Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 12/01/2012, a pag. 16, l'intervista di Marco Bresolin ad Asma Heidi Nairi dal titolo "Rivoluzione Facebook? No, ha vinto la piazza".
Asma Heidi Nairi
Asma Nairi è un'attivista di Amnesty in Tunisia. Che cosa sta facendo Amnesty in Tunisia? Nell'intervista non viene specificato, ma sarebbe interessante scoprirlo.
Nairi dipinge un quadro estremamente roseo per il futuro della Tunisia. Ma che cosa ne pensa del fatto che il nuovo governo imporrà la sharia? Ci può essere democrazia con la sharia? Che cosa ne pensa, Nairi, del fatto che le donne perderanno i loro diritti, saranno costrette a velarsi?
Nairi paragona l'Italia a un Paese islamico, a una teocrazia, perchè non c'è una legge che permette i matrimoni omosessuali. Un'esagerazione che non viene commentata dall'intervistatore. L'Italia e le altre democrazie occidentali in cui le unioni omosessuali non sono ancora permesse sarebbe come l'Iran? In Italia chi assassina un omosessuale viene punito dalla legge. Nei Paesi islamici che basano la propria costituzione sulla sharia, invece, è lecito ammazzarli, impiccandoli alla prima gru disponibile.
Consigliamo ad Asma Nairi la lettura dell'articolo di Valentina Colombo sulla Tunisia, pubblicato nella rassegna IC di oggi. Il capo di Hamas, Haniyeh, ha trovato un valido alleato nell'odio per Israele e gli ebrei in Ghannouchi, fondatore di Ennahda (il partito islamista che ha vinto le elezioni e che imporrà la sharia). Questo e la volontà di interrompere ogni rapporto con Israele, unica democrazia mediorientale, dovrebbe rappresentare un passo avanti verso la democrazia? Ecco il link:
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=42967
Ben Ali era un dittatore, ma se non altro era laico. Ora, con Ennahda, la Tunisia diventerà una dittatura islamista. Non proprio ciò che si potrebbe definire 'democrazia'.
Ecco l'intervista:
Esmettetela di dire che la primavera araba è stata la rivoluzione dei social network. È stata la rivoluzione della piazza, dei martiri. Facebook e Twitter sono stati solo dei mezzi di comunicazione, proprio come lo erano il telefono o le lettere nei decenni scorsi». Asma Heidi Nairi, 23 anni, attivista di Amnesty International e protagonista della «rivoluzione dei gelsomini» in Tunisia, scuote la testa quando sente parlare di «movimenti che hanno trovato una spinta nella Rete». A un anno esatto dalle sommosse popolari, che hanno causato la caduta di Ben Ali, la studentessa tunisina è oggi a Torino per l’incontro «Primavera araba, un anno dopo», in programma alle 18 al centro conferenze Campus Onu, a cui interverranno anche il direttore de «La Stampa», Mario Calabresi, e Domenico Quirico, inviato del nostro quotidiano.
Cosa resta oggi della rivoluzione tunisina?
«Una totale libertà d’espressione. Abbiamo finalmente ritrovato l’ossigeno, anche se la libertà d’informazione nel nostro Paese ora è in una situazione paradossale. Quasi tutti i gruppi che controllano i grandi media sono di sinistra, di opposizione. E pur di contraddire il governo ci bombardano ogni giorno con notizie false. Meno male che abbiamo Internet e i canali televisivi stranieri che smascherano tutte queste bugie».
Internet è stato il simbolo della vostra rivoluzione, un mezzo...
«Un mezzo, punto e basta. La rivoluzione l’abbiamo fatta andando in strada, mica stando davanti al pc. Purtroppo in Occidente c’è questa convinzione, perché voi la nostra rivoluzione - che non è stata raccontata dai media tunisini - l’avete vissuta solo grazie alla Rete. Ma per noi non è stato così».
La dittatura di Ben Ali, però, è intervenuta censurando il web.
«Chiaro, hanno cercato in ogni modo di zittirci. Per esempio entrando nelle nostre caselle di posta elettronica. La mia è stata bloccata più volte e ho perso centinaia di contatti. E se nelle nostre mail c’erano critiche al governo, il destinatario spesso riceveva messaggi criptati, con foto pornografiche o addirittura con annunci di automobili... Ma la censura non era solo nella Rete: per noi di Amnesty era impossibile riuscire a trovare un hotel che ci affittasse una sala per le nostre riunioni».
Qual è la situazione dei diritti delle donne, ora, in Tunisia?
«Esattamente come prima. Da noi la parità c’è sempre stata e Ben Ali usava proprio questa parità come arma per dire: “visto che siamo un Paese libero?”. Le donne tunisine, nel mondo arabo, sono da sempre considerate le più emancipate. Tanto che si dice: “Non sposare mai una tunisina”...».
Crede che la rivoluzione dei gelsomini sia stata determinante anche per far cadere le altre dittature, come ad esempio quelle in Libia o in Egitto?
«Certamente. Nel mondo arabo c’è una forte solidarietà e se succede qualcosa in un Paese anche gli altri si sentono toccati. Inoltre Ben Ali era considerato il più forte e così gli egiziani, piuttosto che i libici, hanno detto: “se ce l’hanno fatta loro, possiamo farcela anche noi”. Ma credo che la stessa spinta sia arrivata anche molto più lontano, basta vedere gli indignati in Spagna o a Wall Street».
L’Italia è una delle mete dei migranti tunisini: cosa è cambiato dopo la caduta di Ben Ali?
«Sono cambiate le destinazioni. Ora molti tunisini preferiscono andare in Libia, in Qatar oppure a Dubai. Anche perché ci si sente molto meno discriminati. Ci si sente più sicuri in tema di diritti dell’uomo».
Religione e politica spesso si saldano nei Paesi arabi, anche ora che le dittature sono crollate. Quanto la seconda deve essere influenzata dalla prima?
«La mia risposta è una domanda: in Italia sono consentiti i matrimoni omosessuali?».
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