Il commento di Dimitri Buffa
Dimitri Buffa, giornalista dell'Opinione
Una settimana di ordinario anti semitismo, quella che sta per concludersi. Un po’ come quasi tutte le altre 52 che hanno caratterizzato questo 2011. Tra ridicoli boicottaggi dei prodotti israeliani, appelli degli accademici inglesi contro le università di Tel Aviv e i suoi scienziati, dichiarazioni demagogiche dei capopoli da strapazzo in Italia e altrove. Una settimana che ci insegna che quando si fa strame del linguaggio e della ragione poi si pongono le basi anche per la successiva strage di individui e di popoli. Come ci ricorda l’esperienza tragica della shoà, che non basta trasformarla in evento mediatico o per gite scolastiche per esorcizzarne il ricordo.
Segnatamente l’infame e imbecille della scorsa settimana è stato un oscuro assessore di Reggio Calabria del Pdl, tale Tuccio, che per prendersela contro lo scontato show di Roberto Benigni sul Cav e le sue ormai stantie escort, non ha trovato di meglio che affibbiargli l’epiteto di “ebreo” insieme a quello di “comunista”. Segue, come da repertorio, l’omelia delle scuse ipocrite. Prima dell’interessato, poi dei suoi compagni di partito, sempre attenti ad apparire, ma spesso non ad essere, “veri amici di Israele”. Balle, in Italia come in Europa o in America, gli amici di Israele e delle comunità ebraiche della diaspora si contano sulle punta delle dita di una mano sola. E sono persone che con i fatti e non con le dichiarazioni stile “tutto chiacchiere e distintivo” hanno dimostrato di esserlo. Gli altri vanno classificati nella categoria dello spirito degli opportunisti, senza se e senza ma. L’ottimo Stefano Gatti ci informa dal bollettino della comunità ebraica di Milano che siti internet anti semiti tipo “Holy war”, che hanno dato la colpa della distruzione della statua della Madonna durante gli scontri dei black block a Roma a ridosso della caduta di Berlusconi, “agli ebrei”, tanto per cambiare.
Le leggi per chiudere quel sito immondo già esistono: perché nessuno le applica?
Se ci spostiamo dall’interno della nostra angusta e meschina penisola al contesto internazionale, vedremo che l’assunto iniziale non cambia: è stata una settimana di ordinaria paura per il pericolo di un Iran atomico e anti semita che minaccia di distruggere lo stato ebraico tra i distinguo ipocriti della politica europea e adesso anche americana, da quando Obama ha deciso di subappaltare ai Fratelli mussulmani la gestione del Maghreb del dopo rivoluzioni della primavera araba. Con i risultati che in Egitto, Libia e Tunisia stanno sotto gli occhi di tutti. Il 7 dicembre due articoli del “Foglio” a pagina 3, intitolati " Il 'codice rosso' di Teheran mette in moto pasdaran e Hezbollah " e "Prepariamoci all’Iran con la Bomba. Il rapporto choc dell’Aei ", davano risalto a quel che ci aspetta e mettevano in chiaro la posta in gioco. In particolare veniva richiamato l’unico atto politico in Europa degno di nota in materia di contrasto a questo stato di fatto: la risoluzione contro l’Iran atomico voluta da Fiamma Nirenstein, anche lei deputata del Pdl, ma di certo neanche vagamente assimilabile all’ambiguità o all’opportunismo che caratterizzano buona parte di quell’armata Brancaleone. Il testo della risoluzione votata all’unanimità dal Parlamento italiano diceva che “dall'ultimo Rapporto dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA) sul programma nucleare iraniano, rilasciato l’8 novembre 2011, risulta che l'Iran si trova in uno stadio avanzato nella costruzione della bomba atomica, smentendo gli scopi esclusivamente civili dell'arricchimento di uranio sostenuti dal regime di Teheran; in particolare, il rapporto spiega come "l’Iran ha condotto attività rilevanti per lo sviluppo di un ordigno esplosivo nucleare", riferendosi in particolare a quattro processi che sarebbero ancora in corso: 1) gli sforzi per ottenere materiali nucleari a fini militari e civili da individui e organizzazioni militari; 2) lo sviluppo di materiale nucleare in siti non dichiarati agli ispettori; 3) l’acquisizione di informazioni e documenti da un network clandestino al fine di realizzare un ordigno; 4) lo sviluppo del disegno di una testata nucleare, incluse le componenti per sottoporla ai necessari test; il rapporto AIEA chiarisce come l'Iran sia già in possesso di missili come gli Shahab-3, sui quali può essere montata una testata nucleare, che, con una gittata di 2000 km, sono in grado di colpire Israele e come si stia lavorando allo sviluppo delle versioni successive (Shahab 4 e 5), che sarebbero in grado di raggiungere l'Europa; preso atto dei contenuti del Rapporto, gli Stati Uniti, attraverso il segretario di Stato Hillary Clinton e quello al Tesoro Timothy Geithner, hanno annunciato nuove sanzioni contro l’Iran mirate soprattutto sul settore energetico e finanziario: il Presidente Barack Obama ha dichiarato che gli Stati Uniti non daranno tregua nel dare la caccia alle attività illecite dell'Iran, in quanto Teheran "ha scelto la via dell’isolamento”; la Gran Bretagna ha deciso di recidere ogni legame finanziario col Paese mediorientale, in quanto, come spiegato dal ministro degli Esteri William Hague, "il rapporto dell'AIEA ha fornito prove dettagliate e credibili delle dimensioni militari del programma nucleare iraniano"; come forma di ritorsione il parlamento iraniano ha approvato una legge che impone al Ministero degli Affari Esteri di ridurre entro due settimane le relazioni con la Gran Bretagna a livello di incaricati d'affari e l’ambasciata è stata attaccata e devastata il 29 novembre da una folla che, non impedita dalle forze di sicurezza iraniane, ha sequestrato per alcune ore sei diplomatici inglesi; il Ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant'Agata ha affermato lo scorso 22 novembre che l'Italia sostiene con piena convinzione il piano di sanzioni economiche nei confronti dell'Iran annunciato dall'Amministrazione statunitense, in quanto le conclusioni dell'ultimo Rapporto dell'AIEA hanno fornito ulteriori motivi di grave preoccupazione alla comunità internazionale; il Ministro ha anche dichiarato che "l'Italia si sta attivando affinché sanzioni analoghe a quelle annunciate dagli Stati Uniti vengano adottate quanto prima anche dall'Unione Europea"; il 22 novembre a Bruxelles gli Stati membri dell'Unione Europea hanno raggiunto un accordo di principio per estendere ad altri 190 nomi, tra personalità del regime ed entità economiche iraniane le sanzioni consistenti nel blocco dei beni e la sospensione dei visti di ingresso; il Comitato per Diritti Umani delle Nazioni Unite ha di recente concluso la sua revisione periodica dello stato dei diritti umani nella Repubblica Islamica dell'Iran, nella quale viene descritta una situazione gravissima di violazioni a ogni livello, in particolare contro le donne, gli oppositori politici, gli studenti che hanno partecipato alle iniziativa di protesta post elezioni presidenziali del 2009 e gli omosessuali; il 21 novembre l'Assemblea Generale dell'Onu ha approvato la risoluzione annuale di condanna delle violazioni dei diritti umani in Iran, con 86 sì (sei in più dell'anno scorso), mentre i contrari sono scesi da 44 a 32; il Presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad nel corso del suo mandato ha continuato a minacciare Israele e gli Stati Uniti, persino il 23 settembre dagli scranni delle Nazioni Unite, ha indicando come suo nemico giurato il mondo libero e lo stile di vita occidentale”.
Il tutto come premessa per impegnare il governo italiano a “vigilare affinché sia assicurata la piena applicazione delle sanzioni già previste nei documenti ufficiali del’Unione Europea e dell’Onu; ad attivarsi in sede comunitaria al fine di giungere all’adozione di una forte posizione unitaria, volta a porre in essere ogni azione necessaria a inasprire le sanzioni contro il regime iraniano nel tentativo di dissuaderlo dal portare avanti il programma nucleare; a sostenere l’AIEA nel suo impegno contro la proliferazione per l’accertamento integrale dello stato di avanzamento dei programmi”.
Ecco questa è una maniera pratica per dimostrare di volere essere contro chi odia gli ebrei nel mondo.
Una maniera ambigua al contrario di rapportarsi al problema del terrorismo islamico e al diritto di Israele a difendersi da esso con ogni mezzo è quello scelto da “Repubblica “ ancora sabato con un lungo articolo che riportava, deprecandolo, il fatto che lo stato ebraico si sia dovuto dotare di una sorta di barriera difensiva anti terrorismo anche per il confine con l’Egitto che sta nel deserto del Sinai, generosamente restituito dallo stesso Israele all’Egitto dopo la firma del trattato di pace con Sadat nel 1977 benchè la zona fosse bilblicamente e storicamente da sempre territorio del popolo di Israele e, soprattutto, piena zeppa di petrolio. Quanti altri stati vincitori di guerra si sarebbero comportati con la stessa onestà intellettuale? Il problema di questo pezzo di deserto pieno di petrolio, però, è che pullula di trafficanti beduini di armi, droga ed esseri umani che nessuno si degna più di contrastare dopo che l’Egitto ha dovuto rivolgere al proprio interno il massimo sforzo di tenuta dell’ordine pubblico, come conseguenza delle rivolte della cosiddetta primavera araba e dell’avvento al potere dei Fratelli mussulmani. Così la sicurezza del Sinai Israele deve gestirsela da solo. Anche perché ci sono stati una decina di attentati all’oleodotto che rifornisce lo stato ebraico in meno di un anno e mezzo. Tutte queste tematiche nell’articolo di Fabio Scuto su “Repubblica” a pagina 21 vengono presentate come un ennesimo segno dell’ isolazionismo paranoide di Nethanyahu. E’ bello potere raccontare alla gente idiozie per anime belle tipo “meno muri e più ponti”. Mettetevelo voi, però, un ponte in casa che possa essere attraversato da chi vuole venire a sgozzarvi, verrebbe da dire. E già che parliamo di “anime belle”, l’epilogo dell’excursus settimanale di “IC7”, questa settimana, non può non citare il dibattito surreale sulle rivoluzioni arabe che in questi giorni si sta svolgendo nel congresso del partito radicale transnazionale in corso a Roma all’hotel Summit. I Radicali sono sicuramente sinceri amici di Israele, ma tra loro alligna, da quando si sono buttati a sinistra, qualche contagio da parte del virus del politically correct che poi produce effetti ridicoli e grotteschi. Sentire per credere le settimanali cronache della corrispondente dall’Egitto di Radio radicale Sabrina Gasparrini, che ancora insiste a dipingerci i Fratelli mussulmani in Egitto come “buoni”, “sulla via dell’evoluzione democratica e liberale”. Peccato che tutto ciò non sia vero e che gli accadimenti di ogni giorno smentiscano questi teoremi a ogni piè sospinto. “Quo usque tandem, Sabrina, abutere patientia nostra”?