Sul FOGLIO di oggi, 17/12/2011, a pag.3, con il titolo " Chi minaccia la democrazia in Egitto ", un editoriale che analizza il potere assoluto dell'esercito.
In Egitto l’esercito continua a confermarsi come la minaccia più a breve termine per la democrazia più popolosa del mondo arabo. Ieri i soldati hanno dato l’assalto a un piccolo sit in davanti alla sede del governo, abbattendo le tende e malmenando i manifestanti, a soli trecento metri da una piazza Tahrir che ormai è deserta – svuotata di senso e di gente dalle elezioni parlamentari in corso. Le battaglie di strada sono ricominciate come quattro settimane fa: quattro morti, munizioni vere, giornalisti stranieri picchiati, pioggia di sassi sopra Kasr al Nil, la strada delle istituzioni, con i palazzi bianchi del Parlamento. Non è stata la polizia ad attaccare e il dettaglio è importante: finora era stato il ministero dell’Interno a fare la parte del cattivo, i generali tentavano (senza riuscirci granché) di ritagliarsi il posto di garanti neutri della transizione verso la democrazia. E’ andata male: la piazza reagisce con generoso entusiasmo, fin troppo, alle prevaricazioni, i giovani non hanno slancio in politica, ma sono sempre pronti alla guerriglia urbana. Poco volantinaggio, molte molotov (l’esatto contrario dei Fratelli musulmani, e infatti si sono visti i risultati nelle urne). Le grandi percentuali ottenute dai Fratelli musulmani e soprattutto dai salafiti (che fanno più notizie perché nessuno le aveva previste) hanno scatenato l’allarme degli osservatori. La contraddizione tra islam e democrazia – sostengono – è insanabile: i diritti civili, l’emancipazione delle donne, le libertà personali sono a rischio se il Parlamento sarà occupato dai partiti musulmani. Ancora prima, però, c’è il problema del potere nelle mani dei generali. Se il sistema è aperto, ovvero se a ogni voto gli egiziani hanno la possibilità di votare i propri rappresentanti, potranno sbarazzarsi facilmente dei salafiti, se lo vorranno. Ma i generali sono lì per restare, stanno trafficando per assicurarsi una permanenza al vertice del paese senza controlli e senza poteri superiori. Vogliono nominare l’assemblea che scriverà la Costituzione, non vogliono che il nuovo Parlamento elegga un proprio governo, disperdono le proteste con violenza brutale. Il modello ricorda un altro paese, il Pakistan: non è un complimento.
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