Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 21/12/2011, a pag. 16, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Iraq, appena partiti gli americani riesplode la faida sciiti-sunniti ".
Maurizio Molinari, Tariq Al Hashemi
Nel giorno in cui Barack Obama accoglie alla base aerea di Andrews gli ultimi soldati americani usciti dall’Iraq, a Baghdad va in scena un braccio di ferro fra leader sciiti e sunniti che paventa il ritorno della violenza interetnica. Tutto è iniziato lunedì quando la tv irachena ha mandato in onda le confessioni di tre ex militanti sunniti che hanno raccontato di aver commesso attentati anti-sciiti in cambio di danaro ricevuto da Tariq al-Hashemi, l’attuale vicepresidente anch’egli sunnita.
La conseguenza è stata un ordine di cattura spiccato nei confronti di al-Hashemi da parte dell’autorità giudiziaria del governo guidato da Nouri al-Maliki e sostenuto dai partiti sciiti. Ma quando la polizia è andata a casa di alHashemi per arrestarlo non lo ha trovato perché l’importante leader del partito sunnita «Iraqyia» nel frattempo era fuggito a Irbil, nel Kurdistan iracheno, da dove ha negato ogni addebito nel corso di una conferenza stampa. «Nessuno può essere considerato colpevole solo sulla base di sospetti, sono tutte bugie contro di me e contro l’Iraq ha tuonato il vicepresidente. Non ho mai spinto nessuno a commettere simili delitti né a far scorrere sangue iracheno, mi chiedo perché al-Maliki ha aspettato la fine del ritiro degli americani per compiere un simile atto».
L’accusa nei confronti del vicepresidente è di essere stato il mandante e regista delle «squadre della morte» con cui i sunniti bersagliarono la comunità sciita fra il 2006 ed il 2008: si tratta di una delle ferite più profonde causate dalle gravi violenze interetniche che avvennero all’epoca. La scelta di sottrarsi all’arresto rifugiandosi in Kurdistan crea ora una delicata impasse perché le regioni curde sono, secondo la Costituzione, del tutto autonome e dunque Baghdad non può compiervi degli arresti ma deve limitarsi a chiedere di eseguirli alle autorità locali, che hanno la facoltà di accettare o respingere la richiesta. In concreto ciò significa che al-Hashemi, che è il sunnita con la più alta carica istituzionale, è un esiliato in patria, non potendo lasciare il Kurdistan. I leader curdi da parte loro nell’attrito fra sunniti e sciiti tendono a solidarizzare con i primi nel comune timore di essere egemonizzati dai secondi, che costituiscono la maggioranza della popolazione. Ecco perché il presidente iracheno Jalal Talabani, che è curdo, si dice «sorpreso» dal mandato di arresto, evitando di legittimarlo.
I leader sunniti fanno quadrato attorno al vicepresidente, riconoscendosi nella reazione di Osama al-Nujaifi, presidente del Parlamento nazionale, che parla di «falsità». Al Hashemi si è anche scagliato contro Obama: «Quando ha detto che l’America ha lasciato la democrazia in Iraq sono rimasto sorpreso, la realtà è ben differente, oggi la mia casa è circondata da carri armati e io gli chiedo, Mr Obama di che democrazia sta parlando?». A prova della gravità della crisi, nella notte il vicepresidente americano Joe Biden ha telefonato al premier di Baghdad e ai lieader sunniti nel tentativo di facilitare un compromesso.
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