Iran: analisi di una nazione
di Mordechai Kedar
(traduzione dall'ebraico di Marc Brzustowski a cura di Angelo Pezzana)
Khomeini Khamenei Mordechai Kedar
Il colonialismo britannico, francese e italiano ha dato origine a molti paesi privi di legittimità. All’interno di ogni paese, dove i confini sono stati stabiliti dall’occupante colonialista, vivono molte popolazioni, che comprendono gruppi etnici, tribali, religiosi e confessionali, che si combattono fra loro da molte generazioni. Nella maggior parte dei casi, un gruppo domina gli altri con un pugno di ferro, il che rende il potere illegittimo. Il fatto poi che il potere politico del paese e del governo manchino di legittimità, provoca una volontà da parte delle popolazioni di farla nascere a partire dalle fondamenta del potere, che coinvolga popolo e governo. Il paese prova a costruire una coscienza nazionale che dovrebbe unificare i gruppi più diversi sotto la stessa bandiera, avendo come obiettivo un solo paese sotto un solo governo.
Nell’Iran, che non fa eccezione a questa regola, vi sono molti gruppi etnici, tra quali i principali sono i persiani, gli azeri, i ghilaki, i mazandarani, i kurdi, i beluci e gli arabi. I persiani non sono più la metà della popolazione, ma poiché sono comunque il gruppo più vasto, sono loro ad avere in mano il potere.
La gran maggioranza degli iraniani sono musulmani, ma vi sono anche cristiani, ebrei, zoroastri, bahai. Dal punto di vista religioso, la maggioranza dei persiani è sciita, mentre i kurdi e i beluci, che insieme sono il 10% della popolazione, sono sunniti. Questo è uno dei motivi per cui queste due minoranze conducono una guerriglia contro il governo centrale per arrivare ad una secessione e instaurare il loro stato indipendente.
Fino alla fine del 1978 lo Shah, della dinastia Pahlavi, ha governato l’Iran con un pugno di ferro, in maniera forte e brutale. Era un tiranno crudele e senza pietà, un despota che prendeva decisioni terribili per imporre un potere nazionalista a tutte le componenti la società, con l’obiettivo di eliminare tutte le divergenze conflittuali.
Nel 1979, l’imam Ruhollah Khomeini si è impadronito del potere mettendo a ferro e a fuoco il paese. Dopo di lui, i suoi successori, con i turbanti e le lunghe barbe, hanno imposto alla nazione l’islam sciita, e eliminato chiunque si fosse opposto. La rivoluzione del 1979 venne chiamata “Rivoluzione islamica”, perché il suo obiettivo consisteva nell’imposizione su tutta la società, privata, pubblica e nazionale, delle leggi del “ Velayat e-Faqih “, ovvero la “Tutela delle Dottrine islamiche”, vale a dire il filo diretto tra i teologi con "Colui che sta nei cieli, guida il cammino, e tiene lontani dagli errori ".
Questo fa capire perché sono le autorità religiose a dirigere il paese, mentre alla popolazione viene garantito "il più giusto dei governi, che condurrà il paese verso le conquiste più grandi" .
Ma la realtà dell’Iran è totalmente diversa: la corruzione cresce in tutte le istituzioni pubbliche, dove i più corrotti sono al governo. L’economia è in crisi perenne, le relazioni internazionali sono ad un livello paurosamente basso e i rischi di guerra sono più che probabili. Il tentativo di presentare il regime iraniano come esempio di governo islamico è miseramente naufragato. La rivoluzione ha fallito nelle sua missione più importante, che consisteva nel portare la gente a comportarsi secondo le leggi dell’islam. La stragrande maggioranza della popolazione- più o meno il 90% - è totalmente laica e non segue le regole religiose. Le moschee sono vuote, l’obbedienza all’islam non viene tenuta in nessun conto, malgrado il fatto che il regime obblighi le donne a portare il Chador, questo abito che le copre dalla testa ai piedi.
Non esistono dati ufficiali, ma la repressione dei diritti umani, nel nome della religione, è generale. La rivoluzione islamica è fallita, in modo definitivo, nel senso di un modello che avrebbe dovuto farsi amare dai propri fedeli.
Il regime in Iran, sotto lo Shah o sotto gli ayatollah, ha sempre cercato di costruire una coscienza nazionale che potesse unificare i vari segmenti della popolazione in un unico quadro. E’ per questo che lo Shah aveva cercato la via nazionalista, e gli ayatollah l’approccio nazional-religioso.
Lo Shah era alleato con gli americani , mentre gli ayatollah li consideravano nemici, il demonio, il ‘grande satana’, e la cultura occidentale senza valori, degenerata, da respingere.
Lo Shah era anche un grande amico di Israele, per questo gli ayatollah l’hanno odiato. Reza Pahlavi aveva cercato nel sapere e nell’esperienza israeliana uno strumento per costruire le infrastrutture del proprio paese, mentre il regime islamico ha fondato la sua legittimità su una ostilità aperta contro lo Stato ebraico. La loro rivoluzione è fallita anche e soprattutto su questo aspetto: La grande maggioranza degli iraniani non odiano Israele e se gli fosse permesso emigrare verso gli Stati Uniti lo farebbero immediatamente.
Un altro obiettivo della rivoluzione islamica era l’esportazione della rivoluzione, in tutti quei paesi nei quali vi fosse una società musulmana, per rovesciare i regimi laici e sostituirli con quelli islamici. E’ importante ricordare che gli iraniani non hanno soltanto sostenuto i movimenti sciiti, come Hezbollah, ma anche quelli sunniti, come Hamas e l' Jihad islamica. In Libano hanno investito somme colossali in armamenti e equipaggiamenti, al fine di modificare l’immagine della comunità sciita, fino ad allora vista nel suo ruolo oppressore che la caratterizzava da molte generazioni, per portarla a impadronirsi del Libano, quando le condizioni l’avessero permesso.
“Esportare la rivoluzione” verso il mondo arabo dipendeva dal poter creare dei legami con un alleato arabo,in Siria Hafez-al-Assad, il desposta, il quale, membro della minoranza eretica alauita, aveva bisogno di essere legittimato, per cui gli ayatollah gli hanno fornito gli strumenti per imporre una legittimità, anche religiosa, stabilendo che gli alauiti rappresentano una comunità sciita legittima. Ma non esiste al mondo un sunnita che possa prendere sul serio questa attribuzione religiosa. Non è che un paravento per dissimulare il fatto che il regime alauita, che governa la Siria dal 1966, non ha di fatto la minima legittimità.
Questa successione di fallimenti della rivoluzione islamica, aiuta a capire perché gli ayatollah sono ossessionati nella ricerca di qualcosa che convinca gli iraniani che Allah è ancora dalla parte degli ayatollah, un ruolo che è stato inidividuato nel progetto nucleare. L’hanno fatto proprio, non importa quale sarà il prezzo da pagare, andranno avanti sino alla fine. Non vi rinunceranno, in spregio alle dure sanzioni, perché è la loro ‘polizza assicurativa’, che li proteggerà da quello che odiano di più al mondo: l’ingerenza degli infedeli occidentali nei loro affari interni.
E’ importante notare che il progetto nucleare è iniziato al tempo dello Shah, allora apprezzato anche dall’occidente. Il motivo era rafforzare il sentimento nazionale iraniano, ma gli ayatollah l’hanno continuato al fine di sostenere l’islam sciita iraniano. Il regime respinge ogni pressione esterna e utilizza ogni mezzo possibile per diffondere menzogne, l’astuzia, la dissimulazione sono parte delle loro reali intenzioni, si ritirano durante i negoziati, guadagnando tempo per raggiungere il loro obiettivo: trasformare la ‘Repubblica islamica’ in una superpotenza invincibile. Gli ayatollah vedono in questo scopo la vittoria dell’islam sull’eresia.
Per conseguenza, nessuna pressione esterna, ad esempio le sanzioni economiche, potrà dissuaderli. Ragionano in base a un punto di vista teologico: sono loro i veri credenti in Allah, e questo gli infonde la capacità tecnologica di fare quel che va fatto. Comunque vada, non saranno coloro che mangiano maiale, gli infedeli inebetiti dall’alcool,che stabiliranno il diritto di imporre ai veri credenti in Allah ciò che devono o non devono fare. La classe dirigente iraniana non riconosce le istituzioni internazionali come legittime, perché sono state instaurate dagli ‘Istakbar’, gli occidentali arroganti e islamofobi, che guardano ancora gli ‘indigeni’ con gli occhi dei colonizzatori.
I persiani sono un popolo antico, le cui conquiste, lungo migliaia di anni, sono scritte sulle pagine dei libri di storia. Si sentono molto orgogliosi di fronte ai successi scientifici raggiunti durante il corso di migliaia di anni, persino prima che arrivassero dalle steppe dell’Asia le tribù, quei popoli che attualmente popolano l’Europa. Che cosa sono gli Stati Uniti, se non un paese fondato 235 anni fa, paragonato all’esistenza di migliaia di anni della Persia ? Potrebbe mai un americano capire un iraniano ? Chi ha dato agli immigrati in America, a coloro che hanno commesso massacri, decimato gli indiani, il diritto di dire a un iraniano, che vive sulla sua terra da migliaia di anni, in quale modo si onorano i diritti dell’uomo, quelli delle donne o delle minoranze ? Forse che gli americani hanno onorato i diritti dell’uomo, delle donne o delle minoranze di coloro che erano in America ben prima di loro ?
Gli iraniani giudicano ipocrite e prive di senso della morale tutte le istituzioni internazionali moderne, di conseguenza non sentono alcuna necessità di uniformarsi alle loro illogiche esigenze. Malgrado ciò, nella classe dirigente iraniana esistono significative differenze di opinione su come il governo dovrebbe comportarsi se vuole sopravvivere come regime islamico: deve stringere i freni alla maggioranza laica, in modo da impedire le manifestazioni di protesta, oppure introdurre riforme che attenuino la pressione sulla popolazione, tanto da impedirle di manifestare, e non rischiare quanto è avvenuto in Tunisia, Egitto, Libia e Yemen, dove i leader sono stati estromessi ?.
Qualcuno, in Occidente, vede queste due scelte come un conflitto tra dittatura e democrazia, ma questa valutazione è totalmente sbagliata. L’obiettivo è identico per entrambe: la continuazione del regime degli ayatollah, la differenza sta solamente nello scegliere la via migliore per raggiungerlo. L’approccio conservatore o realizzare le riforme. Nello stesso tempo esistono delle minacce interne all’unità della nazione: le minoranze beluci e kurde sono quotidianamente impegnate in una guerriglia contro il regime iraniano che causa molte perdite tra i ‘guardiani della rivoluzione ’, che rispondono con brutali repressioni.
I militanti Mudjahidin-Halk preoccupano molto il regime, perché possono infiltrarsi in Iran senza essere scoperti, dato che risiedono nella regione, per cui gli riesce facile mescolarsi alla popolazione.
I dirigenti iraniani temono che esplosioni e omicidi mirati che causano gravi danni al progetto nucleare e al programma missilistico siano messe in atto da esecutori locali, milizie Mudjahidin-Halk o appartenenti alle minoranze beluci e kurde, che sono ispirate, dirette, finanziate e istruite dagli Usa e Israele. Queste azioni fanno scattare il timore che le infrastrutture utilizzate per questi attentati possano essere impiegate contro gli stessi leader del regime.
Il sospetto è grande e la tensione fra i leader iraniani è forte. I sanguinosi avvenimenti in Siria sono percepiti in Iran come guidati dall’Occidente contro le basi iraniane in Siria. Accusano il Qatar di partecipare al complotto americano teso alla destituzione di Assad, con lo scopo di spingere la Siria nel campo occidentale e israeliano. Il Qatar, che possiede la televisione al-Jazeera, è senza dubbio responsabile – secondo l’Iran e Assad – delle rivolte in Siria, dato che da anni diffonde trasmissioni mirate contro il regime siriano.
Gli iraniani minacciano tutti, la Turchia, gli emirati del Golfo, Israele, l’Europa e gli Usa: se cade il regime siriano, l’Iran risponderà in un modo così forte da sorprendere tutti. La marina iraniana minaccia la chiusura dello Stretto di Ormuz, da dove passano le navi che trasportano gran parte di gas e petrolio. Le sanzioni internazionali hanno sicuramente influito sulle relazioni tra Iran e i suoi stati satelliti. Il sostegno finanziario iraniano a Hezbollah si è significatamene ridotto (NdT: 25% secondo G.Malbrunot-Le Figaro) e Hezbollah è talmente immerso nelle difficoltà finanziarie da far nascere già delle voci al suo interno che chiedono una revisione del rapporto con l’Iran. Il quale ha anche smesso recentemente di finanziare Hamas a Gaza, soprattutto a causa del fatto che Hamas, malgrado il pluriennale aiuto iraniano, è passato, nel corso degli ultimi tempi, da una fase rivoluzionaria a una che si propone invece la costruzione di uno Stato, da una organizzazione idealista, l’jihad, a un sistema al quale interessa governare. Visto che Hamas ha scelto, per ora, di abbassare il livello della guerra contro Israele, l’Iran ha rivolto gli aiuti verso organizzazioni che perseguono la guerra attiva contro l’entità sionista, tra queste l’jihad islamico, un atto che preoccupa Hamas nel momento in cui dovrebbe cercare di eliminarlo , se vuole veramente trasformarsi in un vicino normale di Israele.
La conclusione è chiara: la rivoluzione islamica in Iran ha fallito il suo obiettivo, in politica interna, regionale o globale.L’ultima possibilità di salvezza sta nel progetto nucleare, che gode ancora dell’appoggio di Cina e Russia, ma il primo è un paese di infedeli, il secondo di bevitori di vodka. Ecco chi sono quelli che difendono i “credenti”, contro i progetti che altri infedeli preparano contro di loro. Non potrebbe esserci un conflitto ideologico più grande di questo.
Il mio amico e collega, il professor David Mansheri, che è stato fino a poco tempo fa direttore del Centro Studi iraniani all’Università di Tel Aviv, mi ha detto: “ Nei trent’anni trascorsi dopo la rivoluzione, molti segmenti della società non sono per niente soddisfatti dei risultati. Il gruppo al comando è ancora stabile, ma ci sono dissidenti al suo interno, specialmente fra i più religiosi, guidati dall’ayatollah Khamenei, e l’amministrazione del governo sotto Mahmoud Ahmadinejad. Malgrado il fatto che la rivoluzione è islamica e che le linee guida sono religiose, sono piuttosto le valutazioni nazionaliste che guidano oggi il potere, perché sono le uniche a poter mantenere l’unità fra la popolazione, che è essenzialmente laica. Il progetto nucleare è il più importante, secondo la valutazione della classe dirigente, se ne è vista la prova con i recenti fatti in Libia. Se Gheddafi non avesse rinunciato al suo progetto nucleare nel 2004, come conseguenza della guerra contro Saddam Hussein, e se avesse posseduto, quindi, un’arma nucleare, la Nato non avrebbe nemmeno immaginato di fare ciò che ha fatto. Ne consegue che i leader iraniani, anche se appartengono a diverse fazioni, e malgrado le contraddizioni interne, sono uniti nel ritenere che il progetto nucleare è essenziale alla sopravvivenza del regime.”
Comunque sia, la pressione all’interno del regime è palpabile, e le manifestazioni populiste contro l’ambasciata britannica sono il segnale di questa pressione. Un paese stabile, calmo, non si comporta in questo modo. Le esplosioni e gli omicidi mirati fanno capire al regime che il timore di infiltrazioni è reale. L’America è il nemico esterno che si spera possa unire gli iraniani sotto un’unica bandiera. Può darsi che la gente non la pensi così, ma alla luce della brutalità del regime ed il modo con il quale le manifestazioni di protesta dei giovani sono state represse dopo le elezioni del 2009, il popolo non ha altra scelta che continuare la vita di tutti i giorni, nella speranza che arrivi il tempo nel quale l’incubo chiamato ‘rivoluzione islamica’ possa dissolversi.
Mordechai Kedar fa parte del Centro Studi sul Medio Oriente e sull’Islam della Università Bar Ilan, Israele. Collabora con Informazione Corretta