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Il Foglio Rassegna Stampa
28.01.2012 Balzac sul Nilo
Ritratto di Naguib Mahfouz, di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 28 gennaio 2012
Pagina: 8
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Balzac sul Nilo»

Sul FOGLIO di oggi, 28/01/2012, Giulio Meotti ricorda Naguib Mahfouz, l'unico Premio Nobel egiziano per la letteratura.


Naguib Mahfouz

Le celebrazioni per il centenario della nascita di Naguib Mahfouz sono la miglior risposta a chi vuole distruggere il suo genio”, ha proclamato il ministro della Cultura egiziano, Shaker Abdel Hamid, nell’aprire i festeggiamenti per la nascita dell’unico premio Nobel della Letteratura che il mondo arabo abbia mai avuto. “La medaglia ‘Naguib Mahfouz’ per la letteratura va al popolo egiziano”, ha scandito il direttore della sezione editoriale dell’Università Americana al Cairo, Mark Linz. La giunta militare al potere al Cairo sta tentando di trasformare il centenario in un evento politico, ma l’anniversario tanto atteso di Mahfouz coincide con la più dura delle damnatio memoriae. Nei giorni scorsi un leader islamico salafita, Abdel Moneim el Shahat, rappresentante del secondo partito nel paese, ha proclamato che le opere del Nobel, ribattezzato da Time Magazine “il Balzac d’Egitto”, incitano “alla promiscuità, alla prostituzione e all’ateismo”. Shahat ha affermato che i romanzi di Mahfouz, reso celebre nel mondo per la sua “Trilogia del Cairo”, sono ambientati in gran parte “in bordelli e dove c’è droga” e che quindi devono essere banditi. Anche alcuni esponenti dei Fratelli musulmani, che assieme ai salafiti detengono il settanta per cento dei seggi del Parlamento egiziano, chiedono di rivedere la diffusione di alcuni racconti “blasfemi” di Mahfouz. L’Egitto, affermano i salafiti, deve essere “ripulito da ogni influenza straniera”. Vorrebbero anche che il Museo egizio venga chiuso e che le grandi statue faraoniche salvate dall’Unesco ad Abu Simbel siano ricoperte di cera. La Guida suprema della Fratellanza, Mohammed Badie, ha dichiarato che il movimento sta per realizzare la visione del suo fondatore assassinato, Hassan al Banna incominciando dalla “riforma dell’individuo seguita da quella della famiglia, della società, del governo per realizzare il giusto califfato”. Il presidente del partito salafista al Nour, Emad Abdel Ghafur, ha detto che opererà per lo stabilimento in Egitto di un regime “totalmente islamico”. Il premio Nobel per la Pace candidato alla presidenza, Mohammed ElBaradei, ha lanciato l’allarme sulle opere di Mahfouz, che a suo dire rischiano di fare la fine dell’Istituto egiziano del Cairo, fondato da Napoleone due secoli fa e distrutto durante recenti scontri fra esercito e manifestanti. Semplice segretario prima presso l’università, poi al ministero degli Affari religiosi, Mahfouz è stato una specie di Franz Kafka egiziano, un altro impiegato di genio che usava le proprie giornate lavorative per realizzare un’opera letteraria di dimensioni immense. Il primo moderno affresco del mondo arabo. “Sono diventato un poeta perché sono stato un impiegato”, amava dire Mahfouz. Nel 1956 lo scrittore pubblicò il primo volume della trilogia del Cairo: “Bayn al Qasrayn” (“Tra i due palazzi”), seguito nel 1957 da “Qasr al Shawq” (“Il palazzo del desiderio”) e nello stesso anno da “al Sukkariyya” (“La via dello zucchero”). Nel 1988 è il primo scrittore arabo a vincere il premio Nobel. La motivazione dell’Accademia di Svezia fu: “Per il suo cristallino realismo immerso nell’arte narrativa araba ma rivolto a tutta l’umanità”. Molto bene Mahfouz sarà definito “lo Zola del Nilo”. Noto anche come “lo scriba egiziano” e scomparso nel 2006 alla veneranda età di 94 anni, Mahfouz torna oggi a essere perseguitato dai fondamentalisti islamici che non gli hanno mai perdonato le pagine “irriverenti” e lo “spirito laico”. Troppo tollerante inoltre verso cristiani ed ebrei. Gli islamisti non hanno dimenticato neppure l’appoggio che Mahfouz fornì al presidente Anwar Sadat per la firma del trattato di pace di Camp David con l’odiato nemico israeliano. Per questo nel 1979 i paesi arabi presero a boicottare la pubblicazione delle novelle di Mahfouz, che ancora oggi sono introvabili in alcuni regimi mediorientali. Ancora nel 2001 “il venerato Mahfouz” scese in campo, praticamente unico fra i letterati egiziani, per difendere lo scrittore Ali Salem, espulso dall’Unione degli scrittori, per aver “normalizzato” i rapporti con Israele, contrariamente alle direttive dell’organizzazione. Il vecchio scriba portava anche addosso i segni dell’intolleranza. Nel 1994 uno sconosciuto lo ha avvicinato sotto casa al Cairo, sulle rive del Nilo, e lo ha pugnalato per ben due volte al collo. Aveva ottantadue anni Mahfouz, era diabetico e quasi cieco, eppure il commando legato ai Fratelli musulmani non ebbe alcuna pietà. Per l’attentato vengono arrestati e processati sette estremisti islamici, impiccati dal regime di Hosni Mubarak. “Abbiamo scelto il coltello – confessarono alla polizia – perché volevamo torturare la vittima a lungo prima di farla morire di morte lenta”. Anche l’Università di al Azhar, la più alta autorità dell’islam sunnita al Cairo, ha messo all’indice un suo romanzo (“I figli di Gebelawi”), giudicato “irriverente verso la religione”, perché dietro i principali personaggi tratteggiava il ritratto dei grandi profeti dell’islam. La condanna più violenta contro Mahfouz l’ha lanciata però Omar Abdel Rahman, il predicatore cieco implicato nella prima strage del World Trade Center a New York, e considerato il padre spirituale dei salafiti. “Chiunque dica male dell’islam è un apostata e il parere dell’islam è che debba essere ucciso a meno che non si penta”, disse lo sceicco. “Non voglio guardie del corpo”, aveva risposto secco Mahfouz. “Voglio poter camminare liberamente nella mia città”. Oggi la città che Mahfouz non ha mai lasciato ha il timore di celebrarne il centenario, sorgono piccoli gruppi di lettura nelle librerie, ma poco o nulla è stato fatto per festeggiare il nome del Nobel. C’è imbarazzo anche fra chi vorrebbe farne un simbolo della rinata libertà egiziana. “Il suo libro ‘Awlad Haretna’ (uscito nel 1991 in Italia come ‘Il rione dei ragazzi’) è propaganda per l’ateismo”, ha annunciato nei giorni scorsi un altro leader salafita. Chierici di al Azhar, da poco divenuta indipendente dal potere politico del regime, ricordano che il “padre della letteratura araba contemporanea” prima di morire chiese l’approvazione della potente università islamica per pubblicare il romanzo mai uscito come volume perché ritenuto “blasfemo” dai fondamentalisti. Proprio “Il rione dei ragazzi” è il libro che l’ideologo dei Fratelli musulmani, Sayyid al Qutb, fece bandire dall’Egitto nel 1959. Quando Mahfouz era vivo, salafiti delle cellule terroristiche presero di mira anche un caffè chic del centro storico del Cairo frequentato da turisti e da intellettuali e che portava il nome del premio Nobel. Tra i documenti sequestrati in un covo del jihad c’era anche un elenco di intellettuali da eliminare. Inutile dire che in testa alla lista nera c’era lui, il vecchio Mahfouz. Il romanzo “Il rione dei ragazzi”, scritto come un’allegoria della storia umana, che segue i principali profeti biblici e tratta di giustizia sociale, sfruttamento e abuso di potere, è l’opera che continua a suscitare le ire dei fondamentalisti islamici che lo hanno accusato di “blasfemia” e di avere distorto il Corano, diventando così un “apostata”. Il romanzo è tra i meno conosciuti di Mahfouz, nulla di paragonabile alla fama della “Trilogia”, eppure è l’opera che ha segnato di più la sua vita. Al pari del Corano, l’opera di Mahfouz consta di 114 capitoli e i suoi protagonisti richiamano le figure di Dio, Adamo, Mosè, Gesù e Maometto. E’ una saga famigliare, ambientanta come la maggior parte delle opere di Mahfouz in un quartiere del Cairo. Gabalawi è circondato dai suoi figli, il prediletto Adham e il ribelle Idris. Il capofamiglia rappresenta Dio; il quartiere è il mondo terreno; Adham è Adamo, che viene cacciato di casa, proprio come Adamo dal Paradiso; Idris è Iblis, il diavolo, odia Adham; Gabalawi, nome che in arabo significa “monte”, corrisponde a Mosè a cui Dio si rivelò sul Sinai; Rifa’a, in arabo “ascensione”, è Gesù che secondo la tradizione islamica sarebbe asceso al cielo e che nel romanzo viene accolto da Gabalawi nella sua dimora; Qasim è Maometto che raccoglie intorno a sé i seguaci, si sposa con una donna ricca più vecchia di lui proprio come Maometto fece con Khadija e abbandona il quartiere, come Maometto la Mecca; infine Arfa rappresenta la scienza, non appartiene a nessuna fede e ucciderà Gabalawi. Il romanzo ha una storia nera, dannata. Apparve a puntate il 21 settembre 1959 sul quotidiano egiziano al Ahram. Due mesi dopo la pubblicazione venne sospesa. Otto anni dopo, nel 1967, il romanzo venne pubblicato in versione integrale dalla prestigiosa casa editrice libanese Dar al Adab. Ma sebbene fossimo in piena epoca nasseriana, segnata dal più marcato laicismo e dalla guerra con i chierici religiosi, ne fu ufficialmente vietata la distribuzione in Egitto. Copie più o meno clandestine del romanzo erano sempre circolate nel paese unitamente alla traduzione in inglese a cura della American University in Cairo Press. Dopo l’assegnazione del premio Nobel per la letteratura nel 1988 il giornale logovernativo al Masà annunciò che avrebbe ripubblicato a puntate il romanzo. Ebbene Mahfouz stesso stavolta si oppose e chiese l’imprimatur della scuola di al Azhar. Il 30 ottobre 1994 la versione integrale di “Awlad haretna” venne distribuita come allegato nel numero speciale del quotidiano al Ahaly. Ancora una volta gli intellettuali egiziani si divisero. C’era una paura fortissima che i santi coltelli prendessero a colpire i blasfemi. In contemporanea all’uscita del romanzo viene pubblicato un comunicato di un gruppo di intellettuali che chiedono il ritiro del volume e di proteggere i diritti dell’autore sopravvissuto pochi giorni prima a un attentato. La discussione si riaccende nel 2005 quando l’editrice Dar al Hilal annuncia di volere pubblicare il romanzo nella collana popolare “I romanzi di al Hilal”. Tuttavia l’anno cruciale fu il 2006. Ebbene, a quasi cinquant’anni dalla condanna di apostasia, proprio a un passo dalla morte, Mahfouz si è piegato al diktat degli estremisti islamici legittimando e riconciliandosi con i Fratelli musulmani, chiedendo e ottenendo che fosse un loro teologo a curare la prefazione del suo romanzo. Così una delle più importanti case editrici egiziane, la Dar al Shuruq, annuncia la pubblicazione delle opere complete del premio Nobel comprensiva del romanzoblasfemo che sarebbe stato distribuito in Egitto e prefatto da Ahmad Kamal Abu al Magd, un intellettuale molto vicino all’estremismo islamico. C’è chi ha scritto che Mahfouz è stato per il mondo arabo quello che Emile Zola è stato per la Francia, Charles Dickens per l’Inghilterra e Fëdor Dostoevskij per la Russia. Eppure la sua memoria continua a essere un tabù per molti. Gli stessi religiosi che oggi vorrebbero bandire Mahfouz se la stanno prendendo con il capolavoro più amato e osannato della letteratura orientale. Sono “Le mille e una notte”, le storie di Shahrazad, di Aladino, di Sindbad il Marinaio, di Ali Babà e dei quaranta ladroni. Questo famoso zibaldone di storielle continua a infuriare gli islamisti, perché la protagonista è un’“eretica” come Shahrazad, la figlia dei Sassanidi, re della Persia pre-islamica e zoroastriana, prima della conquista araba del 641 d. C. Si chiamano “Avvocati senza restrizioni” i fustigatori delle novelle che hanno chiesto la messa al bando del celebre libro, definito “osceno”. Cercano di sfruttare l’articolo 178 del codice penale egiziano, secondo il quale chi pubblica “materiale immorale” rischia due anni di carcere. Già negli anni Ottanta gli islamisti tentarono, invano, di bandire “Le mille e una notte”. Il libro parla fin troppo di sesso, sensualità, erotismo, e proprio il sesso ha avuto molto a che fare con la sua fortuna in occidente, sin da quando un diplomatico francese in missione in oriente, Antoine Galland, portò Shahrazad in Europa e cominciò a tradurla agli inizi del XVIII secolo. Nel “Tempo ritrovato” Proust non nasconde il fascino subìto da questa raccolta di storie. I racconti furono capaci di fondare l’immagine di un oriente incantato, misterioso, fantastico. Edward Saïd, teorico dell’orientalismo, scrisse invece che il libro fu la vera premessa e giustificazione di ogni colonialismo, non solo culturale. “Comprendiamo che questo tipo di letteratura è accettabile in occidente, ma noi abbiamo una cultura differente”, dice Ayman Abdel Hakim, a capo degli avvocati islamici querelanti. Mohamed Salmawy, a capo del sindacato degli scrittori, replica che “il movimento islamista vuole riportare indietro gli intellettuali”, paragonando l’eventuale messa al bando del libro alla distruzione dei Budda di Bamyan da parte dei talebani in Afghanistan. Nei mesi scorsi un allievo di Mahfouz, Sayyid al Qemany, un famoso intellettuale e ricercatore di scienze sociali noto anche come il “Voltaire arabo” (è l’Economist a ribattezzarlo così) per le sue critiche al mondo islamico moderno, è stato condannato per “eresia” dalla commissione del Consiglio di stato egiziano. L’attivista è stato costretto a restituire lo State Merit Award, il massimo premio nazionale offerto dal ministero della Cultura del valore di oltre 20 mila euro, vinto da Qemany nel 2009 per il suo contributo alle scienze sociali. Secondo il tribunale il riconoscimento viene pagato con soldi pubblici e non è giusto che la popolazione finanzi una persona che “scrive contro l’islam”. Il Consiglio di stato ha deciso che “gli scritti di Qemany violano il Corano e la Sunna e sbeffeggiano i Profeti e Allah”. I fondamentalisti islamici avevano affisso il nome di Qemany sulla porte di alcune moschee radicali. Qemany era già finito nelle mire islamiste per aver proposto l’abolizione dell’articolo due della Carta egiziana che pone la sharia come base dello stato. Nel 2005, per timore proprio di un gorgo d’intolleranza, Qemany rinunciò pubblicamente a esporre le sue tesi controverse e liberali. Una dozzina di sue opere sono state bandite dai censori di al Azhar. Il rischio ancora oggi è di finire come lo scrittore liberale Farag Foda, amico e collaboratore di Mahfouz che pochi giorni dopo essere stato dichiarato “apostata” nel 1992 venne ucciso assieme al figlio. In quell’occasione il più insigne teologo islamico, Mohammad al Ghazali, appartenente al movimento dei Fratelli musulmani, legittimò in tribunale l’attentato terroristico: “L’uccisione di Farag Foda è stata di fatto l’esecuzione della punizione nei confronti di un apostata che lo stato non aveva attuato”. E’ lo stesso al Ghazali che nel 1959 aveva condannato per apostasia il premio Nobel. A mezzo secolo dalla sua condanna a morte, il venerato “pornografo” rifiuta di congedarsi dal suo amato Egitto. E “Il rione dei ragazzi” continua a rappresentare il pegno, più che della critica letteraria, di una dura guerra esistenziale e politica.

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