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Il Foglio Rassegna Stampa
14.12.2011 Aggiornamenti sulla situazione in Libia
di Daniele Raineri

Testata: Il Foglio
Data: 14 dicembre 2011
Pagina: 1
Autore: Daniele Raineri
Titolo: «La piazza s’infuria e le milizie non mollano nella Libia liberata»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 14/12/2011, a pag. 1-2, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " La piazza s’infuria e le milizie non mollano nella Libia liberata ".


Daniele Raineri, Libia

Roma. La rivoluzione libica porta stravolgimenti politici, ma non riempie le tasche e la pancia, anzi, peggiora la situazione economica con tutto il peso della guerra civile dichiarata conclusa – ma non ancora raffreddata – e dell’incertezza politica. Undici mesi dopo le prime proteste a Bengasi che hanno scatenato la rivolta del paese e portato alla morte di Gheddafi, la stessa piazza Shajara torna a riempirsi contro il Consiglio nazionale di transizione. Le ragioni dello scontento sono secche: “La gente vuole stipendi e una vita decente. Invece si va in banca e non ci sono soldi da ritirare. Che cosa fa il governo?”, chiede Mohammed Shibani all’inviato di Associated Press. “E guardate i prezzi. Stanno soltanto salendo”. I manifestanti ieri promettevano di voler continuare con l’occupazione della piazza anche nei prossimi giorni.
Lunedì sera il Consiglio ha promesso di voler fare di Bengasi la “capitale economica” del paese – come ha detto uno dei membri, Abdel Razzak al Aradi – ma non è ovviamente una cosa che può essere stabilita per legge e suona come una promessa troppo vuota per rabbonire gli abitanti, che hanno pagato il prezzo più alto della rivoluzione e più a lungo.
Pare invece più concreta la promessa fatta sabato dal Consiglio, di voler perdonare e tollerare i lealisti di Gheddafi – un altro annuncio che ha fatto infuriare la piazza di Bengasi. Domenica è scoppiato uno scontro a fuoco all’aeroporto della capitale Tripoli dove gli uomini della brigata Zintan, una delle milizie che più hanno combattuto durante la guerra contro il regime, ha aperto il fuoco due volte contro il convoglio del generale Khalifa Heftar, che il Wall Street Journal ha definito “un ufficiale controverso che ha passato vent’anni negli Stati Uniti ed è vicino alle agenzie di intelligence americane”.
Il portavoce del generale parla di un deliberato tentativo di assassinarlo. I miliziani parlano di un equivoco, le auto non si sarebbero fermate a uno dei posti di blocco controllati dalla brigata, loro le avrebbero inseguite sparando alle guardie del corpo. I testimoni dicono che la brigata Zintan era convinta che l’esercito volesse arrivando per prendere l’aeroporto. Mukhtar al Akhdar, il comandante della brigata, dice: “Se c’è un esercito vero, perché non è a difendere le nostre frontiere invece che a tentare di controllare l’aeroporto?”. Entro il 20 dicembre, secondo un ultimatum del governo, le milizie dovrebbero abbandonare la capitale e tornare alle loro regioni di provenienza. Non è stata ancora chiesta la consegna delle armi, ma soltanto perché non è ancora possibile ricambiare i miliziani con posti nell’esercito e con addestramento. Se l’ultimatum non dovesse essere rispettato, il governo minaccia di imporre un coprifuoco totale sulle strade, con il permesso di circolazione soltanto per i veicoli dell’esercito e del ministero dell’Interno. Per ora gli episodi di violenze, le vendette e le sparatorie continuano.
La settimana scorsa a Tripoli il ministro della Giustizia del nuovo governo, Abdul Haziz al Hassady, è stato trascinato fuori dalla sua auto in pieno giorno e minacciato di morte se non avesse liberato alcuni uomini delle milizie in prigione. E’ fuggito soltanto dopo aver preso la pistola a un assalitore e dopo averla puntata alla tempia di un altro. Il governo laico è debole per avere il controllo delle milizie e intanto la base politica islamista si organizza. Il Washington Post ha pubblicato un’intervista-ritratto di Ali Sallabi, 47 anni, otto passati nelle prigioni di Gheddafi con l’accusa di essere un predicatore schierato contro il regime.
Sallabi è stato il canale di mediazione tra il Qatar – che per la rivoluzione ha investito due miliardi di dollari – e i ribelli, ma è accusato di essere un agente dello sceiccato, desideroso di imporre la propria influenza politica e la propria versione dell’islam, senz’altro più severa di quella libica rammollita da quarant’anni di dittatura laica. Sallabi sta organizzando una fazione religiosa e politica, l’Adunanza, che s’ispira alla Fratellanza musulmana dell’Egitto e che – secondo il parere unanime dei libici – è già la più influente nel paese. Ma il leader carismatico, che controlla anche il controverso capo della sicurezza di Tripoli, il jihadista Abdul Hakim Belhaj, è ambiguo sull’islam e su Israele. A intervista finita, telefona al traduttore del Washington Post e chiede: “Come sono andato?”. “Hai danzato attorno alle risposte”. “Bene, questo è bene”.

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