Auguri e buoni propositi Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici, a capodanno - anche per chi non ne riconosce il valore religioso - si usano fare due cose (almeno due cose pubbliche e sobrie, i vari festeggiamenti notturni ce le siamo già dimenticati): auguri e buoni propositi. Mi adeguo anch'io, così, come sempre, innocentemente, per giocare.
I buoni propositi
Sarò buonissimo, gentilissimo, scriverò solo cartoline rispettose ed ossequienti - ve lo prometto Non parlerò più male degli islamisti, sono brava gente anche loro - ve lo prometto Sarò ottimista, vedrò il bicchiere mezzo pieno, particolarmente in materia meteorologica. Mi basterà una giornata senza freddo per parlare di primavera, in particolare se il freddo che non c'è è arabo - ve lo prometto. Praticherò anch'io il doppio standard, non pretenderò più pateticamente giustizia per Israele, ma mi accoderò, pacificamente all'opinione dei più - o agli interessi dei potenti che le spiegano - ve lo prometto. Mi credete? No? Vedete che la malignità è contagiosa... del resto i buoni propositi sono fatti per essere trscurati.
Gli auguri.
Alle organizzazioni internazionali auguro di non ammettere chi non c'è - per non diventare una congrega di fantasmi aggressivi e terroristi in pensione. Alla pace, degli interlocutori che la vogliono perché la amano, e non per la sua dote (propagandistica). Alla giustizia internazionale di salvarsi dalla strumentalizzazione politica e dall'ideologia che ne falsificano la missione. Alla fratellanza musulmana, vera dominatrice della politica internazionale dello scorso anno, auguro meno fraternité (sentimento un po' chiuso), più egalitè (con le donne, gli stranieri, le altre religioni) e soprattutto più liberté, molta più liberté. Ai giornali della sinistra italiana e mondiale, auguro che alle prossime olimpiadi sia istituita una medaglia di arrampicata sui vetri: la vincerebbero sempre loro. A Obama auguro un sacco di bellissime partite di golf, viaggi turistici, vacanze al mare. Quando finalmente sarà un ex presidente degli Stati Uniti. All'America, un presidente degno di questo nome. Al Premio Nobel per la pace di andare per una volta a qualcuno che abbia fatto qualcosa per impedire la guerra, e non per favorire la parte che piace ai socialisti norvegesi. A Massimo d'Alema auguro un futuro da notabile libanese, sempre a braccetto coi capi terroristi, su e giù per il corso principale di Beirut o Sidone, "per vedere l'effetto che fa" e sentirsi importante. All'Unione Europea di disunirsi, finalmente. All'Unesco di ammettere finalmente nel suo largo seno il libero stato della mafia, la banda della Magliana, le triadi cinesi e i cartelli colombiani, tutti perseguitati dall'Occidente e altrettanto degni culturalmente della Palestina. All'Autorità Palestinese di diventare autorevole scegliendo di lavorare per la pace, almeno una volta, in tutta la sua vita. Alla primavera araba, un po' di pioggerelline di marzo, non tinte di sangue, per una volta. Al giornale arabo in lingua ebraica Haaretz, di ricordarsi ogni tanto che la terra cui è intitolato non è né il pianeta, né il fango di un campo, ma quel luogo unico nel quale il popolo ebraico si è formato. All'Onu di sottrarsi al cartello antidemocratico che lo domina All'Iran (o meglio, ai suoi capi) di farsi esplodere sotto casa le sue bombette atomiche come fossero mortaretti A Erdogan di guardarsi allo specchio, notare la somiglianza (interiore, ancor più che nei tratti) col grande dittatore di Charlie Chaplin e di non smettere più di ridere di se stesso. Alla Turchia di trovar pace, per davvero, ammettendo le proprie colpe, esorcizzando la tradizione di violenza politica, ridando vita e libertà a tutti i popoli che ha cercato o è riuscita a soffocare. All'Egitto e agli altri paesi arabi in rivolta, di sottrarsi alla presa degli islamisti che vorrebbero ributtarli nel medioevo Alle flottiglie di levare il tappi dalle loro vasche da bagno e di affondare nel bel Mediterraneo, affidando il futuro del loro impegno politico a un salvagente con l'ochetta. Ai negazionisti di rinnegarsi, ai revisionisti di rivedersi, agli antisemiti di antiantisemitarsi. A coloro che negano la democrazia israeliana, un mesetto di soggiorno in Siria, nello Yemen o nelle prigioni iraniane, a scelta. Ad Ahmadinedjad di cancellarsi dalla carta geografica, da solo. Magari tirando l'acqua dopo. Ai palestinesi di scoprire che la pace vale di per sé, non come slogan per distruggere Israele. Se se ne convinceranno, tutto sarà più facile anche per loro. Alla sinistra italiana e ai sindacati di occuparsi con successo e senza paraocchi ideologici di quel che è il loro compito istituzionale, il bene dei lavoratori italiani che sacrificano continuamente al "socialismo" - e di lasciar stare il Medio Oriente, soprattutto quelli che fanno i reggicoda dei terroristi. Alle cooperative di rendersi conto finalmente che un negozio non è e non dev'essere un tribunale. Alla sinistra israeliana di uscire dall'accecamento di Oslo e di tornare sulla strada di Ben Gurion. Al mondo religioso ebraico di accettare sinceramente di nuovo la pluralità che ha sempre caratterizzato l'ebraismo. Sarebbe più facile difendere la libertà religiosa degli haredim dal'intolleranza, se essi isolassero gli intolleranti e i prepotenti fra loro. Che cosa posso augurare a Hamas, Hizbullah, Jihad islamica, Tanzim e compagnia bella? Mah, di essere catturati tutti, magari di arrendersi, e di finire in un carcere israeliano. Non rischieranno la vita loro e soprattutto quella degli altri, saranno trattati equamente secondo la legge, condannati o assolti da un tribunale per quel che hanno fatto individualmente.
Manca un augurio, l'ultimo, il più importante, quello a Israele, anche se naturalmente il compleanno ebraico è caduto circa tre mesi fa. Il mio è qualcosa di più di un augurio, è ferma speranza (perché Hatikvà, speranza, è il nome dell'inno nazionale israeliano) ed anche una certezza: am Israel chai vechaiam, il popolo ebraico vive e vivrà. Molto molto più in là di quest'anno 2012 che si apre secondo il conteggio civile. A voi, cari lettori, fuori dal conto, auguro un mondo più giusto, in cui non sia necessaria la satira e il samizdat di Informazione Corretta; un mondo in cui noi, che annunciamo sempre cattive notizie, difficoltà e prepotenze ai danni di Israele e dell'ebraismo, restiamo disoccupati.