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La Stampa Rassegna Stampa
14.01.2012 Obama: ultimatum a Khamenei
La cronaca di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 14 gennaio 2012
Pagina: 18
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Obama, ultimatum a Khamenei»

Sulla STAMPA di oggi, 14/01/2012, a pag.18, con il titolo " Obama, ultimatum a Khamenei", Maurizio Molinari  aggiorna il rapporto Usa-Iran.
Ecco l'articolo:

Barack Obama ha inviato ad Ali Khamenei un messaggio segreto, avvertendolo che se l’Iran chiuderà lo Stretto di Hormuz gli Stati Uniti risponderanno con un intervento militare. A rivelare il passo del presidente americano è il «New York Times», spiegando che è stato usato un canale diverso dall’ambasciata svizzera a Teheran - che rappresenta gli interessi Usa in assenza di rapporti diplomatici - come già avvenne nella primavera 2009, quando la Casa Bianca mandò almeno due richieste scritte al Leader Supremo della rivoluzione islamica per suggerire un negoziato diretto sul contenzioso nucleare.

Se allora la scelta della lettera di Obama voleva testimoniare l’impegno a una svolta positiva con Teheran, adesso il messaggio presidenziale sulla «linea rossa da non superare» ha il significato di un chiaro monito sull’incombente rischio di guerra nel Golfo Persico, conseguente alla minaccia dell’Iran di bloccare la navigazione negli Stretti di Hormuz attraverso i quali passa un quinto dell’export globale di petrolio.

Parlando alle truppe a Fort Bliss, in Texas, il ministro della Difesa Leon Panetta ha adoperato anche lui - e per la seconda volta in cinque giorni l’espressione «linea rossa», precisando che «le linee sono due» in quanto una riguarda la chiusura di Hormuz e l’altra la produzione di ordigni nucleari. Se il messaggio di Obama a Khamenei concerne la prima, è perché si tratta dello scenario considerato più verosimile dal Pentagono nel breve termine, come conferma l’ammiraglio Jonathan Greenert, capo delle operazioni navali, spiegando che «è la questione che mi tiene sveglio la notte».

Il motivo riguarda le potenzialità delle Guardie della rivoluzione, il corpo militare che risponde agli ordini di Khamenei e ha dimostrato nelle ultime settimane di disporre degli armamenti capaci di bloccare la navigazione a Hormuz, che nella parte più stretta misura appena 56 km fra le coste di Iran e Oman. Il Pentagono è arrivato a descrivere un possibile scenario di guerra: l’Iran inizierebbe minando Hormuz con centinaia di ordigni rudimentali, posizionati da barchini veloci, aspettando l’intervento dei cacciamine della Us Navy per bersagliarli con i missili antinave recentemente messi in mostra. A quel punto Washington dovrebbe impiegare l’aviazione puntando a eliminare le unità missilistiche dei pasdaran che però possiedono la capacità di colpire navi anche a grande distanza.

«Un missile da crociera antinave può neutralizzare una portaerei, se riesce a colpirla» ammette lo stratega della Us Navy Michael Connell. L’intelligence Usa ha osservato negli ultimi tempi un aumento delle scorte iraniane di mine, missili antinave e barchini veloci, arrivando alla conclusione che, come dice Martin Dempsey capo degli Stati Maggiori Congiunti, «possono bloccare lo Stretto ma poi noi possiamo riaprirlo». Al Dipartimento di Stato si dubita tuttavia che Teheran abbia reale interesse a chiudere Hormuz perché sarebbe proprio l’Iran a pagarne il prezzo più alto, non riuscendo più a esportare petrolio come ad importare cibo.

L’impressione è che Teheran stia giocando la carta-Hormuz per tentare di scongiurare sanzioni petrolifere come quelle che i Paesi dell’Ue si avviano a decidere alla riunione dei ministri degli Esteri del 23 gennaio. Nella bozza di accordo in discussione si ipotizza di consentire a Italia, Spagna e Grecia un ritardo di sei mesi nella rinuncia al greggio iraniano per dar loro il tempo di trovare fonti alternative. A vedere con preoccupazione l’escalation nel Golfo è la Russia di Dmitry Medvedev, che con il suo ambasciatore presso la Nato Dmitry Rogozin si dice «contraria al boicottaggio petrolifero» come anche «ad ogni intervento militare contro il programma nucleare di una nazione a noi vicina».

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