Ma come funziona la Sanità in Israele ?
di Deborah Fait
Deborah Fait
Ammalarsi non e' certo una benedizione, amici cari. Andare all'ospedale lo e' ancora meno, naturalmente.
Andare all'ospedale in Israele puo' diventare, tuttavia, un'esperienza interessante sotto tutti i punti di vista e puo' essere, anzi e', lo specchio della civilta' di un paese.
Nel mio caso si e' aperto un mondo nuovo e inaspettato per la sua perfezione, ho scoperto una volta di piu' di vivere in un paese eccezionale, abitato da persone eccezionali che coniugano leggi dello stato democratico con vera e sincera convinzione, con una professionalita' e un' umanita' disarmanti.
Mi spiace dirlo ma, abituata alla sanita' italiana degli anni 90, ho vissuto questo periodo come in un sogno, meravigliandomi di ogni particolare, dandomi ogni tanto pizzicotti per accertarmi di non sognare,di non essere nella perfetta Scandinavia ma in un piccolo paese del Medio oriente, odiato da tanti, in guerra con i propri vicini da decenni e colpito dal terrorismo da sempre.
Tragedie vissute da un intero popolo che tuttavia non hanno intaccato la funzionalita' del sistema e non ne hanno distrutto i valori.
Stavo vivendo questa esperienza in Israele, non in Svezia o in Norvegia e adesso ve la voglio raccontare alla faccia di tutti quei detrattori, padri e figli dell'odio, che fanno passare Israele per uno stato non democratico, demoniaco che puo' solo scomparire dalla faccia della terra per far posto alla civilta' araba che ammazza, tortura, stupra, e fa rivoluzioni "primaverili" per ammazzare meglio e di piu'.
Voglio dare questa testimonianza alla faccia loro, dei vari Moni Ovadia, Daniel Barenboim, Ilan Pappe, Noam Chomski e tutti quei piccoli e grandi vigliacchi che seguono le orme dell'odio antiisraeliano dei personaggi famosi per sentirsi piu' importanti. Vi chiederete perche' ho citato solo nomi di ebrei con tutti gli odiatori che ci sono in giro, beh, in verita' sono quelli che piu' mi fanno rabbia e che piu' disprezzo per essere contro il loro popolo in nome di niente altro che della loro ideologia insana e vigliacca.
Entrare in un ospedale israeliano e' come far parte di una societa' cosmopolita racchiusa tra quattro mura, ti mettono in un letto e ti accorgi di avere come vicini di stanza e di sventura le persone piu' disparate e di ogni colore, alcuni senza la minima idea della lingua ebraica e tutti trattati allo stesso modo e con la stessa bravura, sia che si tratti di medici, infermieri o inservienti, oltre che con uno sforzo sovrumano perche' si sentano capiti e possano farsi capire e allora ecco che il personale parla ebraico, russo, aramaico, arabo, inglese. Ho scoperto infermieri di origine russa che parlavano aramaico con i malati etiopi e personale medico e paramedico di evidente origine etiope che parlava russo con i vecchietti che arrivati in Israele troppo anziani non avevano potuto, o voluto, imparare la lingua del paese.
Tutti vengono curati e trattati allo stesso modo e organizzazzioni governative o private ma finanziate anche dallo stato, mandano negli ospedali o nei centri di riabilitazione persone di madrelingua non ebraica per intrattenere i malati e rendere meno dure o noiose le loro giornate.
E' stato per me interessante fare uno studio sociologico delle varie persone, il malato etiope ha intorno al letto la sua tribu' personale fatta di molti figli con le loro famiglie, compresi i bambini. E' tutta un'allegria anche se il luogo e' di dolore, vedi i malati accarezzati, cullati, amati come bambini. Vedi nipotini che imboccano i nonni, bambini ai quali nessuno dice di parlare sottovoce perche' in Israele il "sottovoce" non esiste.
Il malato russo ha in genere uno o due figli ma c'e' anche chi non ha nessuno che lo vada a trovare e allora e' l'ospedale che pensa a distrarlo dalla tristezza con giochi, TV nella lingua preferita, lavori artistici manuali.
Nel mio centro di riabilitazione c'era una ragazza beduina, Arifa, un giovane bella e gentile diventata subito la mascotte del reparto. Aveva avuto un'operazione delicatissima di accorciamento di una gamba e il suo chirurgo, dall'ospedale di Herzelia, le telefonava quasi ogni giorno per sapere come procedeva la fisioterapia.
Arifa era coccolata da tutti e quando la famiglia veniva a trovarla era bello vedere donne arabe velate che portavano tanti buoni dolcetti, chiacchierare con noi ebrei come se fossimo tutti vecchi amici.
Altro che stato razzista.
Poi c'era Ester, la capoinferniera etiope, bellissima, che parlava russo e inglese come l'ebraico e la sua lingua madre, l'amarico.
C'era, tra noi della fisioterapia, una malata indiana, della tribu' ebraica detta Bene'Israel (figli di Israele). La maggior parte degli ebrei indiani, di origine molto antica, e' emigrata in Israele pur non esistendo in India nessuna forma di antisemitismo se non presso le comunita' islamiche.
Era bello vedere i membri della sua famiglia venire a trovarla, le donne vestite col Sari, e portarle da mangiare le loro prelibatezze. Tutto l'ospedale profumava di curry ed era un piacere per gli occhi e per l'odorato.
Durante la mia degenza abbiamo avuto anche l'emozione della sirena che annunciava l'arrivo del missile da Gaza. Nel giro di mezzo secondo, non si sa come, eravamo tutti messi al sicuro, chi aveva le sue gambe funzionanti ce la faceva da solo, chi era in carrozzella veniva spinto da medici e infermieri in zone protette. Poi abbiamo sentito il Bum. Certo e' che se il missile fosse caduto sull'ospedale qualche altro cliente della fisioterapia lo avrebbe fatto, se non peggio.
I signori nominati qui sopra, i padri e i figli dell'odio, quelli che io disprezzo con tutta me stessa, vorrebbero che i lanciatori di missili prendessero il posto di noi ebrei e non ebrei cittadini di Israele e della nostra democrazia per dare il paese in mano a terroristi e assassini.
Finito l'allarme. Dopo altro mezzo secondo, la vita era tornata normale, come se niente fosse accaduto e tutti erano tornati ad occuparsi delle loro faccende.
Ma non e' finita qui, finora tutto potrebbe sembrare piu' che normale e vi chiederete "ma cosa vuole questa, ci racconta cose usuali in ogni ospedale del mondo civile". Bene, si, normali, forse, non so, ma adesso viene il bello perche' adesso devo raccontarvi cosa succede al momento delle dimissioni del malato dall'ospedale.
Per prima cosa si viene contattati dalle assistenti sociali che lavorano nella struttura e che chiedono la situazione famigliare, se un malato vive da solo, se ha aiuto in famiglia, se ha bisogno di aiuto esterno.
Bene un malato, ogni malato, riceve, nell'ordine:
Una badante per tot ore al giorno almeno per un mese che puo' essere di piu' se ne avra' bisogno. Dopo il primo mese tre volte alla settimana.
Un fisioterapista, A CASA, per tre o piu' volte alla settimana, a seconda del bisogno.
Un esperto di riabilitazione che controlla la funzionalita' dell'abitazione e che insegna come cavarsela nelle faccende di casa le piu' elementari, farsi il caffe', aprire il frigorifero, andare a letto, alzarsi dal letto, andare al gabinetto, farsi o farsi fare la doccia.
Un medico che viene a fare la prima visita a casa.
Un infermiere che viene a controllare le medicine che si prendono.
L'esame del sangue a casa.
Un assistente sociale per spiegare al malato convalescente quali sono i suoi diritti.
Tutto questo viene dato al malato dalla sua cassamalati, senza pagare un solo shekel.
Un'altra organizzazione , chiamata Yad Sarah, (La mano di Sarah), da al convalescente, gratis, tutto cio' che serve, sedia a rotelle, girello per camminare, bastoni vari, aggeggi per afferrare le cose da terra, per infilarsi le calze senza alzare le gambe, per mettersi le scarpe, persino per grattarsi la schiena.
Questa e' la sanita' israeliana, naturalmente il tutto condito da serieta' e capacita' professionali mediche all'avanguardia.
Tutto questo succede, la mia testimonianza e' per esperienza diretta, in un piccolo e odiato paese che risponde al nome di Israele, un paese definito "di merda" da un ambasciatore francese, il paese che gli odiatori chiamano "demoniaco" e che vorrebbero scomparisse dalla carta geografica del mondo.
Sono orgogliosa di viverci e di far parte di una grande, variopinta e meravigliosa democrazia.