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Il Foglio Rassegna Stampa
13.01.2012 Afghanistan: è Marc Grossman il nuovo negoziatore Usa con i talebani
commento di Mattia Ferraresi

Testata: Il Foglio
Data: 13 gennaio 2012
Pagina: 1
Autore: Mattia Ferraresi
Titolo: «Chi è l’inviato silenzioso che confabula con i talebani»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 13/01/2012, in prima pagina, l'articolo di Mattia Ferraresi dal titolo " Chi è l’inviato silenzioso che confabula con i talebani ".


Mattia Ferraresi, Marc Grossman

New York. Con una sincronia così perfetta da sembrare regolata ad arte, i grandi giornali americani hanno pubblicato altisonanti articoli su un’improvvisa accelerazione dei dialoghi di pace con i talebani. Dopo un anno di soffiate e smentite, finti ambasciatori talebani con il turbante carico di esplosivo, negoziatori farlocchi che scompaiono dopo aver spillato dollari agli agenti americani, mentre il riottoso e umbratile presidente afghano, Hamid Karzai, tende e ritrae la mano di fronte alle richieste del dipartimento di stato di fare da snodo delle trattative, la chiave che ha ridato vita al ciclo delle news è stato l’annuncio che i talebani sono pronti ad aprire un ufficio in Qatar per avviare le trattative. Parlando con i cronisti del Washington Post, un ufficiale del Pentagono ha descritto la situazione in questi termini: “Stiamo tirando fuori la macchina dal garage per un viaggio molto lungo”. Mercoledì il segretario di stato, Hillary Clinton, ha detto di aver chiesto “al nostro inviato speciale Marc Grossman di andare in Afghanistan la prossima settimana per continuare le consultazioni con gli afghani e di fermarsi in Qatar per discutere anche lì con i nostri partner”. E dalle nebbiose trattative coordinate da Washington – complicate ulteriormente dal video dei Marine che oltraggiano i cadaveri dei nemici: Karzai ieri ha parlato di “gesti disumani” – Grossman sta emergendo come la figura centrale. L’ambasciatore che ha in mano i dossier di Afghanistan e Pakistan è l’opposto stilistico del suo predecessore, il “bulldozer” Richard Holbrooke, negoziatore tanto scaltro quanto colorito che sotto diverse Amministrazioni s’è occupato delle missioni impossibili, dagli accordi di Dayton per la pace nei Balcani al mortale abbraccio con l’alleato pachistano. Una volta arrivato alla Casa Bianca, Obama ha nominato questa leggenda della diplomazia “rappresentante speciale” per Afghanistan e Pakistan – non semplice “inviato speciale”, diminutio che l’ambasciatore disprezzava profondamente – affidandogli il compito di creare una piattaforma per la riconciliazione con i talebani. Quando Holbrooke nel 2010 è morto improvvisamente, Grossman ha ereditato “il peggiore lavoro del mondo”, come lo aveva autorevolmente ribattezzato il veterano dell’antiterrorismo Bruce Riedel. Se Holbrooke era un mastino abituato a trattare con la stessa sfacciata decisione tanto il presidente afghano quanto i giornalisti, Grossman è un maestro di understatement, un uomo per tutte le stagioni che nella carriera ha indossato diverse casacche senza mai andare sopra le righe. Il sessantenne della California è stato richiamato dalla pensione per occuparsi di uno scenario che aveva visto da vicino all’inizio della carriera, quando serviva come ufficiale all’ambasciata americana di Islamabad. Grossman è stato ambasciatore in Turchia e assistente per gli affari europei negli anni di Clinton, sottosegretario a Foggy Bottom sotto l’Amministrazione Bush, ha lavorato con la Nato e gode di una prospettiva ampia sull’attività diplomatica americana. Finita la carriera di ambasciatore è diventato vicepresidente del Cohen Group, società di consulenza che aiuta le aziende a espandersi a livello globale guidata dall’ex segretario della Difesa, William Cohen, altra vecchia conoscenza di Washington che per tempra assomiglia più a Holbrooke che al suo braccio destro. Anche lì Grossman faceva la parte dell’eminenza grigia che lavora a porte chiuse. Le notizie di un momentum, un’inerzia favorevole, nel dialogo con i talebani non implicano che Grossman stia riuscendo dove nemmeno il bulldozer aveva avuto successo. La segmentata linea che congiunge Washington ai talebani del Pakistan non è semplice da raddrizzare, e non sfugge il fatto che la Casa Bianca, che ha un accordo con la Nato per ritirare le truppe entro la fine del 2014, abbia tutto l’interesse a presentare ogni centimetro guadagnato per via diplomatica come una conquista decisiva. Non aiuta certo la pubblicazione del National Intelligence Estimate, documento strategico fondamentale, secondo cui l’Afghanistan è un paese corrotto che rischia di collassare su se stesso (fonti dicono che il generale John Allen, capo della missione afghana, abbia già inviato una risposta non proprio garbata), ma per bilanciare c’è Grossman, l’Holbrooke di basso profilo che in silenzio cerca almeno di tirare fuori la macchina americana dal garage afghano.

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