Che l'inferno sia lastricato di buone intenzioni è cosa risaputa. Ci è cascato anche il GIORNALE, che nel sito internet del 19/12/2011, è riuscito a scrivere una bufala che nemmeno al Manifesto (forse) sarebbe venuta in mente.
La mettiamo in evidenza nel testo che segue, in grassetto e sottolineata, con l'invito all'autrice del pezzo,Maddalena De Bernardi, di informarsi prima di recensire una mostra, è vero che Roma spesso la si confondere con Toma, ma confondere arabi con ebrei è meno digeribile della Toma di romana memoria.
Invitiamo i nostri lettori a scrivere al direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, consigliando una attenta rilettura dei pezzi prima di metterli online.
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Ecco il pezzo:
Tel Aviv al Museo di Roma in Trastevere
Cartoline d'epoca di una Tel Aviv che sonnecchia tra le stradine del sobborgo di Jaffa, oggi il quartiere degli artisti. Tel Aviv che sogna, balla, si dimena e non trova tregua. Perché in Israele si dice che a Gerusalemme si prega, a Haifa si lavora, a Tel Aviv ci si diverte - 19 dicembre 2011,
di Maddalena De Bernardi
Cartoline d'epoca di una Tel Aviv che sonnecchia tra le stradine del sobborgo di Jaffa, oggi il quartiere degli artisti. Tel Aviv occhi di falco (quelli della Israeli Air Force) puntati verso il mare che nasconde segreti e scioglie castelli di sabbia. Tel Aviv che sogna, balla, si dimena e non trova tregua. Perché in Israele si dice che a Gerusalemme si prega, a Haifa si lavora, a Tel Aviv ci si diverte. Fino all'8 gennaio presso il Museo di Roma in Trastevere è possibile visitare la mostra su Tel Aviv Cento Volte Primavera. Fotografie di Tel Aviv dal 1909 ad oggi: cento fotografie e altrettanti ricordi della città, dai tempi in bianco e nero al digitale. La mostra è stata ideata da Roly Kornblit e curata insieme a Francesca Barbi Marinetti, quali hanno spiegato: "La mostra è un racconto della quotidianità epica ed affascinate della città". La prima immagine dell'esposizione risale al 1909 quando Avraham Soskin scattò una serie di fotografie alle strade, la comunità al lavoro, i primi palazzi. Fino a oggi, con i ritratti di Viviana Tagar e gli scatti dell'esistenza frenetica e coloratissima dei quartieri come Akhuzat Bayit, il primo insediamento israeliano da cui rapidamente si sviluppò quella che negli anni seguenti diventerà Tel Aviv, 'collina di primavera', dal punto di vista eticmologico e, possiamo a buon ragione dirlo, squisitamente paesaggistico. Oggi Tel Aviv mostra uno stile di vita incredibilmente occidentale: fortemente contemporanea nell'anima, razionale e brulicante di eventi a qualsiasi ora, la città è un potente centro economico e al tempo stesso un luogo di villeggiatura rinomato, grazie alle spiagge illuminate dal sole, i numerosi locali e i ristoranti con le terrazze in volo nel blu, le tavole da surf da tenere sottobraccio per non lasciarsi sfuggire nessuna onda. Qui tradizione e modernità sembrano raggiungere un singolare connubio, infradito e scarpe di vernice convivono passo dopo passo, mentre quartieri come Jaffa diventano centri sempre più brulicanti, scelti dal popolo dell'arte come rifugio e laboratorio. Dicono i curatori della mostra: "Una città tollerante, senza uguali nell'intero Mediterraneo, un simbolo di democrazia con il suo cuore contemporaneo; una città che non dorme mai, con ristoranti aperti tutta la notte, e supermercati con orario continuato, per fare acquisti in qualunque orario. Locali e caffè in ogni angolo. A Tel Aviv i contrasti convivono in piena armonia". L'11 aprile del 1909 un gruppo di sessantasei famiglie arabe di Jaffa furono costrette a lasciare la città: in un'immagine di Soskin rimasta nella storia decine di uomini e donne ebree, vestiti secondo la moda europea dell'epoca, stanno di fronte al mare mentre un sorteggio assegna i terreni dove costruire nuove case. Davanti al mare; il mare, la distesa di sale che separa Israele da un Occidente vicino e tragicamente lontano, il mare che cela commerci, corpi e desideri di un presente migliore mentre il passato si affanna per non scomparire.
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