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Il Giornale Rassegna Stampa
25.01.2012 Luigi Cavalli-Sforza e il fallimento scientifico del concetto di razza nell’uomo
commento di Giorgio Israel

Testata: Il Giornale
Data: 25 gennaio 2012
Pagina: 28
Autore: Giorgio Israel
Titolo: «Studiando le razze ha distrutto il razzismo»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 25/01/2012, a pag. 28, l'articolo di Giorgio Israel dal titolo "Studiando le razze ha distrutto il razzismo".


Giorgio Israel, Luigi Luca Cavalli-Sforza

Chi si è occupato della storia delle teorie razziali e del razzismo prova riconoscenza nei confronti di Luigi Luca Cavalli-Sforza per aver compiuto un’opera meritoria: aver demolito l’idea che il concetto di razza abbia fondamento scientifico. Non è un’operazione di poco conto, solo che si pensi quanto ancora resiste il pregiudizio che le razze esistono, e anche quello che esistano razze superiori e inferiori, che è poi l’ideologia detta «razzismo». Qualche anno fa, in un pubblico dibattito, fui aggredito da alcune persone, che pure si dichiaravano e ritenevano tutt’altro che retrive, per aver detto che il concetto di razza è inconsistente e che le razze non esistono: mi fu di scudo l’opera di Cavalli-Sforza. L’attaccamento ostinato all’idea di razza si constata tutti i giorni, per esempio quando si «spiega» in termini genetici la maggiore attitudine per una certa attività intellettuale o manuale che avrebbe un certo gruppo umano. Intendiamoci. Cavalli-Sforza è un genetista e la sua escursione nella storia dell’umanità segue percorsi genetici. Ciò fa dire ad alcuni che il suo approccio è ispirato da un materialismo che non intralcia la propensione verso quella che è stata chiamata la « gene-for syndrome », ovvero la pretesa di voler spiegare tutto in termini di geni. I suoi studi sulle connessioni tra geni e lingue potrebbero persino essere considerati come la ripresa di un’idea di uno dei fondatori del razzismo biologico moderno, Vacher de Lapouge. C’è chi sostiene una tesi «aperta» al concetto di razza: dice che esso poteva essere scientificamente fondato, se qualcuno fosse riuscito a stabilire questo fondamento, e non esclude che questa dimostrazione possa ancora essere ottenuta. Sono convinto che la storia delle teorie razziali mostri il loro carattere intrinsecamente ideologico, strutturalmente estraneo alla possibilità di qualsiasi definizione avente carattere oggettivo, nel senso in cui si dice che un concetto è «scientifico». Ma proprio per questo - per l’approccio rigorosamente genetico - lo smantellamento del concetto di razza da parte di Cavalli-Sforza non lascia spazio a chi vorrebbe ancora tener aperta la porta a una sua riconsiderazione in termini scientifici. Egli ha dimostrato che tutti gli stereotipi diffusi su cui si basa la classificazione razziale (colore della pelle, colore e aspetto dei capelli e dei tratti facciali) riflettono differenze superficiali costituitesi in tempi recenti e dovute a fattori climatici o forse alla selezione sessuale, ma che non trovano riscontro nei caratteri genetici. Anzi - questa è la conclusione decisiva - vi è una grande eterogeneità genetica tra individui, quale che sia la popolazione di origine. «Questa variazione - afferma Cavalli-Sforza - è sempre grande in qualsiasi gruppo, sia esso quello di un continente, di una regione, una città o un villaggio, ed è più grande di quella che si trova tra continenti, regioni, città o villaggi». In altri termini, vi può essere più distanza genetica tra due abitanti di un paesino italiano che tra uno di essi e un abitante di un lontano villaggio africano. Di qui la conclusione nettissima: «La purezza della razza è inesistente, impossibile e totalmente indesiderabile». Quanto tempo ci vorrà ancora perché entri nel senso comune quello che Cavalli-Sforza ha definito il «fallimento scientifico del concetto di razza nell’uomo»?

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