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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
15.12.2011 La Renault e il Terzo Reich, cronaca di una collaborazione
L'articolo di Stefano Montefiori

Testata: Corriere della Sera
Data: 15 dicembre 2011
Pagina: 29
Autore: Stefano Montefiori
Titolo: «La Renault e il Terzo reich»

Quando la cronaca giudiziaria richiama alla memoria il passato. Nel pezzo di Stefano Montefiori, sul CORRIERE della SERA di oggi, 15/12/2011, a pag. 29, con il titolo "La Renault e il Terzo Reich" come la fabbrica francese di automobili Renault si mise subito a disposizione degli occupanti nazisti.
Ecco la cronaca:

Pouis Renault (1877-1944) con Hitler e Goering a Berlino nel 1937

PARIGI — «Meglio dare loro il latte, o si prenderanno le mucche», disse Louis Renault quando, nel 1940, vide i nazisti e gli ingegneri della Daimler-Benz dentro la sua fabbrica di Billancourt. L'uomo che aveva fondato un impero industriale aggiungendo la quarta ruota a un triciclo (così nacque la Renault Type A) aveva appena incontrato negli Stati Uniti il presidente Roosevelt per parlare di sforzo bellico e carri armati. Al suo ritorno, Louis Renault trovò una Francia umiliata e sconfitta e i nazisti che si aggiravano nel suo stabilimento per smontarlo e trasferirlo in Germania deportando pure gli operai. Il patron li convinse a lasciare tutto com'era: la Renault avrebbe lavorato per loro.
Cominciò così una relazione industriale che portò ai tedeschi molte auto e pezzi di ricambio, e alla Renault altrettanto denaro. Alla liberazione di Parigi, nel 1944, Louis venne arrestato come collaborazionista e morì dopo un mese, senza processo. L'anno seguente la sua società venne sottratta alla famiglia e nazionalizzata: il nuovo Stato francese, in cerca di gesti dimostrativi, lasciò intatto il nome Renault perché cambiare quel marchio storico sarebbe stato un suicidio commerciale, ma diede una svolta alla proprietà, accaparrandosela. Ieri, 66 anni dopo, i sette nipoti di Louis Renault hanno chiesto in Tribunale a Parigi una compensazione per «la confisca illegale e senza precedenti» dell'azienda del nonno.
Il prossimo 11 gennaio i giudici prenderanno una prima decisione sulla fondatezza della richiesta trasmettendo o meno il fascicolo alla Corte di Cassazione; l'iter legale comincia solo adesso in virtù di una nuova norma approvata nel 2010, ma naturalmente non è l'aspetto giuridico ad appassionare.
Il processo riporta in primo piano la figura storica, nel bene e nel male, di Louis Renault, e soprattutto il ruolo dell'industria — e della Francia intera — nella Seconda guerra mondiale. Quanto al primo, figlio di un commerciante di bottoni, pessimo studente ma geniale inventore e pilota da corsa, era stato decorato con la Legion d'Onore per il contributo fondamentale dei tank Renault FT-17 sul fronte tedesco nella Prima guerra mondiale. Nel periodo tra le due guerre Louis Renault si lasciò poi affascinare — come molti, per esempio Churchill — dagli sforzi di modernizzazione e dalle autobahn di Hitler, e proprio mentre in patria il Fronte popolare sperimentava l'apertura a sinistra e inaugurava le ferie pagate per gli operai, una imbarazzante fotografia lo ritrae al Salone dell'automobile di Berlino, nel 1937, mentre illustra i meriti di un modello Renault ad Adolf Hitler e Herman Göring. Louis Renault si spense il 24 ottobre 1944, nell'ospedale della rue Oudinot dopo essere stato picchiato — fino alla rottura di una vertebra cervicale — nella prigione di Fresnes. Fu uno dei circa 40 mila francesi che nei mesi della sconfitta nazista subirono la vendetta sommaria dei connazionali; il generale De Gaulle scelse poi la Renault per dare un esempio e soddisfare le richiesta dei sindacati. Ma anche le altre aziende automobilistiche francesi — Citroën e Peugeot — sotto Vichy erano state più o meno costrette a lavorare per il nemico. E ogni volta che si riaprono quelle pagine, la Francia ripiomba nella nevrosi del Paese in realtà sconfitto che riuscì a raccontarsi vincitore. «Dopo la guerra De Gaulle stabilì il criterio della costrizione o dello zelo per giudicare le azioni dei tanti che ubbidirono ai nazisti — dice Hélène Renault-Dingli, una dei sette nipoti —, e nessuno ha mai potuto affermare che mio nonno fece più di ciò a cui era obbligato in favore dei nazisti. Tra i grandi industriali, gli unici a pagare per la tragedia del collaborazionismo furono Louis, la vedova Christiane e il figlio unico Jean-Louis». Yves Audvard, leader sindacale Cgt, non è d'accordo: «Dal 1941 al 1944 le officine Renault lavorarono a pieno regime per i nazisti; riabilitare Louis è inaccettabile, equivale a riscrivere la storia». A Louis Renault gli storici imputano di non avere neanche provato, a differenza di Citroën e Peugeot, a sabotare gli impianti e a lavorare anche per la Resistenza: sarebbe stato troppo rischioso per la sua adorata impresa.
Nel 1996 la Renault è stata riprivatizzata (ma lo Stato francese resta il primo azionista con il 15,01%), nel 2010 ha venduto tre milioni e 200 mila auto e dà lavoro a 120 mila persone. Il fondatore ne sarebbe felice. Le ultime parole prima di spirare, in una pausa del coma, furono: «E la fabbrica?».

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