Viaggiando in Israele ci si imbatte, quotidianamente, con il problema della scarsità d'acqua. Però si scorgono soluzioni straordinarie, per originalità ed efficacia, che trovano o potrebbero trovare, applicazioni in molti altri Paesi. Così si apprende che un Paese con scarse risorse d'acqua, come è la Terra Santa, può trasformarsi in una nazione tra le più irrigate al mondo. Basta intensamente voler uscire dalla dipendenza e dai ricatti geopolitici, facendo squadra e "l'arca magica" può comparire. L'acqua, il bene comune acqua, è stato diffuso nello stato degli ebrei con tanta intelligenza e capacità di manutenzione, facendone una sorta di "arca magica", spesso descritta in antichi racconti rabbinici e mistici. A macchia di leopardo, e con molte altre contraddizioni, lo stesso fenomeno di diffusione dell'acqua, in modo organizzato e pianificato, è avvenuto in varie zone aride del Brasile, in Cina, in Sudafrica, in molti luoghi dell'Africa centrale. E il modello sistemico della diffusione dell'acqua e del trattamento organizzato che colpisce il ricercatore in viaggio in Terra Santa con un'équipe del Programma israeliano delle nuove energie e dell'acqua. «Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa» (Isaia 35,1). Tutto in Israele ha radici bibliche. Se non teniamo presente questo linguaggio, a un tempo, teologico e geografico, non ci rendiamo bene conto come le stesse strutture contemporanee dei Ministeri dell'Industria e del Commercio israeliani siano stimolati da queste culture profonde e, lo abbiamo visto personalmente, capaci di offrire spunti di ricerca agli agronomi e ai biotecnologi. Perciò il desiderio religioso di trasformare una terra, con metodi essenziale il desiderio di trasformare la terra in base alle promesse bibliche ultramoderni, è stato il fattore chiave nei settanta, ottanta anni di esistenza dello Stato di Israele. Agli inizi il bisogno ossessivo dell'acqua si concentrò su progetti nazionali di sopravvivenza: sono i decenni della grande epopea delle proprietà collettive agrarie trasformate in veri e propri parchi e luoghi di produzione agricola (l'epopea dei kibbutz). Oggi la situazione è completamente differente. La ricerca e sviluppo in campo industriale in Israele è caratterizzata da un'altra concentrazione tecnologica ed elettronica, che combina progetti straordinari di irrigazione con applicazioni di genetica e di chimica. In Israele vi sono forti concentrazioni di sviluppo informatico a tutti i livelli e il collegamento ricerca-lavoro per centinaia e centinaia di tecnici delle università si combina con l'uso diffuso della crescita di grandi quantità di prodotti agricoli e anche di uso militare di molte innovazioni, che emergono in queste applicazioni scientifiche e tecnologiche. La ricerca di tecniche che permettono il risparmio di acqua ha stimolato, nei decenni scorsi, lo sviluppo di sistemi di irrigazione computerizzati che dirigono i flussi d'acqua direttamente sulle migliaia di piccole piante fatte crescere. È di questi anni l'idea di sfruttare l'enorme riserva sotterranea di acqua salmastra del deserto del Neghev, ottenendo raccolti di pomodori e meloni di prima scelta, con un incremento dell'export di *** oltre il 15 per cento. L'acqua è sempre stata all'origine di grandi conflitti in Medio-Oriente. Oggi Israele si deve confrontare con una difficilissima sfida in campo idrico. L'aumento della popolazione, il riscaldamento globale, la difficoltà di reperire scorte di acqua potabile, hanno contribuito a determinare ripercussioni sulla salute, lo stato efficiente dell'agricoltura e molte risorse idriche provengono da sorgenti che risiedono in Turchia e questo apre, in questi ultimi anni, drammatiche tensioni di carattere politico e diplomatico. Va anche tenuto presente che il rapporto annuale del ramo specializzato sui temi del finanziamento in agricoltura della Banca Mondiale, anche quest'anno, riferisce che oltre il 40 per cento dei ricorsi che vengono sollevati, riguardo ai finanziamenti, tocca la questione dell'acqua. Questo rapporto della Banca Mondiale fa notare che le privatizzazioni dei settori idrici, in molte zone sottosviluppate, hanno prodotto un aumento vertiginoso delle tariffe e un peggioramento dello stesso servizio. Al momento, circa il 90 per cento della popolazione mondiale riceve forniture quotidiane d'acqua tramite aziende pubbliche. Gli uffici specializzati della Banca Mondiale hanno iniziato indagini con i governi di Giordania, Messico, Sudafrica e Cina per comprendere meglio le tipologie di gestione delle aziende di distribuzione dell'acqua. In Israele la scelta pubblica, sin ad ora, ha saputo coniugare bassi prezzi e gestione efficiente. Infatti il consumo idrico di questo Paese è rimasto quasi invariato dal 1964, con una crescita esponenziale della popolazione e un allargamento delle aree dissodate e messe a coltivazione supertecnologica. Entro il 2013, ci viene detto dagli esperti che ci hanno accompagnato sulle alture del Golan, ai confini del Libano e verso il deserto del Neghev, gli impianti di desalinizzazione forniranno oltre 500 milioni di metri cubi di acqua all'anno. In un viaggio di questo tipo viene spesso evocata una frase, così come ce la ripetono i tecnici agronomi che ci fanno da guide: «Immaginate, simbolicamente, oasi di nuova generazione». Cosa vogliono dire? Le tendenze sociodemografiche indicano che le popolazioni nel mondo creeranno, per poter prosperare, nelle più svariate geografie, luoghi di produzione alimentare, che rappresenteranno soluzioni sostenibili verso le numerose sfide ambientali e questi luoghi si diffonderanno con una crescita intensiva. C'è quindi una combinazione di tecnologie pulite e di applicazioni nelle produzioni alimentari, grazie a una gamma di tecniche innovative di irrigazione, coltivazione e distribuzione, abbinate a tecnologie bioingegnerizzate. Queste scelte sul "bene comune acqua" hanno permesso al settore israeliano delle agro-tecnologie, negli ultimi decenni, di aprire la più importante trasformazione di modelli sociali basati sull'alimentazione e sulla compatibilità sistemica nel mondo.
Giorgio Bernardelli: " E con i palestinesi è scontro aperto sulle sorgenti "
Israele viene costantemente accusato di rubare l'acqua ai palestinesi. Israele gestisce l'80% delle risorse idriche e Cisgiordania il 20%. Giorgio Bernardelli scrive: "Tradotto in termini di disponibilità pro capite: i palestinesi hanno a disposizione circa 123 litri al giorno, gli israeliani 544". Dal 1967 ad oggi l'uso pro capite di acqua è sceso da 520 litri a 149 litri, mentre per i palestinesi è passato da 80 litri a 110 litri, ben oltre la soglia minima. Israele fornisce acqua desalinizzata ai palestinesi che loro sistematicamente rifiutano. Israele deve erogare 23 miliardi di metri cubi ai palestinesi, però ne eroga sempre il doppio. L'ANP ha avuto anche fondi per la costruzione di un impianto di desalinizzazione che però non ha mai costruito perché non si sa chi ha intascato i fondi. Non può informarsi meglio Bernardelli ?
Ecco l'articolo:
Il lago di Tiberiade
Che Israele sia un Paese all'avanguardia nello sviluppo dei sistemi e delle tecnologie per la valorizzazione dell'acqua in un ambiente arido è un fatto fuori discussione. E non si può non rimanere ammirati di fronte all'operosità di chi è letteralmente riuscito a far fiorire il deserto. Come ogni cosa in Medio Oriente, però, anche questo prodigio va osservato tenendo presente tutto ciò che sta intorno. E allora non si può non ricordare che il controllo delle preziosissime risorse idriche è uno dei volti più duri del conflitto israelo-palestinese. Oltre che uno degli elementi cruciali di quella che i palestinesi senza troppi giri di parole chiamano l'«occupazione israeliana». Va ricordato, infatti, che dal 1967 Israele controlla totalmente la gestione delle risorse idriche in Cisgiordania, che è poi la zona più ricca di sorgenti d'acqua di tutta l'area compresa tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. E come suddivide questo bene prezioso? Lo spiega un altro rapporto stilato sempre dalla Banca Mondiale nel 2009: ai palestinesi va il 20 per cento di quest'acqua, agli israeliani il restante 80 per cento. Tradotto in termini di disponibilità pro capite: i palestinesi hanno a disposizione circa 123 litri al giorno, gli israeliani 544. Va aggiunto poi che l'Organizzazione mondiale della sanità stima in 100 litri pro capite al giorno la soglia sotto la quale iniziano a esserci problemi seri. E nei territori dell'Autorità nazionale palestinese ci sono villaggi in cui si scende addirittura a quota 20. Che il problema della mancanza di equità nella spartizione dell'acqua sia uno dei nodi chiave del conflitto tra israeliani e palestinesi lo sanno bene tutti quelli che hanno familiarità con quel processo di pace che oggi è del tutto fermo. Non a caso nel 1995 negli Accordi di Oslo II (la seconda fase del negoziato avviato due anni prima da Arafat e Rabin) all'articolo 40 si prevedeva esplicitamente un incremento della quantità d'acqua messa a disposizione dei palestinesi e si prospettava la cessione all'Anp del controllo totale sulle proprie infrastrutture idriche alla fine delle trattative. Al di là dei principi, già per il periodo transitorio si stabilivano delle quantità precise: 141,6 milioni di metri cubi d'acqua ai palestinesi e 483 agli israeliani. Impegno clamorosamente disatteso da Israele: nel 1999 (prima ancora che scoppiasse l'intifada) i metri cubi estratti per Israele erano diventati 871,6 (cioè l'80 per cento in più del previsto) mentre ai palestinesi ne erano andati 138,2, poco meno di quelli effettivamente previsti dagli accordi. Si potrebbero citare alcuni altri fatti: le disparità nella stessa Cisgiordania tra le quantità d'acqua messe a disposizione degli insediamenti israeliani e quella per i villaggi palestinesi. Oppure i nuovi pozzi al servizio di Israele scavati più in profondità che hanno tolto acqua a quelli vecchi, utilizzati dagli arabi. O anche il percorso della «barriera di separazione» (il famoso «muro») che nella zona di Qalqilya ha (non certo per ragioni legate agli attentati suicidi) tenuto dalla parte israeliana la maggior parte delle sorgenti. Certo, oggi lo Stato ebraico sta facendo di tutto per razionalizzare l'uso dell'acqua e riuscire a produrne di nuova con gli impianti di desalinizzazione. Del resto con il fiume Giordano ridotto ormai a un rigagnolo e il livello del lago di Tiberiade sempre più basso non è che abbia molte altre possibilità. Fin quando, però, non sarà inserito nel contesto di un negoziato di pace vero, anche questo sforzo alla fine rischia di assomigliare molto al perfezionamento di un'arma strategica nel Medio Oriente di domani.
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