Sul FOGLIO di oggi, 31/12/2011, a pag 1/4, con il titolo "Quanti caccia vende Obama ai sauditi per aggiustare l'economia", Daniele Raineri esamina i rapporti Usa-Arabia Saudita:
Roma. Giovedì sera, dalle isole Hawaii dov’è in vacanza, il presidente americano Barack Obama ha annunciato un contratto militare da 29,4 miliardi di dollari con l’Arabia Saudita, chiuso la vigilia di Natale. L’America consegnerà 84 nuovi caccia F15 della Boeing e ne ammodernerà altri 70 con sistemi d’arma innovativi e pezzi di ricambio – e ci sono anche contratti a lato per l’addestramento, il trasporto, la manutenzione. Certo, ci sono motivi forti di geopolitica. C’è la necessità di erigere un blocco sunnita e di armare gli alleati nel Golfo per arginare la minaccia dell’Iran, che aspira a diventare potenza regionale. C’è l’attrito in questi giorni nello Stretto di Hormuz, la giugulare strategica del petrolio e Washington vuole dare ai sauditi i mezzi per contrastare la marina iraniana. C’è da ricucire i rapporti con i sauditi, distrutti a febbraio dalla decisione della Casa Bianca di lasciare il presidente egiziano Hosni Mubarak al suo destino durante la rivoluzione in Egitto – cosa che è suonata malissimo alle orecchie dei regnanti di Riad, la leggenda metropoliana sostenne persino che re Abdullah ebbe un infarto dalla collera mentre era al telefono con Obama. Ora è quasi un anno che Washington corteggia per recuperare: il presidente chiama il re, il consigliere per la Sicurezza nazionale, Thomas E. Donilon, ha fatto due viaggi a Riad, il vicepresidente Joe Biden ha guidato una delegazione di nomi di extra prestigio al funerale del principe Sultan bin Abdul Aziz, a ottobre. Ci sono anche i motivi di economia interna e hanno più a che fare con Keynes che con gli ayatollah. Il contratto saudita con la Boeing permetterà all’azienda americana di rispettare il suo business plan, che prevede di salire dal 7 per cento di vendite all’estero al 30 per cento e così di sopravvivere all’inverno dei tagli finanziari al budget del Pentagono e al generale cattivo momento dell’economia. L’azienda di punta della tecnologia americana, nell’area di St. Louis, sarà conservata dai petrodollari e anche sessantamila posti di lavoro (contando anche l’indotto) almeno fino al 2020 – che è il termine di consegna degli aerei, i primi arriveranno a partire dal 2015. Andrew J. Shapiro, vicesegretario del bureau per gli Affari politico-militari – che ha presentato l’accordo giovedì sera – non nasconde il sollievo per un’Amministrazione che si gioca il mandato sui risultati economici. “Il contratto avrà un impatto positivo sull’economia dell’America e porterà avanti l’impegno del presidente per creare posti di lavoro aumentando le esportazioni. Coinvolgerà 600 fornitori in 44 stati e avrà un impatto di 3,5 miliardi di dollari ogni anno sull’economia americana”. Prima, ovviamente, Shapiro ha sottolineato le motivazioni di politica estera: “La vendita manda un messaggio forte ai paesi nella regione, gli Stati Uniti si impegnano nella stabilità del Golfo e del medio oriente, e darà all’Arabia Saudita nuove capacità di deterrenza e di protezione della propria sovranità”. Per il comparto Difesa dell’industria americana, ci sono notizie anche migliori: il contratto fa parte di una vendita di tecnologia militare più ampia che vale almeno il doppio, sessanta miliardi di dollari, e durerà dieci anni. A lato del patto con i sauditi c’è una seconda vendita militare da 11 miliardi di dollari all’Iraq, che però sta scatenando più critiche. Ma il paesaggio politico a Baghdad è meno stabile che a Riad. Ieri il New York Times – che non muove critiche gratuite all’Amministrazione – si chiedeva facendo parlare analisti e ufficiali del Pentagono se davvero fosse il caso di armare un governo sull’orlo di una crisi disastrosa – e che se anche fosse stabile sarebbe inaffidabile e simpatizzante di Iran e Siria. Tre giorni fa il primo ministro Nouri al Maliki è stato sfidato a nuove elezioni da Moqtada al Sadr, estremista sciita e nemico mortale degli americani, che potrebbe ereditare i contratti d’oro con Washington.
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