Sul SOLE24ORE di oggi, 28/01/2012, a pag.8, Ugo Tramballi riferisce da Davos (Svizzera) sulla presenza islamica agli incontri sull'economia internazionale. Nulla di strano che vi partecipino gli esponenti dei nuovi regimi post-rivoluzione primaverile/invernale. Meno ovvio è il tono dei due articoli di Tramballi che non tengono conto delle reali situazioni politico-ideologiche che si stanno instaurando in quei paesi, passsati da dittature laiche a dittature islamiche.
Per capire quel succede in Egitto è utile leggere l'analisi dell'ambasciatore Zvi Mazel, pubblicata oggi su IC,
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=43162
dalla quale si evince che il pallino è nelle mani dei Fratelli Musulmani, sarà quello l'islam che il capitalismo incontrerà, altro che la Lega Araba, il cui potere decisionale lo vede soltanto Tramballi.
Ecco i due articoli:
"A Davos l'Islam incontra il capitalismo "
DAVOS. Dal nostro inviato
Ma lei non si sente un po' a disagio ad essere qui? «Perché mai? È al Forum che sono gli investitori, non al Cairo. Quindi siamo venuti al Forum», risponde Abdel Moneim Fotuh, candidato islamico alle presidenziali egiziane. I Fratelli musulmani incontrano il capitalismo: il confronto è interessante, il risultato non ancora chiaro.
Solo un anno fa la gente era già in piazza Tahrir ma a Davos ancora si celebravano le riforme economiche orientate al mercato, fatte dai regimi arabi nostri amici. Il World Economic Forum ha sempre commesso degli errori e ha sempre saputo correggersi. Perché il business occidentale molto preoccupato li ascoltasse, sono stati invitati il premier tunisino Hammadi Jebali, il capo del Governo marocchino Abdellah Benkirane e Fotuh. Silenzioso, c'è anche Rachid Gannouchi, il leader politico e morale del partito islamico moderato Ennahda, vincitore delle elezioni tunisine. Tutti islamici. L'unico laico è Amr Moussa, anche lui candidato alle presidenziali egiziane.
Il quadro del problema è descritto da Jebali: «Ottocentomila disoccupati, 200mila dei quali laureati: un quarto destinati alla disoccupazione; 400mila giovani guadagnano un euro al giorno. Questa è la nostra sfida». Il primo ministro si riferisce alla Tunisia ma parla per tutti gli altri. Il prezzo della libertà è stato più o meno calcolato: 56 miliardi di dollari in termini di riduzione dei Pil nei Paesi delle Primavere.
Il quadro è forse molto più preoccupante. Il nocciolo del problema è come la crisi sarà affrontata. Qual è, se ce n'è uno, il modello economico dell'Islam politico che vince le elezioni? «Oggi possiamo garantire i vostri interessi più che in passato. Voi investitori europei dovete tornare da noi, abbiamo bisogno dei vostri investimenti», s'infervora il marocchino Benkirane. «Ma abbiamo bisogno di stabilità sociale, dovete tenere conto che nei nostri Paesi sono state commesse molte ingiustizie nel nome dell'economia di mercato».
Fotuh, che si sente in campagna elettorale, trova un bello slogan per far tornare i 50 milioni di turisti di un tempo: «Il sole in Egitto è sempre lo stesso». Anche con gli islamici. «Vogliamo un sistema fiscale che garantisca giustizia sociale: come gli americani. Abbiamo bisogno della proprietà pubblica e privata. Diciamo una correzione del capitalismo, come Occupy Wall Street».
Non quel capitalismo delle riforme passate, screditato dall'inesistenza di distribuzione dei benefici e dalle rivolte. Ma capitalismo in ogni caso. Abdelilah Benkirane capisce che il messaggio non è chiarissimo né convincente. Occorre di più: «È vero, da giovani eravamo estremisti. Quando siamo entrati nella sfera politica abbiamo capito, siamo diventati più realisti. Se ancora avete dei dubbi - dice al business del Forum - venite a trovarmi, pranzeremo insieme. L'unica cosa che non farò sarà offrirvi del vino». Uscendo dalla sala delle conferenze, mentre spiega di sentirsi a suo agio a Davos, Abdel Fotuh incrocia Tim Geithner. Dopo i Fratelli musulmani tocca parlare al segretario al Tesoro americano. Il contatto è casuale e fugace. Prima o poi dovrà essere più concreto.
" Al Cairo la priorità è l'economia "
intervista con Amr Moussa
Amr Moussa
DAOS. Dal nostro inviato
I salafiti propongono di cambiare il sistema bancario egiziano. «Non stia ad ascoltare le voci più estremiste. Anche i salafiti hanno capito che le riforme economiche vanno attuate». Più di 10 anni alla guida della Lega Araba hanno fatto di Amr Moussa un mediatore. È la qualità che a giugno potrebbe portarlo a vincere le elezioni presidenziali egiziane. Fra i candidati al momento è il più quotato.
Ma quelle riforme le ha fatte Mubarak
Bisogna prima eliminare la corruzione che hanno prodotto. Ma anche nel nuovo sistema politico, quello economico non cambierà: gli investimenti saranno sempre i benvenuti.
Sarà lei il nuovo presidente?
Ci conto. E l'economia, insieme alla democrazia, sarà il primo punto della mia agenda.
Si apre ora una fase decisiva in Egitto: la riscrittura della Costituzione. Non sarà troppo islamica?
La Costituzione può solo essere scritta da tutte le componenti del Paese. Questo lo hanno capito molto bene anche gli islamici.
E i militari?
Appena il processo elettorale si concluderà il potere passerà ai civili. Anche i militari sono interessati a un accordo definitivo su questo. Stiamo andando lungo le linee di un sistema democratico.
ElBaradei non è d'accordo: si è ritirato dalla corsa presidenziale per protesta contro il potere militare.
Ho espresso il mio dispiacere. Io credo invece che la democrazia si consoliderà.
Scrivendo la Costituzione, la Fratellanza vorrebbe trasformare l'Egitto da repubblica presidenziale a parlamentare.
No, sarà presidenziale con un forte potere del premier. Un sistema misto alla francese.
U.T.
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