Un reportage molto accurato quello di Rolla Scolari sul FOGLIO di oggi, 15/12/2011, a pag.3, con il titolo "Tra le soldatesse d'Israele che spiano il nemico sul fronte Sinai", nel quale analizza la situazione al confine con il Sinai.
Ecco l'articolo:
Eilat. I ristoranti servono il pranzo all’aperto, a pochi passi dalla spiaggia di Eilat. I turisti russi in costume da bagno prendono il sole stesi sulle sdraio, mentre un gruppo di immigrati sudanesi in giacca a vento siede su un molo, lo sguardo perso sulla baia di Aqaba, verso la costa giordana, dove sventola un’enorme bandiera del regno hashemita.
E’ un giorno come tanti altri e nulla sembra indicare che a pochi chilometri dal mare, lungo il confine che separa Israele dall’Egitto, l’allerta è così alta da far decidere al ministero dell’Istruzione di sospendere alcune gite scolastiche programmate nel sud del paese. Qualche giorno fa, l’aviazione israeliana ha colpito una cellula palestinese delle Brigate dei martiri di al Aqsa – braccio armato di Fatah – nella Striscia di Gaza, uccidendo due persone. Un portavoce dell’esercito israeliano ha spiegato che, secondo fonti di intelligence, il gruppo stava preparando un attacco terroristico in territorio israeliano seguendo la rotta Gaza, Sinai egiziano, Israele attraverso il confine meridionale.
L’attacco ha innescato la risposta dei militanti palestinesi, che hanno lanciato razzi sul sud di Israele. In risposta, l’aviazione israeliana ha colpito un campo di addestramento di Hamas. Le nuove violenze a Gaza sono legate alla situazione lungo la frontiera egiziana. Ed è proprio il confine meridionale a essere diventato in questi mesi di rivolte arabe una delle maggiori preoccupazioni per Israele. Nel 2009, il governo di Benjamin Netanyahu aveva dato il suo assenso alla costruzione di una barriera in metallo, altamente tecnologizzata, per blindare i 240 chilometri di confine da Eilat, nel sud, al valico di Rafah a nord. Allora, l’enorme progetto in metallo era stato pensato per bloccare il contrabbando di droga, armi, prostitute, l’immigrazione africana. Sono tremila gli africani che hanno sconfinato soltanto nel mese di novembre, 13.500 gli immigrati che hanno attraversato questo confine nel 2010. Ma con gli sconvolgimenti che hanno toccato l’Egitto in questi mesi e soprattutto dopo il multiplo attacco di agosto, 30 chilometri a nord di Eilat, quando terroristi infiltrati dal Sinai hanno ucciso otto persone, la barriera ha assunto tutto un altro significato. Mentre ci trovavamo lì, la costruzione della barriera è stata fermata in tre punti diversi, ha rivelato alla stampa israeliana il brigadiere generale Yoav Mordechai. La ragione: un concreto allarme terroristico. In questo momento “dire che i residenti di Eilat possono riposare tranquillamente sarebbe irresponsabile”, ha aggiunto. Per Mordechai, “il Sinai è diventato terra di nessuno: gruppi palestinesi e terrorismo globale trovano lì un’area conveniente per creare infrastrutture del terrore”. “Non possiamo fidarci del Cairo” Secondo fonti militari consultate dal Foglio, la costruzione della barriera dopo l’attacco di agosto e in seguito agli eventi del Cairo ha subito un’accelerazione e l’esercito ha anche aumentato la sua presenza in termini numerici lungo il confine. La fortificazione della frontiera è il segnale più concreto dell’aumentata preoccupazione israeliana nei confronti della nuova realtà regionale, e soprattutto della situazione politica del vicino e solitario alleato egiziano. Un altro segnale dello stesso tipo è l’arrivo sul confine di una unità speciale, l’unità Rimon (in ebraico melograno, ma anche granata), creata circa un anno e mezzo fa, quando Hosni Mubarak era ancora al potere. Nei decenni della sua storia, l’esercito israeliano – ha scritto il corrispondente militare di Haaretz, Anshel Pfeffer – ha risposto alle diverse sfide della sicurezza creando nuove unità speciali: a metà degli anni Ottanta formò Duvdevan, per missioni segrete in Cisgiordania; negli anni Novanta ricreò Egoz, unità addestrata all’antiguerriglia, con il compito di affrontare il problema posto dalle milizie sciite libanesi di Hezbollah al nord. Il dispiegamento al sud dell’unità Rimon marca l’avvento di una nuova minaccia strategica per Israele, in arrivo dal Sinai. Quello con l’Egitto “è sempre stato un confine con problemi di contrabbando di africani, prostitute, sigarette, droga, non soltanto armi – spiega al Foglio Anshel Pfeffer – In seguito all’attacco di Eilat il progetto della barriera si è risvegliato. Non è più soltanto una questione di soldi, ma di sicurezza. Dopo il 1979, il punto di gravità si è spostato al nord, con il Libano, e in Cisgiordania, dove sono andate anche le risorse militari, e attorno a Gaza. Ma nulla è stato fatto su questo confine, che ora diventa importante. L’esercito non può più affidarsi all’Egitto per fermare il contrabbando di armi che arrivano oggi anche dalla Libia, e per arginare la presenza di al Qaida”. I ripetuti attacchi dei mesi passati ai gasdotti nel Sinai – dove la popolazione beduina per decenni trascurata dall’ex regime egiziano è tesa e insofferente – raccontano una situazione sempre più caotica nell’area, tanto che Israele ha permesso all’esercito egiziano di dispiegare un maggior numero di soldati in una zona che secondo il trattato del 1979 è parzialmente demilitarizzata. Ad agosto, il consiglio superiore delle Forze armate che governa l’Egitto ha deciso di mandare nella zona della cittadina costiera di al Arish, a ridosso della Striscia di Gaza, mille soldati, dopo che una stazione di polizia era stata presa d’assalto da uomini armati, che hanno ingaggiato una battaglia di nove ore con gli agenti, usando lanciarazzi e granate. In un recente incontro del comitato degli Affari esteri del Parlamento israeliano, il capo di stato maggiore Benny Gantz ha detto che l’Egitto è diventato una fonte di attacchi terroristici per Israele. Gli eventi sul confine hanno avuto effetto sull’instabilità del Cairo e hanno quasi portato a una crisi diplomatica tra i due paesi. In seguito all’attentato di agosto a Eilat, l’esercito israeliano ha colpito e ucciso inavvertitamente cinque ufficiali egiziani dall’altra parte della frontiera. Tre settimane dopo, l’ambasciata israeliana al Cairo è stata presa d’assalto. Alcuni funzionari israeliani sono stati salvati da un’irruzione all’ultimo minuto delle forze speciali egiziane. L’ambasciatore e la squadra diplomatica sono tornati soltanto da poco in Egitto. “Missioni più frequenti e più lunghe” Da febbraio, dalla caduta dell’ex rais egiziano Mubarak “il Sinai è più caotico”, ammette Dana Ben Ezra, comandante di un’unità speciale da combattimento formata da sole donne che dal 2006 fa la guardia al confine. Il nome dell’unità – Nakhshol – in ebraico significa grande onda, onda da marea. Le ragazze che ne fanno parte sono giovanissime, hanno tutte più o meno 20 anni. Il loro compito è quello di raccogliere intelligence lungo il confine, mimetizzandosi nel deserto, dove passano interi giorni e intere notti a controllare ogni movimento. “Dall’attacco di Eilat – spiega il comandante Ben Ezra, 27 anni, un fascio di muscoli – la mia squadra è più attiva, le missioni sono più frequenti e lunghe”. Le ragazze, che si definiscono “gli occhi del confine”, raccontano una nuova realtà: “Il nostro obiettivo principale è la difesa di Eilat e dei suoi residenti”, dice il sergente Ron Melzer. Con la caduta di Mubarak, dopo l’attacco di Eilat e anche con i risultati delle elezioni al Cairo e la vittoria di Fratelli musulmani e salafiti (un successo che fa temere per la salute del trattato di Pace del 1979) “c’è stato un cambiamento – dice il soldato semplice Hanna Larson, 20 anni, grandi occhi blu – prima di tutto usciamo per prevenire attacchi terroristici, poi per fermare contrabbandieri e immigrati”. Da agosto, la strada statale numero 12, che costeggia il confine e lungo la quale è avvenuto l’attacco, è chiusa al pubblico. E gli operai impegnati nella costruzione della barriera possono lavorare soltanto in presenza dell’esercito. Il timore del governo israeliano e delle forze di sicurezza è che l’instabilità in Egitto possa portare all’anarchia nel Sinai e che gruppi armati palestinesi a Gaza possano sconfinare in territorio egiziano per rientrare in Israele dal sud. Per i movimenti palestinesi la frontiera tra Israele e Gaza è una via impraticabile, perché il perimetro della Striscia è bloccato da un’altra barriera super tecnologica e sensibile al tatto. “C’è una connessione molto chiara tra Gaza e questo confine – dice il comandante Ben Ezra puntando lo sguardo verso le montagne desertiche di Eilat e la frontiera – Sono Gaza e i suoi terroristi che controllano il Sinai”. La costruzione della barriera avanza veloce. Su 240 chilometri di confine ne sono stati chiusi finora 70, spiegano funzionari del ministero della Difesa israeliano, che rivelano anche il costo del progetto: 1,35 miliardi di sheqel (290 milioni di dollari). Al termine del 2012, la barriera sarà lunga 220 chilometri: al sud, l’area attorno a Eilat, più montagnosa, sarà lasciata aperta, controllata attraverso telecamere e altre tecnologie. A quel punto, la frontiera con la Giordania rimarrà il solo fianco scoperto di Israele. La barriera è alta circa cinque metri, con un angolo in alto piegato verso il territorio egiziano per scoraggiare tentativi di scalata. Lungo il suo percorso ci sono telecamere e posti di guardia con torrette di 30 metri. Ma a differenza del confine settentrionale con il Libano, della frontiera con la Striscia di Gaza e del controverso muro della Cisgiordania, la barriera di metallo difende una linea di confine molto più lunga: 240 chilometri che, nonostante la nuova costruzione, non possono essere monitorati e pattugliati costantemente.
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