Il trattato italo-libico in forse, ecco l'analisi di Carlo Panella su LIBERO di oggi, 15/12/2011, a pag.19, con il titolo "I ribelli a Roma: trattato con la Libia a rischio":
Mustafa Abdel Jalil
Stamane Mario Monti e poi il presidente Giorgio Napolitano ricevono a Roma Mustafa Abdel Jalil, presidente del Cnt libico e finalmente si comprenderà quali siano i punti del Trattato italo-libico su cui il nuovo governo di Tripoli «avanza delle riserve », come anticipato dal ministro degli Esteri Mohamed Abdelaziz. Va detto che queste «riserve» creano una certa inquietudine, e non solo perché sono avanzate da un governo che, senza l’ap - porto determinante della nostra Aviazione e della nostra Marina, non solo non sarebbe oggi al potere, ma sarebbequantomenoin esilio. Fare precedere la prima visita ufficiale a Roma delle più alte autorità libiche da queste dichiarazioni non denota certo quella “finesse diplomatique” che pure sarebbe lecito attendersi da una leadership che tanto deve all’Ita - lia, ma questo è evidentemente lo “stile” della nuova leadership libica. Il fatto preoccupante è che il Trattato siglato a Bengasi il 30 agosto 2008 da Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi, nulla prevedeva a favore di quel regime, ma molto dava alla Libia come Stato. L’Italia infatti non solo esprimeva scuse formali e pubbliche per l’aggressione coloniale iniziata nel 1911, ma si impegnava anche nel finanziare in Libia investimenti strutturali per ben 5 miliardi di dollari (seguiti poi da altri 5) come riparazione dei danni provocati dalla nostra avventura coloniale. La Libia, da parte sua, concordava un “qua - dro” di relazioni in campo energetico (i singoli, consistenti contratti e investimenti dell’Eni sono ovviamente di natura privatistica) e infine si impegnava ad una politica di effettivo contrasto dei flussi migratori clandestini, anche in collaborazione con la nostra Marina. Questi i punti salienti. Ma su quale di questi aspetti ora Jalil «esprime delle riserve »? Intende chiedere finanziamenti più consistenti in conto danni di guerra? Vuole mettere in discussione la partnership energetica tra i due Paesi? Non intende impegnarsi a fondo sul fronte del contrasto all’immigrazione clandestina? Avanza ulteriori richieste in altri campi? Tutte le ipotesi sono aperte, ma è forte la preoccupazione che con la scusa che il Trattato è stato concordato col dittatore Gheddafi, in realtà il democratico Jalil intenda ora avviare una spiacevole fase di “di - plomazia da suk”. I termini di quell’accordo sono infatti favorevolissimi alla parte libica. L’Ita - lia ci guadagnava essenzialmente sul fronte del contrasto ai clandestini, oltre a recuperare l’ono - re incrinato in una nostra “spor - ca guerra”. Sarebbe quindi ora auspicabile che sia Monti che Napolitano, pur con la dovuta cortesia, facessero presente questo evidente squilibrio del Trattato(a favore dei libici) e assumessero un atteggiamento di gentile fermezza nei confronti di queste «riserve». È infatti vero che oggi la situazione interna alla Libia è di gravissima crisi economica e che Jalil e il Cnt non sono neanche in grado di impedire continue sparatorie tra le loro stesse milizie (l’ultima, la settimana scorsa), ma questo caos è dovuto solo alla debolezza politica del Cnt (che ha vinto la guerra solo e unicamente grazie alla Nato) e non può essere usato a pretesto per “alzare il prezzo” con nuove richieste. Anche perché le 3 mila nostre missioni aeree e navali - di cui ha beneficiato il Cnt di Jalil- sono già costate al contribuente italiano circa 700 milioni di euro.
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