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Memoria, l'intervento a Udine di Michael Sfaradi 28/01/2012

Giornata della memoria 2012 Discorso di Michael Sfaradi per l’evento organizzato dall’associazione collezionisti d’arte di Percoto Pavia di Udine (UD)

 Sono passate decine di anni dalla fine della seconda guerra mondiale e dalla scoperta dell’enorme tragedia umana dell’olocausto, e ancora ci è difficile capire come degli uomini in preda a deliri di onnipotenza siano riusciti da una parte ad auto-convincersi di far parte di una razza superiore e che dall'altra, proprio in nome di questa superiorità, riuscissero a programmare a tavolino l'annientamento totale di popolazioni intere. Io che ho cinquant’anni e per questo, grazie a Dio, non ho conosciuto direttamente gli orrori delle leggi razziali e delle persecuzioni, come tutti i figli e i nipoti della Shoah ho preso coscienza del dramma vissuto dal mio popolo solo attraverso i racconti delle persone che sono riuscite a salvarsi dalla deportazione o che sono tornate dai campi di sterminio. I loro racconti, la loro memoria storica è un bene che la mia generazione e le generazioni a seguire hanno il dovere di conservare e mantenere vivo per far sì che ci sia sempre un campanello di allarme, una spia che si accenda ogni volta che ci si avvicina, pericolosamente, a situazioni che possono permettere il ripetersi di fatti storici come questo o simili a questo. Ogni volta che mi sono trovato davanti a discussioni dove c'erano delle persone che facevano parte di gruppi etnici o religiosi diversi da quelli che allora furono colpiti, ho notato che ognuna di loro cercava di dare a sé stessa una risposta per rendersi accettabile l'inaccettabile. Tutto andava bene, anche, per assurdo, accusare le vittime di qualcosa. Nelle loro menti non era concepibile che fosse stata creata una macchina distruttrice, una fabbrica di morte nei confronti di qualcuno e che questo qualcuno fosse totalmente innocente. Se a distanza di tanto tempo ancora ci si chiede attoniti perché e come può essere accaduto, e si rimane increduli davanti alle prove inconfutabili che l'essere umano può arrivare a livelli di malvagità senza limiti nei confronti dei suoi simili senza riuscire a dare una risposta soddisfacente, quello che rimane è solo un senso di impotenza profonda davanti alla storia e alla follia. Quando dico follia però, è inevitabile per me virgolettare la parola e chi me lo impone è l’opinione che mi sono fatto dopo anni di discussioni, a tutti i livelli, sul tema della Shoah e della soluzione finale del problema ebraico. Anche in una nazione moderna come l'Italia di oggi registriamo dei crimini o dei fatti assurdi, totalmente inconcepibili. Abbiamo recentemente visto una madre che ha ucciso un figlio a randellate, una ragazza che viene strangolata, per gelosia probabilmente, dalla cugina forse dalla zia, lo sapremo fra poco, una ragazzina di 10 anni che viene sequestrata uccisa e lasciata in un campo adiacente a una strada frequentata da prostitute, padri che scannano le figlie perché avevano assunto atteggiamenti occidentali, ecc, ecc, ecc. Vi chiederete cosa c’entra questo, la risposta è semplice. Questi esempi, questi fatti, colpiscono la nostra sensibilità, la nostra morale ed essendo così lontani da noi, dalla nostra anima, dal nostro modo di essere, riusciamo facilmente ad archiviarli come atti di pura follia. Possiamo farlo perché qualche decina, qualche centinaio anche migliaio di casi, in una nazione abitata da circa 65 milioni di persone, può cinicamente rientrare nella statistica dei grandi numeri. Possiamo permettercelo perché siamo consapevoli che quella che comunemente definiamo “pazzia” è tipica di un numero irrisorio di soggetti se confrontati alla totalità della popolazione. Ma nel caso dell'Olocausto, della soluzione finale, della Shoah, non c'è più neanche la statistica a dare una risposta che possa farci accettare quello che accadde. Impossibile per noi capire cosa abbia abitato, in quegli anni, nella mente e nel cuore della maggioranza delle persone, e questo non solo in Germania, ma in quasi tutta Europa. Quello che accadde non fu un caso isolato, non fu un'eccezione, quello che accadde fu la conseguenza di un’azione studiata a tavolino, finanziata e programmata fin nei più piccoli particolari. Un’azione che prese il via in Germania ma che trovò adepti in ogni angolo di Europa, un’azione che riuscì a portare allo scoperto l’odio profondo e radicato nei confronti di una minoranza, un odio che per secoli era stato, a più ondate, alimentato da chi nell’ebraismo e nella cultura che è sempre stata la radice su cui poggia, vedeva un affronto se non un pericolo all’oscurantismo imposto. In quegli anni si aprirono le dighe e l’odio che bolliva straripò in tutta la sua lucida violenza. In quegli anni lo sterminio era la normalità, perpetrare lo sterminio era la normalità, rimanere silenti davanti allo sterminio era la normalità. Gli ebrei venivano accusati, come al solito, come oggi, di avere in mano l'economia mondiale, anche se le statistiche sia di allora che di oggi davano e danno risultati contrari. Gli zingari, i rom, accusati di essere ladri gente marcia, come gente marcia erano gli omosessuali e tutti coloro che non volevano o non potevano allinearsi all'interno di quel trita cervelli che è sempre stata la propaganda delle dittature, di tutte le dittature a prescindere dal colore dietro il quale si nascondono o si sono nascoste. Il regime, come è stato per il nazismo prima e il fascismo poi, con a seguire una lunga scia di dittatori e sangue, dice che una certa popolazione, una minoranza specifica è composta da esseri subumani e che essi sono il cancro della società; ecco allora, come d’incanto, calare il buio della ragione e le schiere degli sterminatori stringono i ranghi davanti al silenzio dei pavidi che ne diventano complici silenti. Il messaggio viene recepito dalle popolazioni e con il tempo l’odio diventava normalità e da lì ai campi di prigionia, o di rieducazione il passo è breve, breve come è facile ritrovarsi dietro al filo spinato, con un proiettile in testa o dietro la schiena. Se vogliamo fare un piccolo esempio che possa aiutarci in un cammino di riflessione, in una chiave di lettura diversa che ci possa permettere di capire quali sono stati i meccanismi che hanno portato ad una follia collettiva come quella che si è registrata in occasione della Shoah dobbiamo accettare che la “follia collettiva” non era in realtà una follia vera, ma freddo ragionamento di burocrati convinti che i vagoni blindati in viaggio verso i campi di sterminio fossero pieni di animali da eliminare quanto più velocemente possibile, in modo da rendere il mondo più pulito e vivibile. Proprio considerando che la Germania di quegli anni era il centro del sapere europeo, il centro della cultura europea rimane ancora più difficile credere che tutto ciò sia partito proprio da lì, ma così è stato. Rievocare questa sera 6 milioni di persone uccise con il gas e cremate nei famigerati forni dei campi di sterminio, rievocare le centinaia di migliaia di persone che sono state barbaramente torturate o inumanamente sottoposte ad ogni tipo di esperimento pseudoscientifico e, cosa ancora più dolorosa, rievocare 1 milione e mezzo di bambini ai quali fu tolto ogni diritto e ogni gioia della vita è un compito decisamente arduo che non si esaurisce, a mio avviso, in cerimonie rievocative una volta all'anno. È un compito che ci riguarda tutti da vicino e che abbiamo il dovere di insegnare ogni volta che capita l’occasione. Gli storici hanno provato, con il loro lavoro, a dare un senso alla tragedia. Ho letto decine di libri e di saggi dove venivano presi in considerazione aspetti del dramma e si provava a darne una spiegazione. Io credo che a tutt'oggi non esista un'opera che possa racchiudere in sé il "fatto storico" nella sua interezza, che possa far capire la drammaticità di ciò che accadde. Questo, signori e signore, mi ha fatto giungere alla conclusione che uno dei pochi dati di fatto acquisiti è quanto sia stata grande, immensa, la tragedia, mi ha fatto giungere alla conclusione che l’uomo è riuscito a creare un dramma che esso stesso non riesce a capire e al quale ancora oggi non riesce a dare una spiegazione valida. Gli storici da una parte hanno il compito di raccolta dei documenti, non passa giorno che non si scopra in qualche angolo d’Europa un nuovo archivio o un nuovo carteggio che mette i riflettori su altri massacri, e aggiungono così altri capitoli di questo libro ancora lontano dall’essere definito, ammesso che mai possa essere definito, dall’altra il nostro dovere, soprattutto ora che gli ultimi testimoni viventi ci stanno purtroppo lasciando e i negazionisti si fanno avanti con sempre più forza e tracotanza, è quello di non dimenticare. Lo stesso Yad Vashem il museo dell’olocausto di Gerusalemme, è stato di recente profondamente ampliato proprio per far posto a tutte quelle testimonianze che continuano ad arrivare con un flusso continuo. Giorno dopo giorno, ancora oggi, escono dal buio dell’oblio nomi, cognomi, indirizzi, nazionalità, e si restituisce un minimo di dignità a persone che da innocenti hanno pagato ciò che erano e per quello che erano. Ma tutto questo non basta, il nostro compito non si esaurisce qui. Noi che siamo uomini liberi, donne libere, dobbiamo fare in modo che il buio della coscienza non sia appropri più della nostra anima e dell’anima delle popolazioni cui apparteniamo. È troppo facile dire, o peggio ancora credere, che quello che è accaduto non accadrà di nuovo… non fatevi ingannare, cari amici, è già successo. Ad esempio non avremo mai il numero dei morti, e sto parlando degli anni settanta, che ci furono nei campi di sterminio cambogiani dove il regime dei Khmer Rossi ha prodotto risultati che variano da un minimo di 800.000 a un massimo di 3.300.000 morti. Questo conteggio riguarda le vittime delle esecuzioni, delle carestie e dei disagi. Il governo vietnamita parlò di 3.300.000 morti mentre Lon Nol si vantò di averne eliminati 2.500.000. L'Università di Yale giudica la cifra intorno al 1.700.000 unità mentre Amnesty International ne da qualcuna in meno 1.400.000, ultimo e non meno importante il dipartimento di Stato degli USA che ne considera solo 1.200.000. Tutto questo può essere da noi considerato normale? 3milioni, 2 milioni, 1 milione mezzo e chi più ne ha più ne metta, ma qui non stiamo parlando di pecore alla vigilia della Pasqua, questi numeri, nella loro freddezza spersonificata, come i sei milioni di Auschwitz, nascondono volti di uomini, donne, vecchi e bambini. Persone che avevano nome, un cognome, una vita da vivere e tanti sogni irrealizzati. Qualcuno potrebbe pensare che questo mio esempio è lontano da noi, è successo dall'altra parte del mondo, fuori dalla nostra portata. Certo la Cambogia è lontana, ma le fucilazioni di massa nella ex Jugoslavia sono state perpetrate proprio dietro la porta di casa nostra, nel cuore dell'Europa continentale, e nessuno ha mosso un dito se non quando era già troppo tardi. Anche in quel caso, mi duole dirlo, la comunità internazionale legata da mille laccetti più o meno seri, più o meno politici ha lasciato che città intere, e Sarajevo ne è il simbolo, fossero praticamente rase al suolo. Sempre alle porte dell'Italia e nel cuore dell'Europa continentale abbiamo assistito a scontri armati che si consumavano all'interno delle stesse famiglie perché essere serbo o essere croato era un motivo sufficiente e necessario per essere eliminato. Il buio della ragione, questo è quello che noi più che combattere dobbiamo prevenire senza delegare questo lavoro a nessuno, perché nessuno può garantirci nulla. Solo noi stessi possiamo essere garanti, solo noi stessi possiamo insegnare alle future generazioni la luce della vita gettando il seme della convivenza pacifica e civile fra le genti. Concludendo voglio ribadire il concetto a me caro che il modo migliore per onorare chi sull’altare dei forni crematori ha sacrificato, suo malgrado, la vita, è una medaglia con due lati: da una parte il massimo impegno affinché il ricordo rimanga indelebile e, dall’altra, la nostra attenzione su tutte le manifestazioni di antisemitismo e di razzismo, palesi e no, senza sottovalutarle e combattendole prima che possano nuovamente diventare pericolose.


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