Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 06/01/2012, a pag. 3, l'articolo di Pierluigi Battista dal titolo "Anticomunisti liberali o autoritari, quella differenza tra Havel e Orban".


Viktor Orban, Vaclav Havel
a destra, Pierluigi Battista
Quando gli organismi europei decideranno come rispondere alla svolta autoritaria dell'Ungheria, non si macchieranno di un'«intrusione» negli affari interni di uno Stato sovrano, ma si occuperanno della nostra «casa» comune. A meno che, come è comprensibile temere, l'Europa sia interessata solo alla moneta e non alla democrazia, al default degli Stati e non al collasso dei diritti di libertà in una delle sue Nazioni. Altro che intrusione, sarebbe autodifesa democratica.
Nella casa europea, in Ungheria, stanno vivendo la più radicale regressione democratica dai tempi della caduta del comunismo. Viktor Orban esibisce come una medaglia il suo passato di anticomunista. Ma non tutti gli anticomunisti sono uguali (come del resto gli antifascisti). C'è l'anticomunismo liberale e democratico di Vaclav Havel e quello illiberale e antidemocratico di Orban, così come in Polonia c'era l'anticomunismo trasparente di Bronislaw Geremek e quello, meno attento all'integrità dei diritti civili e politici, dei fratelli Kaczynsky. All'anticomunista Havel non sarebbe mai venuto in mente di costituzionalizzare una legge liberticida sulla stampa in cui sono esplicitamente e severamente puniti i servizi giornalistici «lesivi dell'interesse pubblico» e addirittura «politicamente non equilibrati». E mai un liberale memore delle nefandezze della dittatura comunista avrebbe firmato una legge fondamentale dello Stato, come sta avvenendo a Budapest, in cui un'agenzia governativa viene chiamata a far rispettare una norma secondo la quale un telegiornale non può dedicare più del 20 per cento alla cronaca nera. Sembrerebbe una follia: e invece è la logica consueta delle dittature che non consentono di dire che nel cuore di una nazione pura esistano ancora i delinquenti e i ladri, come prescrivevano le veline durante il fascismo.
In Ungheria, forti di una maggioranza parlamentare schiacciante, stanno costruendo un regime autoritario. Criticando la «mobilitazione sospetta» («sospetta» di che, per l'esattezza?) contro il colpo di mano costituzionale di Budapest, Giuliano Ferrara sul Foglio ammette che «il governo eletto in Ungheria intende cambiare regime». Anche prendendo la parola «regime» in senso lato, come mi sembra faccia Ferrara, resta il fatto che il compito di un governo democratico non è di «cambiare regime». Senza contare che la natura del nuovo «regime» appare inquietante, intriso di cultura illiberale, intollerante.
La nuova Costituzione non invoca solo la benedizione di Dio (anche negli Stati Uniti è così, non c'è scandalo), ma stabilisce per legge, nella carta fondamentale dello Stato, che il cristianesimo è una religione superiore alle altre, che pure vengono tollerate e disciplinate secondo specifici atti amministrativi. In questo modo un cristiano ungherese si sentirà un vero ungherese, un ebreo ungherese si sentirà un ungherese semplicemente tollerato. È giusto che un europeo abbia la facoltà di eccepire su questo stravolgimento dell'idea di eguaglianza delle religioni di fronte alla legge che si sta consumando in Ungheria? Penso che ne abbia tutto il diritto, senza che il suo intervento suoni come un'intrusione. C'è intrusione negli affari degli altri. La violazione di alcuni princìpi fondamentali di un Paese europeo è invece affare nostro. Oppure è affare nostro solo la disciplina del mercato del lavoro e il sistema pensionistico, e non lo sono la democrazia, la libertà, la tutela dei diritti e delle minoranze politiche e religiose?
È stupefacente che chi concorda nel dire che l'Europa è una creatura fredda, non riscaldata da valori comuni e da una comune appartenenza culturale, non consideri di conseguenza grave il silenzio dell'Europa sulla libertà di stampa messa in mora in uno dei Paesi membri dell'Ue, sul conferimento costituzionale di poteri eccezionali alle agenzie governative che in Ungheria, consacrate dalla Legge fondamentale dello Stato, dovranno controllare strettamente la stampa, la magistratura e la banca centrale. Interferire su una degenerazione così palese dei criteri liberaldemocratici che reggono un Paese europeo è un atto legittimo di ingerenza democratica, come pure il sospetto che la deriva etnico-nazionalista della carta costituzionale ungherese costituisca un cambio di regime troppo radicale per essere considerato ordinaria amministrazione. Il default democratico: ecco una violazione dei parametri europei meritevole di essere sanzionata.
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