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Libero Rassegna Stampa
20.01.2012 Affrontare l'orrore della Shoah senza banalizzarla come ha fatto Benigni
Art Spiegelman ci è riuscito con il suo fumetto 'Maus'

Testata: Libero
Data: 20 gennaio 2012
Pagina: 28
Autore: Tommaso Labranca
Titolo: «Anche il fumetto racconta le tragedie»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 20/01/2012, a pag. 28, l'articolo di Tommaso Labranca dal titolo " Anche il fumetto racconta le tragedie ".
Ecco come Spiegelman giudica il film di Benigni:
"
«Benigni riprende la storia reale per trasformarla in fantasia. Usa la metafora per dire che Auschwitz non è Auschwitz, ma solo la rappresentazione di un brutto periodo da prendere con ironia. Questa è una vergogna ».Ben Detto !


Maus               Roberto Benigni
in alto a destra, Art Spiegelman

Il giornalista tedesco si alzò e quasi urlò: «Non pensa di aver compiuto qualcosa di cattivo gusto usando i fumetti per raccontare Auschwitz?». «No. Credo invece che Auschwitz sia stato qualcosa di cattivo gusto». Lo scambio di battute, che ricorda quello tra Picasso e un altro tedesco davanti al quadro Guernica, si svolse alla Buchmesse di Francoforte tra un giornalista e il disegnatore Art Spiegelman, a proposito di Maus, una potente metafora in forma di graphic novel, un libro noto in tutto il mondo scritto e disegnato proprio da Spiegelman. Che aggiunge: «Non mi capita spesso di avere la battuta pronta. Ma quella volta mi congratulai con me stesso».
Non è vero. Art Spiegelman è un interlocutore simpatico e brillante e lo ha dimostrato anche ieri a Torino, nell’incontro con la stampa che anticipava una sua lezione con immagini che si è tenuta alla sera al Circolo dei Lettori in collaborazione con la Scuola Holden. La lezione aveva un titolo fumettistico, «What the %&*! happened to comics?» («Cosa %&*! è successo ai fumetti?»). Grande tradizione
Aulico o popolare, serio o frivolo, romanzo o fumetto. È giusto fare ancora distinzioni? Spiegelman spiega che sino dal neoclassicismo, dai tempi in cui Lessing descrisse il gruppo scultoreo del Laocoonte, l’Europa è rimasta vittima di una idea deviata: la sofferenza hauna bellezza che deve essere descritta in toni elevati. Lui ha fatto il contrario. Ha preso uno dei grumi di sofferenza più sanguinosi del XX secolo, la Shoah, è l’ha descritto con i toni pop del fumetto. Nulla di diverso in fondo dai cantastorie che raccontavano i fatti di Roncisvalle usando ingenui disegni che arrivavano però a tutti. Oggi leggere un fumetto che parla di campi di concentramento non provoca scandalo e quello sbraitante giornalista tedesco rappresenta l’eccezione. Nel 1992 Spiegelman vinse il Pulitzer per Maus. Ma nel 1973, quando uscì la prima parte del libro, le cose stavano ben diversamente. In America i comics erano materiale per bambini o frutto delle allucinazioni di drogati da underground. In Italia nessuna libreria seria avrebbe tenuto sugli scaffali i fumetti, pubblicazioni che le professoresse di italiano deprecavano insieme ai gialli. Per Art i fumetti sono stati una finestra per conoscere il mondo ignoto che lo aveva accolto: gli Stati Uniti. Spiegelman è nato da genitori ebrei polacchi, i racconti del padre Vladek, sopravvissuto ai campi di sterminio, sono la base della narrazione diMaus. Dalla Polonia gli Spiegelman dopo la guerra vanno in Svezia ed è lì che nel 1948 nasce il disegnatore. Poco dopo eccoli emigrare definitivamente negli Stati Uniti dove sperano che il figlio diventi dentista. Invece Art sceglie un’altra strada. Ricorda che nell’America degli anni Cinquanta giocare a baseball era un obbligo. Un maschietto che non lo avesse fatto era considerato nella scala sociale meno di una bambina. Art non poteva giocare a baseball: vede da un occhio solo e quindi ha una visione bidimensionale che non gli permette di calcolare bene le traiettorie delle palle da rilanciare. Così dopo la scuola il piccolo fuggiva in biblioteca dove lesse tutti fumetti a disposizione. Scoprì allora che il mondo a due dimensioni del disegno gli era più congeniale di quello reale a tre dimensioni. Qualcuno domanda allora se i video, il cinema in tre dimensioni oggi non mettano a repentaglio l’esistenza di un medium bidimensionale come i comics. Spiegelman non è d’accordo. Specifica di non essere un luddista, un nemico della tecnologia. E spiritosamente indica la sigaretta elettronica che ha tenuto accesa per tutto il tempo e che, aggiunge, «alterna alle normali sigarette analogiche». Poi precisa che i fumetti sono più vivi che mai. Negli anni Ottanta con la moglie Françoise, direttrice artistica del prestigioso New Yorker, aveva fondato Raw, una rivista il cui sottotitolo specificava che i fumetti non erano solo cose per bambini. Anni dopo si resero conto che a furia di dirlo i fumetti avevano perso di vista proprio i più piccoli e allora fondarono Little Lit’, perché i fumetti non dovevano essere solo una cosa per adulti.
La vita non è bella
Ciò che Spiegelman tiene a sottolineare è che non è il mezzo a creare la dignità del messaggio, ma il modo in cui un prodotto viene presentato. La sua critica del tanto acclamato film di Benigni La vita è bella è da ovazione. «Benigni riprende la storia reale per trasformarla in fantasia. Usa la metafora per dire che Auschwitz non è Auschwitz, ma solo la rappresentazione di un brutto periodo da prendere con ironia. Questa è una vergogna ». Anche Maus è una metafora e non dappertutto è stata ben compresa. Ai polacchi non ha fatto piacere essere stati rappresentati come maiali. Eppure, sottolinea Art, è la storia ad averli ridotti a quel ruolo. I polacchi erano fuori dalla lotta tra gatti (i tedeschi) e i topi (gli ebrei). Anche nel libro qualcuno di loro si comporta da vero maiale, ma molti hanno atteggiamenti più umani. Comunque ognuno vede quello che vuole vedere. Per i coreani (Maus è stato tradotto in oltre 30 lingue) i gatti non rappresentano tanto i nazisti, quanto i giapponesi. Spiegelman è un uomo e un artista a tutto tondo, dai mille interessi e dalle tante esperienze. Eppure il suo nome è legato quasi solo a Maus. «Quando ho cercato di togliermi la maschera di Maus, ecco che ho dovuto indossare quella di Meta Maus». Meta Mausè il titolo del suo nuovo libro, uscito in America un paio di mesi fa e che Einaudi pubblicherà fra poco, in cui Spiegelman risponde in una serie di interviste a tutte le domande su Maus. Che resta un testo imprescindibile, da leggere sempre e non solo in occasione della imminente Giornata della Memoria. Art giustamente non ama molto queste celebrazioni. «Una volta all’anno si dice che non dobbiamo dimenticare. Però dopo Auschwitz ci sono state le guerre etniche africane, quelle nei Balcani... Evidentemente non sappiamo nemmeno ricordare».

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