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La Stampa Rassegna Stampa
03.02.2012 Gerusalemme: capitale unica e indivisibile di Israele
Alberto Simoni intervista il sindaco Nir Barkat

Testata: La Stampa
Data: 03 febbraio 2012
Pagina: 16
Autore: Alberto Simoni
Titolo: «Riuscirò a portare 10 milioni di turisti a Gerusalemme»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 03/02/2012, a pag. 16, l'intervista di Alberto Simoni al sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat, dal titolo "Riuscirò a portare 10 milioni di turisti a Gerusalemme".


Nir Barkat                      Gerusalemme, il Kotel

Il sindaco di Gerusalemme Nir Barkat è andato in visita cordiale alla STAMPA di Torino, ecco la cronaca.
Dal tono del pezzo traspare con chiarezza l'antipatia che Simoni nutre nei confronti di Nir Barkat. Pazienza, non si può piacere a tutti.
A Simoni, invece, consigliamo di intervistare il sindaco di Ramallah (magari lo troverà più simpatico?) e chiedergli dei diritti umani sotto la gestione dell'Anp.
Ecco l'intervista:

La prima volta andò male per un pugno di voti. La seconda invece, e siamo nel 2008, Nir Barkat, classe 1959, ha fatto centro diventando sindaco di Gerusalemme. Guida la culla delle tre religioni come un manager. Incontrando gli studenti di Princeton, lo scorso novembre, disse di essere contento perché oggi «sente che la città è governata in modo manageriale più che politico». Affermazione che farebbe rabbrividire certi puristi, ma che per Barkat, laico, un credo ferreo nella forza del capitale privato e delle idee, è orgoglio. Da anni parla di Gerusalemme come di un «brand», un marchio da valorizzare. Perché - cifre alla mano - oltre 3,5 miliardi di persone nel mondo, cristiani, musulmani, ebrei esse siano, hanno un legame con la città simbolo della Bibbia e vorrebbero dare una sbirciata ai suoi vicoli e ai suoi luoghi mistici carichi di storia e traboccanti di spiritualità. Così Barkat sbarca in Italia, Roma, Genova e infine Torino le tappe, e incontra il mondo culturale, istituzionale, imprenditoriale. Tutto ciò che serve per diffondere il «brand» di Gerusalemme, intrecciare relazioni speciali e rovesciare quella prospettiva da cui spesso si guardano le vicende mediorientali scorgendo così ombre che spingono a evitare quella meta quando si pianificano le vacanze. E allora basti pensare alla sicurezza per smontare, parola di sindaco, il pregiudizio: «Come tassi di criminalità siamo... Come Torino? Bassi, risibili al confronto di Los Angeles o di New York». E poi l’offerta è amplissima: Barkat la snocciola sicuro; un festival, l’opera allestita nella Città Vecchia e la maratona, il 16 marzo, per citare qualche evento. Con l’esplosione delle rivolte arabe, la scoperta di problemi nuovi, gli occhi del mondo non sono più posati solo sulla vicenda israelo-palestinese, «si è capito che quello non è il solo problema». E Gerusalemme può solo beneficiare di questa inversione di percezione.

Barkat fece il suo primo milione di dollari inventando e brevettando un software antivirus. Poi cambiò casacca e da cacciatore di soldi (di investimenti per soddisfare le sue ricerche e la sua azienda), divenne egli stesso «venture capitalist». Poi filantropo, «finanziò la cultura e l’istruzione», e da lì il salto in politica. Il nome del partito che ha fondato nel 2003, «Gerusalemme ce la farà» suona nemmeno troppo vagamente come gli slogan politici di nostrana memoria. «Se New York ha 40 milioni di visitatori l’anno e così Roma, perché entro un decennio Gerusalemme, dagli attuali 3,5 milioni, non può toccare quota 10 milioni?», dice. Significherebbe 140 mila posti di lavoro, far crescere l’economia, e tirare fuori dalla povertà migliaia di persone e frenare l’emigrazione. Gli ebrei mirano altri e più ricchi lidi nel giardino israeliano, gli arabi invece - dalle zone più depresse dei Territori - ancora vedono la Città Santa come un punto di approdo e di speranza.

«Gerusalemme non si può dividere: avete mai visto una città avere successo, funzionare se è divisa?», domanda. Melville chiamava Gerusalemme «una città con colline e cuori di pietra», Barkat in questa doppiezza vede sfide. E non problemi. Le colline come quinte del palco. E quando gli facciamo notare che gli ultraortodossi non amano il suo dinamismo, ribatte: «Sono solo il 2%, noi andiamo avanti». E sugli insediamenti? «Espansione naturale», precisa. «Perché non dovrei dare - replica - permessi edilizi se la mia città si allarga continuamente?».

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