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Il Foglio Rassegna Stampa
13.01.2012 Erdogan: come aiutare l'Iran nonostante le sanzioni
Turchia in Europa ?!

Testata: Il Foglio
Data: 13 gennaio 2012
Pagina: 3
Autore: La redazione
Titolo: «Quanti affari fa l’Iran grazie a una banca di stato in Turchia»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 13/01/2012, a pag. 3, l'articolo dal titolo "Quanti affari fa l’Iran grazie a una banca di stato in Turchia".


Mahmoud Ahmadinejad con Recep Erdogan

Roma. Si combattono due guerre per fermare la corsa dell’Iran alla bomba atomica. La prima è fatta di omicidi eccellenti nelle strade di Teheran, esplosioni che il regime preferirebbe tenere nascoste e manovre militari in ogni angolo del medio oriente. L’altra riguarda Borse, banche e monete di scambio, ed è quella che più preoccupa gli ufficiali del governo iraniano: il rial è arrivato al minimo storico nei confronti del dollaro e le sanzioni approvate il 31 dicembre dagli Stati Uniti bloccano i canali che portano alle casse degli ayatollah. Una di queste strade ha l’insegna rassicurante di Halk Bankasi, un istituto turco a capitale pubblico.
La sede principale si trova ad Ankara, la città dei palazzi del governo, ma uno sportello importante è proprio a Teheran e funziona a meraviglia. E’ grazie a quello che l’Iran mantiene i rapporti con i suoi debitori stranieri, con le società petrolifere e con le banche internazionali: anche nei momenti più difficili, le operazioni di Halk hanno portato valuta fresca e pregiata nei forzieri della Repubblica islamica. La banca ha aperto in Iran secondo una logica precisa: Ankara aveva bisogno di un sistema sicuro per regolare gli scambi con Teheran, soprattutto nel settore petrolifero, e si è scelto di farlo usando uno degli istituti che sono sotto il controllo del governo. Fiumi di petrolio attraversano ogni anno il confine da est a ovest, dai grandi giacimenti della Persia alle pianure dell’Anatolia.
La Turchia vive una stagione di crescita economica prodigiosa, il dato nazionale è vicino al 10 per cento, ma alcune aree del paese, soprattutto lungo il confine con la Siria, hanno cominciato a crescere soltanto nell’ultimo decennio e oggi vedono tassi di sviluppo da provincia cinese. Per sostenere il processo, il governo ha puntato sul petrolio e sulle risorse naturali dei vicini, che sono diventati in fretta fornitori di greggio e clienti di ogni altra cosa. Il ruolo di Halk è cresciuto insieme con questo commercio. Halk deve avere dato prova di grande affidabilità al governo iraniano, tanto da essere scelta per gestire i rapporti anche con altri paesi. Così, quando le sanzioni della Casa Bianca hanno convinto le banche indiane a ridurre i rapporti con Teheran, sono stati proprio i turchi a prendere il controllo del dossier. In poco tempo hanno cominciato a mediare fra gli ayatollah e Bharat Petroleum, la seconda raffineria dell’India, e hanno gestito lo scambio petrolio contro dollari. Lo scorso settembre, le due parti hanno chiuso un accordo milionario che permetterà all’Iran di esportare in India ventimila barili al giorno.
I pagamenti dovrebbero passare proprio attraverso i conti di Halk Bankasi. Non si tratta, comunque, di un’operazione semplice: secondo il governatore della Banca centrale iraniana, il debito di Bharat Petroleum ammonta già a cinque miliardi di dollari, una cifra enorme se si pensa che l’interscambio fra i due paesi non raggiunge i dieci. “Non facciamo nulla di illegale – ha detto il presidente di Halk, Suleyman Aslan – Non saremo mai coinvolti in attività che contraddicono regole internazionali”. La banca non ha ancora ricevuto indicazioni dal governo su eventuali cambi di strategia nei confronti dell’Iran. Tuttavia, ha informato le raffinerie indiane che potrebbe nascere qualche problema nei pagamenti già a partire dai prossimi mesi. Gli azionisti hanno intuito il pericolo: il solo annuncio delle sanzioni americane ha fatto crollare il titolo in Borsa, che ha perso circa il 10 per cento nella prima settimana di gennaio. Ankara ha confermato il sostegno alla campagna contro la bomba degli ayatollah proprio in settimana, ed è la più attiva nel confronto con la Siria, come dimostra il sequestro di armi iraniane dirette a Damasco avvenuto mercoledì nella parte orientale del paese. Ma nella guerra vera, quella della finanza, si muove piano e con grande riguardo nei confronti dei “petrolvicini”.

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