Il senso della Giornata della memoria secondo il politically correct 31/01/2012
Il senso della Giornata della memoria secondo il politically correct
Bisogna essere molto ottimisti per credere che l'ultima giornata della memoria abbia finalmente mostrato, come ha scritto qualcuno, che "la Shoah è un trauma dell'intera società del Novecento, che ha fondato il nostro mondo di oggi, che riguarda tutti, che interpella tutti". Non interpella certamente il giudice che ha deciso che non è lecito polemizzare duramente contro le vignette come quella di Vauro Senesi che ha ritratto Fiamma Nirenstein con i tipici tratti "giudaici" delle vecchie illustrazioni naziste. Non interpella il consigliere comunale del PD dell'Aquila che ha scritto un comunicato il cui senso è che sì, vale la pena di ricordare i nazisti, che dopotutto hanno avuto il torto di prendersela anche coi comunisti, ma è il caso di tener memoria soprattutto dei "crimini" di Israele contro i poveri palestinesi innocenti. Non ha interpellato il sindaco di Mathausen che con faccia di tolla straordinaria, venendo da quel posto lì, ha dichiarato a una celebrazione che certo c'è stata la Shoà, ma oggi c'è chi non rispetta gli immigrati. Insomma, diciamocela tutta, non "interpella" quasi nessuno a sinistra (e naturalmente nessuno dei patetici neonazisti e negazionisti che ancora cantano la vecchia canzone del "non ci sono prove, le camere a gas servivano per i pidocchi e i forni crematori per i rifiuti"). La Shoà purtroppo non è stata certo "un trauma dell'intera società europea" nel senso del genitivo oggettivo: un trauma che l'intera società europea abbia subito. Lo è stato solo nel senso del genitivo soggettivo, un trauma che "l'intera società europea" con piccole (ma naturalmente rilevanti) eccezioni ha inferto: agli ebrei. La Giornata della memoria commuove perciò davvero il mondo ebraico, che ha nel cuore la cicatrice della shoà, anche se altre sono le date della nostra celebrazione religiosa. Essa parla oggi anche a molti altri, che sentono finalmente tutto l'orrore messo in atto settant'anni fa (e preparato prima per dieci secoli almeno), è una certamente buona occasione pedagogica. Ma spesso si risolve in una celebrazione politicamente corretta, che fra l'altro rischia di generarne molte altre, come se si trattasse di elevare a ricorrenza per un giorno ogni colpa e ogni ingiustizia.
L'errore è pensare che la Giornata raggiunge i suoi risultati quando finalmente tutti i paesi "si riconoscono nell'Europa Unita" (che in fondo, diciamocelo, era anche uno dei pallini di Hitler, alle sue condizioni, naturalmente) e quindi si decidono a "combattere i nazionalismi, i razzismi, gli odi che tante volte hanno contrapposto gli uni agli altri". In realtà il nazionalismo e le rivalità fra popoli c'entrano poco con l'antisemitismo di cui è figlia la Shoà. Se c'è una cosa abbastanza equamente distribuita nella storia d'Europa, sono le persecuzioni antiebraiche: la Germania ha fatto del suo meglio nel Novecento, aiutata da molti "volonterosi carnefici" di vari popoli. Ma la Spagna ha fatto la sua parte nel Cinquecento, l'Ucraina e la Polonia nel Seicento, la Francia nel Duecento, eccetera. Fra l'altro, questi paesi, una volta "contrapposti" da guerre e rivalità, oggi si uniscono invece per condannare a senso unico l'autodifesa israeliana contro il terrorismo e magari domani per proibire la macellazione ebraica e magari la circoncisione - insomma possono essere benissimo antisemiti tutti assieme.
L'idea per cui l'Europa sarebbe il rimedio della Shoà e che contro l'antisemitismo non c'è nientre di meglio che essere internazionalisti, tifosi della burocrazia di Bruxelles, magari bravi elettori democratici fa parte del wishful thinking che è il vizio nazionale degli intellettuali organici italiani. E però ci sono segnali d'all'arme più seri sul rischio di esaurimento e esautorazione del senso della giornata della memoria. Un segnale, guarda caso, viene da Londra, capitale morale di Eurabia. Proprio il 27 gennaio il "Guardian" (equivalente locale di "Repubblica" del "Pais" di "Le Monde", cioè dei giornali finti progressisti e finti custodi della memoria, in realtà ferocemente antisionisti) ha lanciato, secondo il costume moralista di queste testate un grande scandalo. Ha scoperto che il governo conservatore spende un sacco di soldi del contribuente per difendere dalle minacce terroriste le scuole ebraiche - come peraltro fa anche quello italiano. Soldi sprecati, naturalmente. Perché prevenire le minacce terroriste se si possono poi comodamente fare oggetto di memoria molto chic le vittime? Il Jerusalem Post, che ha lanciato la notizia (http://www.jpost.com/International/Article.aspx?id=255656), ha scoperto che la campagna scandalistica veniva da un certo David Miller, che l'aveva iniziata per squalificare l'organo della sicurezza dell'ebraismo inglese, il Cummunity Security Trust, che organizza i servizi di sicurezza distribuendo il denaro governativo alle comunità. Il CST aveva la colpa, agli occhi di Miller, di essere intervenuto con una testimonianza a suo carico al processo inglese per l'espulsione di Sheikh Raed Salah, un leader islamista arabo israeliano, già condannato per terrorismo in Israele. Fra l'altro l'articolo cita il fatto che sul sito di Miller sia uscita propaganda neonazista antisemita, poi rimossa, ma senza eliminare il sospetto di una - come dire - "mancanza di trasparenza" del personaggio.
Sono dettagli, certamente. Quel che conta è che The Guardian si è scusato. Ma di che cosa? Non di aver sollevato uno scandalo inesistente (se uno stato non difende i suoi cittadini dal terrorismo, a che serve? a incassare le tasse e controllare chi non gliele paga?) Non di aver coinvolto un organo delicato come il CST in uno scandalo inesistente, senza neanche fargli una telefonata per chiedergli la sua posizione. No, figuriamoci, attaccare il governo di destra e un organismo notoriamente sionista come il CST va benissimo per la buona stampa, in Gran Bretagna come in Italia. Ecco il Guardian si è scusato per "the timing of the article" il tempo scelto per la pubblicazione del pezzo, spiegando che era stato programmato per il giorno prima e poi rinviato "inavvertitamente" proprio il Giorno della memoria: "We should have spotted the unfortunate timing and regret any offense caused,” avremmo dovuto far caso alla data "sfortunata" (eh già, proprio "sfortunata" e siamo spiacenti se abbiamo provocato qualche dispiacere, ha dichiarato il portavoce del giornale.
A questo tipo di buona educazione dei sentimenti sembra ormai "interpellare" ormai la giornata della memoria: come per i compleanni, è un momento di buonismo generale, in cui bisogna evitare di offendere gli ebrei (il solo giorno in cui è opportuno non farlo, è chiaro) e in cui, al posto di mandare i fiori e i cioccolatini, è bene "invitare a combattere i nazionalismi, i razzismi, gli odi" e dunque non è opportuno polemizzare sui soldi spesi per difendere la loro vita dal terrorismo e magari si può lasciare da parte la per un momento la martellante campagna antiisraeliana in cui il Guardian si distingue. Salvo ricominciare il giorno dopo. Lasciatemi citare Totò come conclusione: "Ma mi faccia il piacere!"