Bevete meno champagne e brindate all'anno nuovo col nostro prosecco.
di Vitaliano Bacchi
Alan Dershowitz M.Gheddafi Ely Karmon
a destra, Vitaliano Bacchi
Ely Karmon è un esperto mondiale di terrorismo. E' docente in una università israeliana e il carattere saliente della sua gnoseologia terroristica è la prevalenza della aspettativa razionale in senso militare nelle sue previsioni.
Ci sono vari esperti di terrorismo e ognuno di essi ha un suo "stile": Dershowitz fa previsioni sul terrorismo in senso giudiziario. Bueno de Mesquita le fa in senso politico. Leetaru le fa in senso rivoluzionario-sociale.
Karmon le fa in senso militare.
Condivide la mia idea, che ho espresso varie volte su questo sito, che si è aspettato troppo nella decisione militare contro l'Iran e che forse oggi è tardi, nel senso che la risposta militare oggi potrebbe essere imponderabile, mentre invece nel 2005, secondo l'opzione Cheney, la condizione di reazione militare di Teheran era controllabile.
In una delle sue ultime interviste, Karmon spiega che un putsch a Damasco sarebbe idoneo a determinare condizioni estensive, un effetto a farfalla, nella vicina Persia, in quanto la propensione delle opposizioni arabe a mutuare da esperienze sociali contingenti e limitrofe la spinta rivoluzionaria si è dimostrata particolarmente elastica e assorbente in tutte le vicende rivoluzionarie vistesi nella cosiddetta primavera araba, che è stata poi la rivolta di un proletariato escluso dalle ricchezze nazionali dai vari leaders medioevali miliardari che si erano dati.
Se questo è vero, se cioè l'effetto estensivo del successo di una rivoluzione siriana potrebbe effettivamente determinare la destabilizazzaione di un regime che vanta le forme più retrive e tribali della ideologia islamica del potere e della casta sociale, c'è da chiedersi se questa ponderazione non sia stata fatta anche in seno alla Nato, che pure ha fatto vedere una recente sbrigativa opzione militare nel caso della Libia, scenario di guerra in cui dalla prima fucilata fino alla intercettazione del convoglio in fuga di Gheddafi, tutto è stato coordinato, organizzato e istruito dalla Nato in funzione francese.
Non è infatti possibile oggi valutare effetti economici immediati positivi del crollo di Gheddafi se non nei confronti della Francia e, in parte minore, degli inglesi che, per altro, già precedentemente avevano stabilito, con accordi vergognosi di rimozione delle responsabilità del rais negli attentati terroristici, patti energetici vantaggiosi con la Libia. L'Italia ha ottenuto solo conferme di accordi precedenti che erano e restano estorsivi, conclusi dal nostro leader di allora che temeva l'effetto di una eventuale crisi negli approvvigionamenti più come una ulteriore causa di crisi politica interna e sua personale che come una semplice crisi energetica.
Come mai, quindi, la Nato ha valutato l'opzione militare libica per soddisfare la spinta anglofrancese in questo senso e non ha valutato, oltre che vietato di farlo ai paesi membri, identica opzione per la crisi siriana? Se colpire la Libia significava, nelle previsioni di intelligence effettivamente poi verificatesi, rimuovere sì una feroce dittatura che faceva affari preferibilmente con l'Italia che con la Francia, ma anche e soprattutto consentire agli interessi anglofrancesi di imporre le loro soluzioni nella economia libica della rinascita, che cosa può significare oggi organizzare e appoggiare i rivoltosi nella lotta alla dittatura siriana, esattamente come si fece in marzo contro Gheddafi?
Significherebbe, secondo Karmon, completare la spinta eversiva di un fronte rivoluzionario arabo internazionale che in meno di un anno ha lottato per l'emancipazione dalle dittature tribali in senso democratico, salvo poi verificare in futuro a chi abbia veramente giovato la rivoluzione della primavera araba. Significherebbe soprattutto, nella sua analisi, costituire una base rivoluzionaria idonea ad estendere la rivolta da Damasco a Teheran secondo le stesse modalità con le quali si estese dal Cairo a Tripoli. Senonchè, nello scorso marzo l'opzione fu presa per favorire gli interessi francesi e inglesi su quella miniera immensa di risorse energetiche che è la Libia, mentre oggi la stessa opzione contro la Siria favorirebbe esclusivamente gli interessi di Israele al contagio rivoluzionario in Iran e quindi alla destabilizzazione di un regime che ha fatto della distruzione del popolo ebraico e dello Stato di Israele l'obiettivo politico e la missione religiosa della propria storia.
Francia si, Israele no. Questa è la triste logica di una organizzazione militare che chiede contributi a tutti i suoi membri e regala solo ad alcuni di essi, i più importanti probabilmente, non certo all'Italia. E nemmeno ad Israele, fingendo con ciò di ignorare che una minaccia atomica non è mai solo regionale, come dimostrano le recenti prese di posizione cinesi e russe contro lo sviluppo ritenuto eccessivo della balistica a raggio multiplo purtroppo ormai già completatta dagli iraniani coi missili Shihab, certamente idonei a colpire Tel Aviv dal territorio iraniano.
Francia si e Israele no. Più importanti gli interessi petroliferi della prima che l'ipotesi di uno sterminio di massa in Israele: la France avant tout, diceva De Gaulle e l'assioma resta vero. Soprattutto quando le decisioni di affari militari sono in realtà decisioni di affari. L'aggettivo "militari" potrebbe anche essere risparmiato. Israele resta solo come sempre e può contare solo sulle sue forze e su chi come noi, dovunque ci si trovi, dobbiamo trovare il modo di aiutarlo tutti i giorni in questa sempre più difficile avventura di sopravvivere.
Bevete meno champagne e brindate all'anno nuovo col nostro prosecco.