumenta e si arriva anche a cento morti al giorno, e aumenta parallelamente anche il numero di soldati e ufficiali che disertano dall’esercito di Assad. Tuttavia, intere divisioni sono leali al regime, e l’esercito è ancora compatto. I media di stato, accusano “bande di terroristi” di tradire l’unità nazionale, di essere al servizio di interessi “sionisti, colonialisti e ottomani”, che aspirano a smantellare il mondo arabo per ridisegnarlo in proprio favore. L’eroico popolo siriano, nelle parole dei media di Assad, sconfiggerà tutti coloro che gli si solleveranno contro , sia dall’interno che dall’esterno, sia da vicino (Israele, Turchia) che da lontano (Europa, USA) e darà a tutti la prova di essere più forte di qualsiasi oscuro complotto. I portavoce del regime attaccano in modo particolare gli Emirati del Golfo, soprattutto il Qatar, dove ha sede Al-Yazeera. La sensazione - abbastanza giustificata - di Assad e dei suoi amici, è che l’emiro del Qatar, con lo scopo di voler controllare il mondo arabo, abbia deciso di rovesciare tutti i leader più forti, e l’incitamento di “Al-Yazeera” abbia dato inizio alle dimostrazioni in Libia, Egitto, Tunisia, Yemen e Siria.
Le tendenze future
Negli ultimi giorni, in Siria si sono avvertiti i primi sintomi di due importanti futuri sviluppi: il primo si riferisce a una serie di notizie circa armi pesanti e grandi quantità di munizioni che sono state trasferite sulle montagne di Ansariyah, la zona alauita nella Siria occidentale, a nord del Libano. Il trasferimento di questi armamenti può solo significare una cosa: che gli alauiti si stanno preparando per “il giorno dopo il collasso del regime”, e che ci sarà una fuga in massa di centinaia di migliaia di alauiti, per sfuggire a morte certa ad opera dei ribelli. Le armi trasferite nelle zone sotto il controllo alauita, serviranno a difendere il nuovo governo di Assad, giudicato infedele e adoratore di idoli dalle altre etnie musulmane. Il secondo evento è un incontro che ha avuto luogo ad Arbil, capitale del Kurdistan iraqeno, che riuniva notabili kurdi da Siria e Iraq: anche loro avevano discusso del “giorno dopo”, di quale sarebbe stato il destino del territorio e dello stato dei kurdi in Siria, nel momento in cui si sarebbero liberati da un’oppressione durata decenni. Non accettano di vivere sotto protettorati arabi, e probabilmente vogliono raggiungere una risoluzione di accordi al fine di ottenere un territorio dove vivere una volta raggiunta l’indipendenza, sia essa totale o parziale, analogamente a quella, quasi totale, raggiunta dai loro fratelli in Iraq. Queste discussioni tra iraqeni e kurdi siriani potrebbero svolgersi persino in buona armonia, dando inizio a una grande sfida a Iran e Turchia, due paesi in cui vivono popolose comunità di minoranza kurda, che aspirano a libertà e diritti umani. Questi due eventi dimostrano quanto sia prossima la realizzazione del futuro,diverso orientamento , di cui abbiamo già scritto in passato, cioè la disintegrazione del regime siriano e la nascita di numerosi stati dopo il suo crollo.
Lo scenario internazionale
Nelle ultime due settimane, ci sono stati sviluppi importanti con il trasferimento del caso Siria dalla Lega Araba al Consiglio di Sicurezza del’ONU, dal momento che questo organismo internazionale può usare la forza contro Assad, come successe nei confronti di Saddam Hussein e Gheddafi. Il regime siriano è fallito là dove l’Emirato del Qatar ha avuto successo, trasferendo la questione siriana su un piano internazionale, e comunicando al mondo la sensazione che i danni causati dalle azioni del regime siriano travalicano i limiti dell’accettabilità. Ancora una volta questo minuscolo emirato si erge a forza trainante del mondo arabo, per il momento soltanto con parole e risoluzioni, mentre il regime siriano, che per lungo tempo si era vantato di essere “Qiblat Al-aruba”, la ”direzione araba della preghiera”, ora si presenta come un governo irrazionale e senza scrupoli, ma dotato di muscoli la cui potenza è fuori controllo. È vero che al Consiglio di Sicurezza , Russia e Cina hanno rappresentanti permanenti che hanno il potere di veto per le risoluzioni che considerano non idonee, ma anche a questo comportamneto ci sono dei limiti. La fine dell’ultimo rivoluzionario
Tutti ricordiamo la divisione tradizionale del mondo arabo in stati che da una parte erano estremisti, rivoluzionari, progressisti, quando Mosca era per loro la “direzione della preghiera”, e opposti a questi c’erano quegli stati che si basavano sulle comunità tribali e religiose, che venivano chiamati: tradizionalisti, contro-rivoluzionari, arretrati. I leaders “progressisti” erano Gamal Abd Al-Nasser, Hafez al-Assad, Gheddafi e Saddam Hussein. Essi avevano adottato il credo socialista sovietico, e l’avevano tradotto in “socialismo arabo” in Egitto, e nel partito “Baath” in Siria e Iraq. L’odio nei confronti di Israele era da considerare un collante tra le varie componenti delle popolazioni, l’ostilità contro lo Stato ebraico aveva preso il posto della lotta contro la povertà, il crimine, l’abbandono e la corruzione. Ma la battaglia contro Israele venne messa da parte e non vennero mai affrontati i veri problemi interni di quegli stati. Per questo condannavano Israele, l’America, l’Occidente, il colonialismo, il capitalismo, e qualsiasi cosa caratterizzasse quel che loro combattevano solo in apparenza, ma che concedevano a sé stessi in privato. Recentemente, abbiamo potuto vedere le case sontuose di Gheddafi, anche se lui riceveva gli ospiti in una ampia tenda da beduino, con baldacchini svolazzanti al vento, per dare l’impressione di voler interagire con il deserto in uno stato di purezza, secondo la tradizione araba. In realtà trascorse la sua vita privata nella dissolutezza e nello stile edonistico dell’Europa più decadente. L’anno scorso, ironicamente, tutti quei regimi “rivoluzionari”che avevano avuto l’ obiettivo di riprogettare la società araba secondo un modello socialista sovietico, sono stati eliminati da movimenti organizzati in base schemi tradizionali: le tribù da un lato e l’islam dall’altro. Si pensava che il processo si sarebbe instaurato immediatamente dopo la caduta dell’Unione Sovietica, ma i processi in Medio Oriente richiedono molto tempo, coraggio, e un po' di capacità organizzativa, che solo più tardi fu fornita da Internet e dai siti dei Social Network. In questi giorni, Assad sta combattendo la battaglia dell’ultimo 'Moicano Baathista socialista' abbandonato nella fortezza della menzogna sovietica, mentre le ondate di violenza del Medio Oriente si abbattono su di lui, e si affermano le verità del tribalismo con la lealtà alla religione e alla tradizione. Tutto questo minaccia di far cadere la sua testa, in senso letterale. L’ironia sta nel fatto che proprio i russi, che si erano scrollati dalle spalle la vergogna della “bandiera insanguinata” che aveva sventolato su di loro per 70 anni, sono ancora oggi quelli che continuano a insufflare vita al morente regime siriano. Un regime diretto da commissari politici sovietici che parlano in arabo, urlano dai microfoni di Damasco, con le gole rauche nelle orecchie di tutti, logori slogans della Mosca dei tempi di Lenin, Stalin, Krusciov e Breznev. I figli della Siria, affamati, assetati, congelati, sanguinanti, ma che amano libertà e diritti civili, sono loro i veri rivoluzionari, coloro che stanno cercando di allontanare i falsi rivoluzionari che dominarono il mondo Arabo nel XX° secolo imponendo ideologie straniere, che non sono mai state accettate dalle popolazioni. Il XXI° secolo è il secolo dell’amara verità, che si diffonde in ogni parte della regione in cui viviamo, dove i fattori dominanti sono la tribù, il gruppo etnico (es. i kurdi), il gruppo religioso (i Fratelli Musulmani) e la setta religiosa (sunniti, sciiti). Qualsiasi “ismo” straniero, da socialismo a liberalismo, verrà rigettato dalla regione come un corpo estraneo che è stato trapiantato in un altro corpo. Il corpo lo rigetta anche se dovesse rimanere menomato o addirittura, morire. La Siria oggi sta rigettando l’infedele e socialista Assad, che non sa neppure fare lo spelling della parola “socialismo”, esattamente come una regione tradizionale islamica rigetta gli infedeli e l’importazione di vane ideologie. L’ideologia importata è morta, continuano a vivere le fedeltà alla tribù, all’etnicità, alla religione e alla setta.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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