Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 09/01/2012, a pag. 46, l'articolo di Alberto Mattone dal titolo "Israele, il muro che divide i monaci e le suore".
Il villaggio di al Walaja
Notiamo che, per una volta, sul quotidiano Repubblica viene specificato che la barriera di sicurezza è stata eretta per garantire la sicurezza dello Stato ebraico. Questa è la parte corretta dell'articolo. Il resto non è niente di diverso dalla solita litania del terribile muro che opprime i poveri palestinesi rendendo i loro spostamenti difficili.
Sul perchè sia stato necessario ricorrere a una barriera e ai checkpoint per garantire la sicurezza della popolazione israeliana, nemmeno una sillaba.
Contrariamente a quanto scrive Mattone, HarGilo non è una colonia, ma un quartiere di Gerusalemme.
E non possiamo fare a meno di notare come un episodio di relativo interesse di fronte a ciò che sta succedendo nel mondo sia la prova dell'ossessione che i nostri cronisti dimostrano nei confronti persino di notizie di minimo interesse come questa.
Ecco il pezzo:
Il Muro eretto lungo i Territori della Cisgiordania per rendere più sicuro lo Stato ebraico, quella barriera di cemento che divide definitivamente il destino di israeliani e palestinesi, tra breve taglierà in due anche il monastero dei salesiani di Cremisan. Mettendo, così, il "filo spinato" anche tra la comunità femminile e quella maschile di questi religiosi che, da oltre cinquanta anni, vivono sulla collina di Walaja, a metà strada tra Betlemme e Gerusalemme. Questa è una storia di suore contro preti, il frutto velenoso di una terra senza pace. Le prime preferiscono rimanere nella giurisdizione territoriale dell´Anp. I secondi, è l´accusa delle "consorelle", passerebbero di buon grado in quella dello Stato ebraico, così come stabilisce il progetto del ministero della Difesa, che vuole inglobare tutto il convento sotto la propria potestà.
Per le suore delle Figlie di Santa Maria Ausiliatrice, il Muro è una sventura che spezzerebbe il legame con i palestinesi. Da quando sono a Walaja, dal 1960, organizzano, senza fare distinzione di appartenenza religiosa, scuole materne, istituti professionali, campi estivi per 400 ragazzi poveri dei villaggi. Se Cremisan, che cade giusto al "confine" tra i Territori e la colonia ebraica di Har Gilo, dovesse finire nella giurisdizione israeliana, per i bambini sarebbe molto difficile raggiungere le aule. «C´è una sola strada che porta ai nostri edifici - dice ad Haaretz suor Adriana, la madre superiora - e per arrivarci, i piccoli dovrebbero superare tutti i giorni un check-point di Tsahal. I genitori non accetterebbero questa situazione».
Nello stesso grande terreno, ma in un complesso distinto, sorge l´area gestita dai salesiani. Anche loro hanno una scuola professionale per ragazzi arabi e un seminario cattolico. Per vivere, producono olio e settemila ettolitri di vino di alta qualità, che vendono perlopiù agli israeliani. Ecco il punto: per questo motivo, è l´accusa delle suore, i preti non hanno fatto obiezioni contro il Muro. «I palestinesi, per la maggior parte musulmani, non bevono alcolici. La nuova situazione - ragiona suor Adriana - faciliterebbe il progetto dei sacerdoti di aumentare i clienti a Gerusalemme e a Tel Aviv».
Insomma, ne è nata una bufera nel "cortile", una lite tra gli stessi seguaci di Don Bosco, per giunta nel cuore della Terrasanta. I salesiani rispondono alle accuse delle salesiane. E negano di voler acconsentire al progetto: «Non abbiamo mai chiesto di passare sotto Israele», replica don Maurizio Spreafico, provinciale dell´ordine. «La comunità di Cremisan - aggiunge - è vittima di una scelta imposta dallo Stato ebraico. Noi non abbiamo nessuna responsabilità riguardo al Muro e al suo tracciato: si tratta decisioni di carattere politico-militare».
Parole, queste, che non convincono suor Adriana. «Noi e loro - ribadisce la madre superiora - abbiamo idee diverse sul Muro». E a conferma di ciò, fa intendere, c´è il silenzio "pubblico" dei salesiani mentre le suore hanno chiesto aiuto al Patriarcato Latino per la loro battaglia contro la barriera. La mobilitazione ha fatto rumore e lo Stato ebraico ha appena proposto una mediazione: le salesiane rimarrebbero sotto la giurisdizione palestinese, i preti finirebbero sotto l´ala israeliana, separando definitivamente le due comunità. I preti non si sono opposti. Le consorelle, invece, hanno detto "no". «Il Muro di otto metri - obiettano - farebbe diventare il convento una prigione e noi saremmo tagliate fuori dal resto della nostra terra». E, intanto, preparano un ricorso al tribunale di Tel Aviv.
Il tempo, però, stringe: durante le feste di Natale, sono arrivati i soldati israeliani per disegnare il tracciato della barriera. «Dovremo abbattere quei due edifici», hanno indicato col dito rivolgendosi a suor Adriana: i laboratori. E alcune aule dei bambini palestinesi.
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