Lo scorso 28/12/2011 abbiamo pubblicato una pagina di critica al giornale delle Coop, titolato " Come cancellare Israele dalle cartine geografiche senza razzi ". Ecco il link per leggerla:
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=283&sez=110&id=42770
Il direttore, dopo aver ricevuto e-mail di protesta, ha inviato a tutti questa lettera. La proponiamo a nostri lettori, sottolineandone l'ipocrisia, soprattutto laddove si scrive " una rivista che non si occupa certo di politica estera ma che si rivolge a tante famiglie per parlare di consumi, ambiente, sostenibilità e tempo libero ". Curioso, un articolo tutto impostato a negazione della legittimità di Israele e nello stesso tempo negare che la rivista si occupi di politica estera ! Da leggere, per capire fino a che punto può arrivare l'ipocrisia - e la faccia tosta - delle Coop.
Gentile signor ***, il tono degli attacchi e degli insulti che abbiamo ricevuto da molti di quelli che hanno scelto di scriverci dopo la pubblicazione dell’articolo di Giuseppe Ortolano sulla Palestina è tale (razzisti, filonazisti, vigliacchi, ignoranti, ecc. ecc.) che è davvero difficile immaginare un possibile filo di replica e di confronto. Si aggiunga che, come redazione di una rivista che non si occupa certo di politica estera ma che si rivolge a tante famiglie per parlare di consumi, ambiente, sostenibilità e tempo libero, non c’è l’ambizione di entrare nel merito, come pur sarebbe legittimo, su diversi punti della questione (lo status di Gerusalemme, i territori occupati, le risoluzioni Onu in proposito, il fatto che nelle guide turistiche si parli tranquillamente di Gerusalemme est o altro ancora). Ci preme solo proporre e far chiarezza su quelle che sono alcune nostre convinzioni di fondo a cominciare dal fatto che nella drammatica vicenda del conflitto che da troppi anni caratterizza quelle terre, bene e male non si possono separare con l’accetta. Il dramma degli attentati contro la popolazione civile israeliana, che molti hanno citato nelle lettere che abbiamo ricevuto, è incancellabile e intollerabile. Ma anche sull’altra sponda troviamo cose che ci paiono gravi come, per citare un episodio più che mai simbolico, i bimbi palestinesi presi a sassate dai coloni mentre vanno a scuola. Siamo convinti che, oggi come ieri, occorra fare di tutto per trovare elementi di dialogo e di comprensione reciproca, anziché ulteriori spunti di scontro e polemica. Già constatare che in questo il nostro articolo non ha funzionato è per noi una sconfitta. Sicuramente può esserci stata una sottovalutazione, da parte nostra,, nel proporre, anche indirettamente, in una rubrica dedicata al turismo, un tema così delicato. E sicuramente citare esplicitamente lo Stato di Israele sarebbe stato opportuno. Ma non averlo citato non vuole certo dire non riconoscere il suo diritto ad esistere e a una vita pacifica per tutte le persone che ci abitano. In questo senso speriamo possa essere utile affidarsi, come proprio un lettore rivolgendosi a noi ha fatto (e condividiamo la sua scelta), alle parole di un grande scrittore israeliano come David Grossmann, che ricevendo, in Germania, il premio per la pace ha detto: “Dopo cento anni di guerre e decenni di occupazione e di terrorismo la maggior parte degli israeliani e dei palestinesi non crede infatti più nella possibilità di una vera pace. Non osa nemmeno immaginare una situazione di pace. È ormai rassegnata al fatto di essere probabilmente costretta a vivere in una spirale infinita di violenza e di morte. Ma chi non crede nella possibilità della pace è già sconfitto, si è autocondannato a una guerra continua. Talvolta occorre ricordare - e di certo su questo autorevole palcoscenico - ciò che è ovvio: le due parti, israeliani e palestinesi, hanno il diritto di vivere in pace, liberi da occupazioni, dal terrorismo, dall'odio; di vivere con dignità, sia a livello del singolo che come popoli indipendenti in un loro stato sovrano, di guarire dalle ferite provocate da un secolo di guerre. E non solo entrambe le parti hanno questo diritto, hanno anche un estremo bisogno della pace, un bisogno vitale. Non posso parlare di cosa si aspettino i palestinesi dalla pace. Non ho il diritto di fare i loro sogni. Posso solo augurare loro, dal profondo del cuore, che conoscano al più presto un'esistenza di libertà e di sovranità dopo anni di schiavitù e di occupazione sotto turchi, inglesi, egiziani, giordani e israeliani; che costruiscano la loro nazione, uno stato democratico, in cui crescere i figli senza paura, godere di una vita normale, di pace, e di quanto essa può offrire a qualunque essere umano. Posso però parlare dei miei desideri e delle mie speranze di israeliano e di ebreo. Ai miei occhi la parola "pace" non definisce soltanto una situazione in cui finalmente la guerra, con tutte le sue paure, sarà finita e Israele manterrà buoni rapporti con i suoi vicini. La vera pace, per Israele, significherà un nuovo modo di essere nel mondo, la possibilità di guarire lentamente da distorsioni causate da duemila anni di diaspora, di persecuzioni, di antisemitismo e di demonizzazione. E forse, fra molti anni, se questa fragile pace resisterà, se Israele rafforzerà le basi della propria esistenza e potrà sfruttare appieno il suo grande potenziale umano, spirituale e culturale, anche la sensazione di estraneità esistenziale, di isolamento, che l'uomo ebreo, che il popolo ebreo, prova in mezzo ad altri popoli, svanirà.“.
Il direttore di Consumatori Dario Guidi