Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 01/02/2012, a pag. 16, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Battaglia all’Onu per deporre Assad. Mosca in bilico".
Maurizio Molinari, Dmitri Medvedev con Bashar al Assad
Battaglia all’Onu sulla sorte del regime di Bashar Assad. Il Consiglio di sicurezza si riunisce a porte aperte per ascoltare la reazione della Lega Araba, affidata al il premier del Qatar, Hamadbin Jassim Al Thani, che parla di «massacri di civili» imputandola alla repressione di Damasco: «Almeno 300 i bambini assassinati». Pagina dopo pagina, Al Thani descrive uno duro atto d'accusa nei confronti di Assad per sostenere la necessità del «trasferimento dei poteri» assieme al «ritiro delle forze armate dai centri abitati, il ritorno dei soldati nelle caserme, libertà di espressione e monitoraggio internazionale». Sono i pilastri della risoluzione che il Marocco ha redatto e di cui il Segretario della Lega Araba, Nabil El-Arabi, chiede l’approvazione per obbligare Assad a lasciare il potere. Da Amman il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki moon, urge: «Serve un accordo, in troppi sono stati assassinati». Ma la replica dell’ambasciatore siriano, Bashar Jaafari, è negare ogni addebito: «Siamo attaccati da terroristi e sabotatori, tentiamo di riportare l’ordine e respingiamo ogni intromissione esterna, se cade Damasco sarà la fine dell’arabismo». L’isolamento di Damasco nel mondo arabo non potrebbe essere più palese e quando a prendere la parola sono i ministri degli Esteri seduti attorno al tavolo è l’assedio internazionale che prende forma. «Assad è responsabile di una campagna di terrore, deve dimettersi e permettere la transizione» afferma Hillary Clinton, segretario di Stato Usa, che assieme al francese Alain Juppè e al britannico William Hague disegna un fronte comune occidentale in sintonia con la Lega Araba, sottolineando però all’unisono gli elementi di apertura alle obiezioni russe: «Questa risoluzione non prevede l'uso della forza» e dunque non apre la strada a un intervento militare simile a quello in Libia.
L’ambasciatore russo Vitaly Churkin si oppone a «embarghi e sanzioni» e auspica una «soluzione interna» ma non chiude del tutto alla risoluzione marocchina, dimostrando di gradire l’assenza al ricorso alla forza. Il ministro degli Esteri Sergei Lavrov accusa gli occidentali di essere «ossessionati dai cambiamenti di regime in Medio Oriente», vede il pericolo di «una crisi di più grandi dimensioni» e rilancia una «transizione gestita dai siriani». Se arabi e occidentali assicurano di avere 10 su 15 voti a favore della risoluzione, Mosca resta determinante perché potrebbe opporre il veto. Come Churkin anche l’ambasciatore cinese non respinge del tutto la risoluzione, auspicando che «la crisi siriana si risolva nella Lega Araba». Sono timidi segnali da parte di Mosca e Pechino che aprono la possibilità a un negoziato sul testo. Ciò che conta per Mosca è scongiurare un cambio di regime da parte degli occidentali perché la priverebbe dell'ultimo vero alleato in Medio Oriente, che oltre a commesse militari e basi di intelligence le garantisce a Tartus l’unico porto di attracco rimasto alla flotta russa nel Mediterraneo. Appena la seduta si scioglie, la trattativa inizia e uno dei nodi da sciogliere è il nome del vice a cui Assad, secondo la Lega Araba, dovrebbe affidare la transizione. Mosca preferisce Faruk al-Shaara, ministro degli Esteri fedelissimo del regime, mentre la Lega Araba guarda alla scrittrice Najah al Attar, vicepresidente dal 2006, figlia di un eroe della rivoluzione e sorella di un leader in esilio dei Fratelli musulmani.
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