Il popolo ebraico è fortemente plurale, ecco la sua composizione
Cari amici,
avete letto tutti, immagino, delle notizie piuttosto infami sulla bambina insultata a Beit Shemesh perché andava a scuola indossando una maglietta con le maniche corte, degli autobus separati per genere, della manifestazione di ieri a Gerusalemme in cui alcune persone sono sfilate in divisa da deportati nei Lager per protestare contro la "repressione" dello stato israeliano.
Prima di commentare queste cose, bisogna dare informazioni, perché i giornali italiani, per la solita propaganda anti-israeliana o per semplice ignoranza, deformano gravemente la realtà. Incominciamo col dire che per tradizione tribale, per un antichissimo gusto della sfida intellettuale e per effetto della diaspora il popolo ebraico è fortemente plurale. Ci sono le grandi correnti degli askenaziti (ebrei provenienti dall'Europa centro-orientale), sefarditi (provenienti dalla Spagna) e mizrahi (dai paesi islamici, spesso confusi coi precedenti), ulteriormente suddivisi per paesi (gli italiani, per esempio non appartengono a nessuno dei tre gruppi). Ci sono poi gli israeliani e gli ebrei della diaspora, di numero ormai quasi pari, con abitudini e quadri mentali molto differenziati. Ci sono i laici, poco o nulla praticanti l'ebraismo anche se ne applicano i riti alle tappe fondamentali della vita -nascita matrimonio morte - e magari ricordano le feste fondamentali, maggioranza in Israele e in Europa, e i religiosi. L'appartenenza religiosa di solito si riferisce a tre grandi correnti: i "reform", più modernisti di tutti, i "conservative" che costituiscono una sorta di via di mezzo, sforzandosi di conciliare le regole antiche della religione con la modernità, e gli ortodossi, che rispettano non solo le regole bibliche e del Talmud, ma anche tutte le decisioni e i costumi che si sono affermati nel corso dei secoli e sono riassunte in codici di comportamento religioso come lo "Shulkan arukh".
Tutti e tre i filoni sono molto suddivisi, ma vale la pena di approfondire le differenze nel mondo ortodosso. La corrente più diffusa in Europa e anche in Israele è quella dei Moderrn Ortodox, fondata in Germania nella prima metà dell'Ottocento, come reazione all'affermazione del movimento reform. Sono persone che mantengono le regole alimentari, liturgiche, familiari ecc. ma non le considerano incompatibili col mondo moderno. Il loro abbigliamento, il loro lavoro, la loro vita sociale e politica è compatibile con la società contemporanea. In Israele soprattutto vi sono due altri gruppi, i "sionisti religiosi" (datì leumì) che comprendono il grosso dei "coloni", cioè degli abitanti dei villaggi e delle città oltre la linea verde, e gli "haredim" (i timorati). I primi, animati da profondo spirito religioso, difendono soprattutto il carattere ebraico della Terra di Israele e dei luoghi della sua formazione che oggi sono otre la linea verde, aspirano a una vita semplice e di campagna, sono spesso vestiti di conseguenza in maniera semplice e pratica, con kippot ("papaline") colorate realizzate all'uncinetto, si arruolano in massa nelle unità d'élite dell'esercito, sono regolati da istituzioni politiche democratiche.
I secondi, gli "haredim" o "timorati", sono i "neri", vestiti secondo il costume est-europeo dell'Ottocento con palandrane e cappelli di pelliccia. Buona parte non lavora e non fa il servizio militare ma studia la tradizione ebraica, vive di sussidi di disoccupazione. Sono divisi in moltissimi gruppetti, a seconda della località di provenienza, spesso in accanita polemica religiosa fra loro (i "lituani" contro i "chassidim" ecc.), ma uniti a Gerusalemme da un'organizzazione rappresentativa (Eda Haredit) decisamente antagonistica rispetto al'organizzazione dello Stato.
Buona parte di questi gruppi non riconosce infatti la legittimità religiosa dello Stato ebraico e alcuni lo aborrono e lo vorrebbero vedere distrutto; in particolare i chassidim di Satmar, che sono abbastanza numerosi (qualche decina di migliaia) e i pochissimi ma rumorosissimi "Naturei Karta" (guardiani della città), specializzati in provocazioni antisraeliane: in Internet gira un filmato di un caloroso incontro dei loro leader con Ahmadinejad, ma si sono schierati con Hamas, hanno fatto i ministri per gli affari ebraici di Arafat, sono lodati da siti antisemiti in mezzo mondo.
La maggior parte di loro è schierata sul punto fondamentale della legittimità dello stato di Israele su posizioni analoghe a quelle della sinistra più intransigente e super-laica: paradossi della politica. In generale sono affetti da un'interpretazione molto letterale delle loro tradizioni e da una sessuofobia particolarmente intollerante. Sono loro gli autori degli ultimi incidenti e anche degli scontri violenti che negli ultimi anni hanno più volte devastato quartieri di Gerusalemme contro l'apertura di un parcheggio funzionante anche di sabato.
I rapporti fra Stato di Israele e religiosi sono spesso descritti dai giornali alternativamente come ideologici (il governo della destra fanatica) o come di interesse (la destra che "comprerebbe" i voti dei religiosi). In realtà il "compromesso storico" fra il sionismo che nacque e resta laico (sia nella variante laburista che in quella "revisionista" cioè nazionalista) e il mondo religioso, risale alla fondazione del movimento, è stato perseguito già da Theodor Herzl e messo in pratica da Ben Gurion e ha profonde ragioni ideali. L'ebraismo si è perpetuato soprattutto come religione e non può certo mettersi a escludere o peggio a perseguitare le sue correnti più attaccate alla tradizione. Agli haredim è stato dunque concesso un regime di esenzione dal servizio militare e di finanziamento sociale, che per lo più non è stato purtroppo ricambiato dalla lealtà. Ma si tratta di una corrente in crescita (come è in crescita il sionismo religioso), che avrebbe certamente diritto al rispetto di tutti. Questo rispetto è però reso impossibile dall'intolleranza e dalla violenza di certe manifestazioni, dal rifiuto di accettare la legittimità di chiunque altro, in casi estremi dalla volontà consapevole di ferire la maggioranza e di violare i diritti altrui.
La questione femminile in questo senso è esemplare: nessuno vuole imporre agli haredim delle forme di socializzazione che essi disapprovano, per esempio la mescolanza dei generi durante la preghiera (che tutti gli ortodossi rifiutano e invece reform e conservative approvano). O nessuno vuole impedir loro di vestirsi con "modestia", anche se i suoi modelli vestimentari sono un esempio classico di assimilazione, ripresi come sono dai costumi ottocenteschi di Polonia e Ucraina. Ma lo spazio pubblico (le strade, gli autobus finanziati dallo stato ecc .) non appartiene loro e per fortuna la libertà di tutti vi è difesa dalle istituzioni dello stato democratico e dalla mobilitazione pubblica. Vale la pena di notare che vi è un forte conflitto tendenziale fra haredim e tutti gli altri gruppi, inclusi i modern orthodox e i sinisti religiosi e per certi versi anche i sefarditi ortodossi, che sono organizzati a parte. La bambina importunata a Beit Shemesh per la sua maglietta a maniche corte non era "laica", ma apparteneva a una comunità sionista religiosa, quelli che normalmente i giornali europei, e anche la stampa di sinistra israeliana, insultano con l'etichetta di coloni.
Per finire: questa situazione di subbuglio, divisione, dibattito acuto fa parte della fisiologia del mondo ebraico e in particolare di quello israeliano da sempre. Israele ha certamente gli anticorpi per contenere le frange illiberali senza reprimere lo spirito religioso e sa farlo pacificamente. Quelli che si stracciano le vesti per la democrazia israeliana e invocano inesistenti "maggioranze silenziose" contro "l'alleanza della destra e degli ultraortodossi" farebbero bene a spostare lo sguardo subito oltre i confini di Israele e a guardare il sangue sparso in Siria o in Egitto, dove i rapporti fra religione e politica e le dittature al potere sono davvero violente e intolleranti.
Ugo Volli