Siria, Hezbollah, Iran: vittime improbabili della Primavera Araba ?
di Zvi Mazel
(traduzione di Angelo Pezzana)
Zvi Mazel
La scorsa settimana gli alleati più fedeli dell’Iran sono apparsi in televisione con grande imbarazzo . Il Presidente Assad di Siria, mentre cercava di convincere Barbara Walters della Tv ABC, e il capo di Hezbollah Hassan Nasrallah che usciva fuori dal suo bunker con una breve dichiarazione per confortare i suoi preoccupati militanti. E’ poco probabile che abbiano concordato la mossa, malgrado la stretta alleanza che li unisce. Forse, più semplicemente, si sono resi conto che quel che accade in Siria rappresenta un pericolo per entrambi , così come è un pericolo per il loro padrone, l’Iran.
C’era un che di patetico negli sforzi disperati dei due leader nel pretendere che tutto stava andando bene. Assad pareva un pazzo mentre sosteneva, contro ogni evidenza, che non erano state le sue forze armate ad avere ucciso i dimostranti disarmati, perché solo un leader insano di mente, ha detto, farebbe sparare sul proprio popolo. C’è da chiedersi se sia cieco o piuttosto si rifiuti di vedere. Le vittime sono sempre di più, la resistenza continua e lui non può fermarla, crede forse di poterla arginare ancora a lungo ? E’ forse diventato uno strumento nelle mani della giunta militare guidata dal fratello Maher, giudicato da tutti un brutale assassino ?
Sebbene Assad cerchi disperatamente di convincere l’opinione pubblica mondiale, le sanzioni cominciano a lasciare il segno, eppure lui non ha lasciato capire se è pronto ad andarsene o a trattare con l’opposizione. Alcuni giorni fa ha detto di essere pronto ad accettare l’ultimatum della Lega Araba – ritirare i soldati dai centri urbani e permettere l’ingresso in Siria di osservatori per verificare la situazione – solo, però, ha detto, se la Lega cancellava le sanzioni. In ogni caso oggi è troppo tardi per un dialogo, l’opposizione è unita nel chiedere che se ne vada.
Mentre le dimostrazioni continuano, adesso c’è un 'esercito di liberazione siriano’ composto da disertori dell’esercito ufficiale, formato da alcune migliaia di ufficiali e militari di leva. Sembra però, almeno a questo stadio, che l’esercito siriano non corra il rischio di disintegrarsi. Assad impiega militari che appartengono alla sua stessa minoranza alawita, fanaticamente devoti al regime. Le conseguenze delle proteste, gli attacchi dell’Esercito di Liberazione insieme alle pressioni internazionali stanno avendo i loro effetti, mentre l’economia del paese è in grave crisi.
È in vista una guerra civile che potrebbe portare la Siria a una spaccatura etnica e religiosa. Questo spiega perché la classe media sunnita, insieme alle minoranze cristiane e curde, non sembrano interessate a unirsi alla rivolta. E’ il caso di Aleppo, una città con due milioni e mezzo di abitanti a maggioranza sunnita. Anche Hamas sta per lasciare Damasco per trasferirsi in un paese più sicuro.
E’ interessante osservare come Russia e Cina siano dalla parte di Assad, per realpolitik e interessi economici, certamente, ma fino a quando ? I paesi confinanti sono preoccupati. Le relazioni con Ankara vanno di male in peggio. La Turchia concede ai movimenti di opposizione, come il “Consiglio Nazionale Siriano” e l’ “Esercito di Liberazione della Siria”, di operare entro il proprio territorio e minaccia di creare una zona di sicurezza lungo il confine siriano per proteggere i civili che vi abitano. Ha anche aumentato le sanzioni, imponendo ad Assad la chiusura di alcuni passaggi di frontiera, che ha causato un aggravio di tasse sui beni diretti in Turchia. L’Iraq cerca di mantenersi fuori dalla mischia, da un lato non vuole provocare l’Iran, dall’altro vuole mantenere buoni rapporti con gli Stati Uniti; si dice che abbia contatti con i leader dell’opposizione (senza però fare nomi), ma è anche contro le sanzioni, pur sostenendo gli sforzi della Lega Araba. La Giordania fa di tutto per restare neutrale, per non irritare Damasco, salvaguardando così i rapporti commerciali con il suo potente vicino. In Libano,invece, il leader dell’opposizione Saad Hariri dice apertamente che Assad deve andarsene, che lo voglia o no.
Israele, prudentemente, rimane in silenzio, nel timore che Assad lanci i suoi missili sull’odiato vicino, stimolando così l’alleato Hezbollah a fare lo stesso. Un alleato che però non si sente poi tanto sicuro in questo momento. In occasione della celebrazione della Ashura a Beirut, Nasrallah ha fatto, cosa rara, una apparizione pubblica, in attesa di tornare a rinchiudersi poi nel suo bunker, con un viscido attacco contro - indovinate ?- Stati Uniti e Israele, che complotterebbero ignobilmente contro la Siria, malgrado il fatto che Assad stia realizzando le riforme.
Rivolgendosi ai militanti attraverso grandi schermi televisivi, ha dichiarato che Israele pagherà il prezzo per i cambiamenti che stanno avvenendo nel mondo arabo. Non ha detto nulla di nuovo che confortasse i suoi sostenitori, specialmente dopo che il leader del Consiglio Nazionale Siriano ha dichiarato che dopo la caduta di Assad la Siria interromperà i rapporti con Hezbollah, riaprendo i negoziati sul Golan con mezzi pacifici.
Non ha detto nulla che spiegasse come mai il mondo intero e la Lega Araba fossero dalla parte dei manifestanti contro Assad.
Un altro segnale della diminuita influenza di Nasrallah sta nel fatto che alcuni giorni fa ha accettato la decisione del governo Mikiati – del quale lui stesso aveva favorito l’elezione – di trasferire una parte dei costi dei lavori del Tribunale di Giustizia che sta investigando sull’omicidio di Rafik Hariri, un Tribunale che ha già emesso dei mandati contro quattro alti ufficiali Hezbollah.
Mikiati ha minacciato di dimettersi se Nasrallah si fosse opposto al cambiamento. Eppure un anno fa Hezbollah fece cadere il governo Hariri proprio su questa questione. Oggi,invece, deve inghiottire la amara pillola.
Hezbollah, con le sue decine di migliaia di missili, rimane una minaccia per Israele, fin tanto che la Siria lo rifornirà di armi. Se i rifornimenti cessassero per un cambio di regime ne deriverebbe un colpo mortale per l’ organizzazione, che si troverebbe isolata all’interno dello stesso Libano. Ma ne siamo ancora lontani.
Ciò che invece è chiaro è la battuta d’arresto che ha colpito l’Iran nella sua politica di esportare l’islam sciita nel Medio Oriente. Se cade la Siria, cadranno anche i legami stabiliti dall’Iran nella regione, e con essi la rete di denaro e armi che arrivava a Hezbollah. Per quanto riguarda i nuovi regimi sunniti nati dalle rivolte popolari, potrebbero non essere affatto pronti a una collaborazione con un fanatico regime sciita in cerca di acquisire armamenti nucleari.
C’è poi un altro fattore poco conosciuto da considerare, l’opposizione in Iran.
I venti del cambiamento che soffiano nella regione raggiungeranno Teheran ? E’ questa la prospettiva contro la quale dovranno lottare gli Ayatollah.