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Libero Rassegna Stampa
04.02.2012 Laboratorio Israele, un paese dove l'economia funziona
Il libro di Senor e Singer in italiano, la recensione di Andrea Morigi

Testata: Libero
Data: 04 febbraio 2012
Pagina: 28
Autore: Andrea Morigi
Titolo: «La lotta al terrorismo fa bene all'economia»

Con il titolo "La lotta al terrorismo fa bene all'economia", Andrea Morigi recensisce oggi, 04/02/2012, su LIBERO a pag.28, il libro di Dan Senor e Saul Singer " Laboratorio Israele " pubblicato da Mondadori.
Di questo libro IC ha scritto molto, sin da quando uscì con il titolo  "Start Up Nation " un paio di anni fa, suscitando un enorme interesse in tutto il mondo.
Ecco il pezzo:


                                                     Andrea Morigi

Arriva da Israele la lezione per uscire dalle crisi. Se gli antichi romani si erano fermati al si vis pacem para bellum, a Gerusalemme, costretti a preparare la guerra, hanno investito anche in benessere e sviluppo. Sui popoli scendono alternativamente benedizioni o sciagure, a seconda di come rispondono alla loro vocazione. Agli ebrei sono toccate in sorte entrambe. Perciò ora stanno davanti a tutti gli altri Stati, non solo in termini di competitività mondiale, ma anche, conseguentemente, di speranza nel futuro. Hanno saputo rispondere alle sfide e sanno come superare gli ostacoli, come spiegano le avventure esemplari di imprenditori di successo riportate da Dan Senor e Saul Singer nel loro Laboratorio Israele. Storia del miracolo economico israeliano (Mondadori, pp. 292, euro 20). L’opera si può leggere come un racconto di frontiera, in cui si propongono case history utili come apologhi da manuali di management o piuttosto come una prosecuzione della storia biblica, senza perdere di vista il quadro plurimillenario dell’al - leanza di Dio con il popolo eletto. In quest’ultimo caso, i progenitori Noè, Abramo, Mosé, Salomone e re David, per citarne solo alcuni, hanno indicato le strategie per il problem solving. Ciò non toglie che i loro discendenti delle dodici tribù ce l’abbiano dovuta mettere davvero tutta, circondati dall’osti - lità, all’interno di un territorio privo di risorse naturali, e sottoposti a un boicottaggio commerciale e da embarghi internazionali che hanno pesato per un centinaio di miliardi di dollari. E ce l’hanno fatta. In sessant’anni la loro crescita economica è aumentata di cinquanta volte. Forse anche perché i loro vicini nel frattempo si sono seduti sui loro giacimenti di greggio, pensando che fossero eterni. Così il Pil dell’intera comunità araba, che conta circa 250 milioni di persone, non generato dall’esportazione di petrolio, si attesta a un livello inferiore perfino a quello della Finlandia, la cui popolazione non supera i cinque milioni. Un boom come quello israeliano, accanto alla stagnazione dei sistemi che s’ispirano alla legge coranica, la dice lunga anche circa gli effetti del petrolio sul deficit democratico. Non limitatamente ai Paesi islamici ma anche in quelli occidentali, i più soggetti al ricatto petrolifero. Se i governi di Gerusalemme si fossero lasciati intimorire come i pavidi europei, la bandiera con la Stella di David avrebbe smesso da tempo di sventolare in Medio Oriente. Senonché, dai vertici dello Stato agli studenti delle superiori, si fa a gara per l’eccellenza. L’attuale presidente della Repubblica, Shimon Peres, riferiscono gli autori, non disdegna di utilizzare la propria influenza a livello internazionale per promuovere le singole piccole imprese capaci di innovazione. Negli anni scorsi ha fissato lui stesso gli appuntamenti d’affa - ri e ha presenziato agli incontri fra giovani promettenti esperti di tecnologie e industrie automobilistiche. Ha posto il problema, spiegando che il petrolio sta finanziando il terrorismo internazionale e alimentando l’instabilità planetaria. E ha proposto la soluzione: una nuova generazione di veicoli a trazione elettrica. Il progetto sperimentale è già sbarcato in Danimarca, in Australia, in Canada e negli Stati Uniti. Lo ha reso possibile anche l’espe - rienza militare di Tsahal. Le tecniche e l’efficienza apprese in battaglia, dove ci si gioca la propria e l’altrui vita, si rivelano utili ad affrontare anche pericoli meno imminenti. Così quando, stupito davanti a un giovane israeliano che con tutta naturalezza ha escogitato la soluzione al problema planetario delle frodi online, il numero uno di Paypal gli chiede come vi sia riuscito, il ragazzo gli risponde: «Dando la caccia ai terroristi». Era l’attività che aveva svolto nell’esercito, dove aveva imparato a seguire le tracce telematiche dei jihadisti. Ordini a cui occorreva comprensibilmente obbedire con urgenza. Così addestrati, ci si avvia con molta probabilità verso il successo, una volta tornati alla vita civile. Ecco perché molti fra i fondatori delle startup israeliane nascono in ambiente militare, nel quale si selezionano gli elementi migliori del Paese. Duetre anni di ferma per uomini e donne, seguiti da qualche decennio di servizio nella riserva portano benefici alla società intera, senza militarizzarla peraltro, perché «in Israele i soldati non si distinguono per il grado ma per ciò che sanno fare », spiegano i veterani che si sono riconvertiti come capitalisti di ventura. In divisa o in borghese, ci si sente in missione per la Patria, insomma. Si può andare molto oltre la semplice ammirazione per il popolo ebraico. C’è da imitarlo. Ma bisogna avere gli attributi.

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