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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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A.B. Yehoshua, La scena perduta 23/01/2012

La scena perduta                                 A.B. Yehoshua
Traduzione di Alessandra Shomroni
Einaudi                                                     euro 21

Il titolo originale de La scena perduta, l'ultimo romanzo di A.B. Yehoshua appena uscito
in italiano nella puntuale traduzione italiana di Alessandra Shomroni, suona enigmaticamente come «Carità spagnola». Un titolo strano, eco diretta di quella Caritas romana che informa ogni pagina del libro. Questo è infatti il nome di una celebre
scena-mito della tarda classicità, in cui una giovane donna di nome Pero porge pietosamente il seno al padre Cimone per salvarlo dalla morte per fame cui è stato condannato. Ma questa scena è anche, soprattutto, l'ossessione inconfessata - anzi no,
confessata in un momento cruciale del romanzo - di Yair Moses, attempato regista israeliano cui un variegato e insolito gruppo di cinefili spagnoli dedica una retrospettiva.
Gran parte del romanzo ha luogo fra una visione e l'altra della rassegna cinematografica, a
Santiago de Compostela. Ma il lettore deve sapere sin dall'inizio che di una visione non piatta e banale si tratta: e cioè, non tanto sullo chermo che rende onore al regista,
ma anche e soprattutto in un cammino a ritroso dentro la sua vita, in particolare nel non
detto della medesima,che ha davvero un sapore visionario. Trasognato, improbabile eppure vero. E', quest'ultimo romanzo di Yehoshua,un libro per certi versi aderente con fedeltà ai suoi canoni stilistici e sostanziali, per altri decisamente eccentrico. Lunghe pagine sono dedicate, ad esempio, alle trame dei film che il non folto pubblico della retrospettiva vede e il lettore trova scritti. Ma ogni volta arriva puntuale uno sdoppiamento spiazzante fra quello che c'è e quello che manca o è stato per una ragione o per l'altra espunto dalla scena del film. Ed è per questo che il titolo italiano rende onore forse persino più dell' originale (troppo carico di riferimenti interni per «passare» con efficacia immediata) al senso di tutto il romanzo. Perché la «scena perduta» non è solo, per drammatica coincidenza, qualcosa di molto simile alla caritas romana che lo sceneggiatore avrebbe voluto ma cui regista e attrice principale si sono opposti tanto tempo fa sul set, creando con ciò un inestricabile nodo di risentimenti, conti aperti, silenzi profondi e distacco tanto inevitabile quanto assurdo nella loro relazione a tre. La scena perduta è il leit motiv di questo romanzo e di tutto ciò che la retrospettiva provoca nella
mente di Yair Moses. Continuamente stordito da ricorrenze,mancanze, assenze e comparse: dalla scelta dei film all'assortimento umano che incontra a Santiago,
tutto gli suscita domande che non trovano risposta. Il fatto è che dietro questa retrospettiva c'è una figura centrale e rimossa, proprio come le innumerevoli scene del
passato di Yair: quella di Shaul Trigano. Sceneggiatore, allievo, contendente del regista lungo tutta la vita. Colui che avrebbe voluto la scabrosa scena della carità romana
su uno sfondo per nulla sacro, che ha amato l'attrice ora compagna del regista. Un intrico, insomma, che a svelarlo nulla si toglie del mistero di cui il romanzo è intriso. E che sconvolge per primo il suo disorientato protagonista, costretto a tornare sui propri passi nel senso ebraico del termine, teshuvah: riconsiderare il passato per trovarvi approssimativo rimedio. In parole povere, è il modo ebraico per dire «pentimento». E non sembra del tutto azzardato chiamare in causa questo canone teologico per un romanzo
ambientato in una Santiago de Compostela surreale nella sua formidabile commistione di sacro e profano, tragico e sarcastico, dove non manca una sinagoga con un rabbino che parla con una mangusta, a dare voce a quel mistero di cui è condita la vita. Che sia di
Yair Moses o uno qualunque di noi, alle prese con questo complesso e insolito romanzo,colmo di stupore ma anche di dolcezza.

LENA LOEWENTHAL
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