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La Stampa Rassegna Stampa
08.01.2012 I pericoli di uno Stato binazionale
L'opinione di A.B.Yehoshua

Testata: La Stampa
Data: 08 gennaio 2012
Pagina: 1
Autore: Abraham B.Yehoshua
Titolo: «I pericoli di uno Stato binazionale»

Sul quotidiano israeliano Haaretz Abraham Burg aveva avanzato la proposta, secondo lui conclusiva del conflitto con i palestinesi, di uno Stato binazionale, non ricordiamo se aveva citato la frase 'soluzione finale', molto adatta, sarebbe infatti un duplicato di quella di Wannsee del 1942, durante la quale i capi nazisti definirono le modalità dello sterminio degli ebrei. Accanto a Burg c'era anche l'opinione di Yehoshua, che discordava nettamente (IC l'ha commentata subito 
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=42844
Adesso A.B.Yehoshua riprende l'argomento sulla STAMPA di oggi, 018/01/2012, a pag.1/29, con un titolo approppriato "I pericoli di uno Stato binazionale", che non lascia dubbi su come la pensa. A.B. Yehoshua appartine politicamente alla parte pacifista, ma, allo stesso tempo, è un laico sionista, impegnato a mantenere il proprio paese laico, appunto, e democratico. Due caratteristiche che scomparirebbero in uno stato binazionale. Burg ha una brutta storia alle spalle, quel poco credito che aveva ancora nella sinistra israeliana, se l'era giocato tutto quando qualche anno fa, lasciando Israele per diventare cittadino francese, scrisse su Haartez un lungo addio al paese che lasciava, un articolo che nemmeno il più ostinato pacifista ha potuto accettare, tanto era pieno di livore e odio. Fallita l'esperienza francese, è ritornato in Israele, qualcuno dice con l'intenzione di fondare un partito. Lo voteranno gli arabi, questa è l'unica cosa certa.
Ecco l'articolo di A.B.Yehoshua:

In un articolo pubblicato il 23 dicembre scorso sul quotidiano Haaretz Abraham Burg formula una nuova ipotesi secondo la quale è giunto il momento di prendere in considerazione la possibilità che Israele proceda ciecamente e inesorabilmente verso la creazione di uno Stato unico, o binazionale.

A eccezione dei sostenitori dello schieramento religioso (per via della struttura stessa dell’identità religiosa), di quelli della destra radicale laica (per via delle loro fantasie di violenza), e di quelli della sinistra post-sionista (per via dei loro ideali umanisticosmopoliti), tutte le altre fazioni politiche e ideologiche di Israele capiscono e dichiarano che uno Stato israeliano binazionale sarebbe un’eventualità pessima e pericolosa, sia a breve che, ovviamente, a lungo termine. Ciò nonostante procediamo ineluttabilmente verso la realizzazione di tale possibilità che, in determinati periodi della storia sionista, è stata considerata ragionevole e accettabile da certi ambienti.

Anche se molti di noi credono che si possa evitare la creazione di uno Stato binazionale grazie a un'incisiva azione politica, abbiamo tuttavia il dovere di prepararci, ideologicamente ed emotivamente, a una tale eventualità (così come ci si prepara ad altre potenziali emergenze) affinché essa non sconvolga la struttura democratica di Israele e non distrugga completamente l'identità israeliana-ebraica consolidatasi negli ultimi decenni.

Va compreso che uno Stato binazionale potrebbe sorgere non solo in seguito all'operato di Israele ma anche a una cooperazione segreta fra le diverse fazioni palestinesi, sia all'interno del territorio israeliano sia in Giudea e in Samaria. Persino gli esponenti più pragmatici di Hamas vorrebbero trascinare Israele in una prima fase di tale processo. Non solo per via del discutibile presupposto che ciò che è male per gli ebrei è certamente bene per i palestinesi ma perché per i palestinesi uno Stato binazionale nella terra di Israele sarebbe, a lungo termine, una possibilità più allettante del controllo sul territorio spezzettato e smembrato che potrebbero, con grande sforzo e probabile spargimento di sangue, estrarre dalle fauci di Israele.

Uno Stato binazionale, anche solo in parte democratico, potrebbe garantire ai palestinesi, grazie alla solida economia israeliana e ai suoi legami forti e profondi con l'Occidente, una vita migliore e più sicura, ma soprattutto un territorio più ampio che, entro qualche decina di anni, potrebbe diventare Palestina in toto.

Ovunque sentiamo parlare del sogno palestinese di uno Stato binazionale. E questo può forse spiegare l'insistenza dell'Olp a Camp David nel 2000, dell'Autorità palestinese durante i colloqui con il governo Olmert e anche nel corso dei recenti approcci dell'attuale governo israeliano, a non addentrarsi in negoziati seri con l'intenzione di arrivare a una vera conclusione. Questo sogno spiega anche l'incomprensibile paralisi dei palestinesi nell'organizzare una protesta civile e non violenta contro gli insediamenti, e forse pure il loro profondo sopore notturno quando dei vandali bruciavano le loro moschee. A differenza dei loro fratelli in Siria o in altri Paesi arabi che affrontano a torso nudo i proiettili dell'esercito i palestinesi osservano passivamente l'accelerato ampliamento degli insediamenti trascinandoci, con pazienza, verso uno Stato binazionale. Al tempo stesso gli ebrei, forti di una «competenza» millenaria, tornano a insediarsi e a intrecciarsi nella trama dell'identità di un popolo straniero - parte dell'enorme nazione araba - come hanno fatto per secoli in Ucraina, in Polonia, nello Yemen, in Iraq o in Germania, lasciandosi trascinare con timore, o forse con entusiasmo, in una situazione che ha causato loro grandi catastrofi ma che soprattutto potrebbe distruggere definitivamente la possibilità di normalizzazione della sovranità israeliana.

Alla gran maggioranza dei religiosi estremisti, o anche parzialmente moderati, l'ideale di uno Stato binazionale non appare tanto minaccioso. Chi ha saputo mantenere la propria identità per secoli in ogni parte del mondo per mezzo di testi scritti e di una vita comunitaria ristretta riuscirebbe di certo a serbarla anche in un singolo avamposto circondato da villaggi arabi con una compagine militare a garantirne la sicurezza. Gli estremisti di destra, dal canto loro, che considerano Israele una gigantesca portaerei statunitense (secondo le parole del ministro Uzi Landau), credono che quella confusa potenza concederà loro di risolvere il problema demografico al momento opportuno con una serie di silenziosi trasferimenti di popolazione. E nemmeno gli umanisti cresciuti nell'ideale di fratellanza fra i popoli secondo gli insegnamenti dei movimenti politici Hashomer Hatzair e Brith Shalom non vedrebbero nulla di male nella futura presenza di uffici di Hamas nelle torri Azrieli di Tel Aviv, fintanto che questi non intralcino il loro approccio umanistico.
Ma per chi ha creduto e sognato un'identità ebraica indipendente che metta alla prova, nel bene e nel male, i propri valori in una realtà territoriale nazionale, uno Stato binazionale spezzerebbe dolorosamente questo sogno e sarebbe fonte di duri conflitti, come dimostra il fallimento di altri Stati binazionali costituiti da popoli molto più vicini sotto un profilo religioso, economico, storico e di valori comuni di quanto lo siano ebrei e palestinesi.

È ancora possibile evitare il male che ci aspetta? Riusciremo a convincere i palestinesi a realizzare l'ideale di due Stati per due popoli (anche nel quadro di una federazione)? È ancora possibile convincere i sostenitori di Israele negli Stati Uniti e in Europa a mostrare risolutezza morale e a impedire a Israele di seguire l'ambigua via che ha intrapreso? E nel caso in cui il binazionalismo dovesse diventare realtà, come potremmo limitarne i danni? Come potremmo prepararci senza che esso distrugga l'indipendenza laica israeliana e non ci schiacci fra la discriminazione femminile di stampo ebraico e quella di stampo musulmano? Queste sono domande serie e nuove alle quali anche i sostenitori della pace devono trovare una risposta.

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