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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
11.12.2011 Siria: Terzi riceve l'opposizione, in Turchia si preparano i ribelli
Articoli di Monica Ricci Sargentini, Lorenzo Cremonesi

Testata: Corriere della Sera
Data: 11 dicembre 2011
Pagina: 17
Autore: Monica Ricci Sargentini-Lorenzo Cremonesi
Titolo: «Terzi incontra l'opposizione siriana, ipotesi corridoi umanitari-Sul confine turco con i ribelli, le campagne già in mano nostra»

Interessante la pagina 17 del CORRIERE della SERA di oggi, 11/12/2011, con due servizi dedicati alla Siria. Il primo racconta l'incontro del Ministro degli Esteri italiano Terzi con Burhan Ghalioun, presidente del Consiglio Nazionale Siriano, che vive a Parigi. Il secondo è un reportage dal confine turco siriano dove del forze del 'Nuovo Esercito Siriano Libero' si addestrano per attaccare le forze di Assad.
Ecco gli articoli:

Monica Ricci Sargentini: " Terzi incontra l'opposizione siriana, ipotesi corridoi umanitari"

Per porre fine alla repressione in Siria la strada maestra rimane quella delle sanzioni economiche appoggiate da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Ne è convinto il ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi che ieri ha incontrato alla Farnesina una delegazione del Consiglio Nazionale Siriano (Cns) che raggruppa le principali forze dell'opposizione a Bashar Assad. «L'Italia ha una sua sensibilità politica nella regione - detto Terzi — per i suoi rapporti forti con il popolo siriano. Il nostro primo obiettivo è arrivare a un processo di stabilizzazione del Paese e a una via d'uscita da questo terribile frangente di violenze e morte». Il bilancio della repressione da parte del regime, dopo nove mesi, è pesantissimo. Stime ufficiali parlano di 4.500 morti ma Burhan Ghalioun, il sociologo della Sorbona che dallo scorso agosto è presidente del Consiglio Nazionale Siriano, ha riferito che le persone in patria riferiscono «di diecimila morti che si aggiungono ai ventimila scomparsi e ai settantamila arrestati». Ghalioun ha chiesto a Terzi e al resto della comunità internazionale di far pressione sulla Russia perché accetti di varare una risoluzione Onu contro Damasco. «È responsabilità dell'Onu proteggere la popolazione siriana - ha aggiunto il presidente del Cns -. Nel mio Paese non c'è una guerra civile ma un regime dittatoriale che cerca di reprimere il suo popolo e di mettere le varie comunità una contro l'altra». Terzi ha assicurato che il governo italiano proseguirà a lavorare per una risoluzione al Consiglio di sicurezza dell'Onu che «chiarisca erga omnes l'impostazione di pressione economica sul regime».
Tra i problemi affrontati ieri a Roma c'è stato anche quello, importantissimo, dell'assistenza ai civili. «Abbiamo discusso delle modalità per far pervenire gli aiuti umanitari nei Paesi limitrofi — ha spiegato il ministro —. Alcuni interventi sono già in corso per esempio nei campi profughi in Giordania, Libano e Turchia. Stiamo operando in questa direzione, soprattutto in campo medico». L'Italia, poi, non scarta a priori l'ipotesi della creazione di corridoi umanitari: «Su questo - dice Terzi - non ci sono piani specifici ma quando ci saranno siamo disposti a valutare le proposte». Anche se il problema, avverte la Farnesina «è complesso per via dello spiegamento di forze del regime e perché è prevedibile che la Siria non darebbe il suo consenso» a un'operazione del genere. Una soluzione potrebbe essere rappresentata dall'arrivo a Damasco degli osservatori della Lega Araba per stabilizzare alcune zone e favorire l'accesso degli aiuti. Ma anche su questo il sì di Damasco tarda ad arrivare.

Lorenzo Cremonesi: " Sul confine turco con i ribelli, le campagne già in mano nostra"

DAL NOSTRO INVIATO
YAYLADAGI (Frontiera turco-siriana)— Sono i giganteschi teli in plastica blu scuro che aiutano a individuare la tendopoli dei profughi siriani alla periferia occidentale del villaggio turrito di affusolati minareti ottomani. Macchie colorate, che sbocciano dal grigiore delle nebbie invernali fradice di pioggia e risaltano festose sul sottofondo delle colline coperte a pinete. Potrebbero sembrare tanti messaggi di benvenuto dal governo di Ankara ai poveracci che fuggono la violenza della repressione militare voluta da Damasco. Ma la realtà è meno rosea. «Li hanno imposti i militari turchi per evitare che giornalisti e fotografi stranieri o locali riprendano la vita nel campo. La verità è che noi qui siamo ben accolti se riusciamo a dimostrare di essere profughi politici. Però assolutamente dobbiamo mantenere il basso profilo. Nessun reporter può entrare nel campo senza il beneplacito delle autorità turche», sostiene il 36enne incontrato alle porte della tendopoli, proprio dove inizia una delle palizzate che sostengono i teli, sino ad agosto residente a Latakia, ma poi sfollato, «perché altrimenti sarei stato impiccato dai sicari di Bashar Assad». Pochi giorni fa due fuggiaschi, che sembra arrivassero braccati dalla città-martire di Homs, hanno creato gravi tensioni quando, forse impauriti dai doganieri turchi, hanno dichiarato di «voler cercare lavoro» e sono stati bloccati provocando cortei e proteste.
La sua storia è molto simile a quelle dei circa 2.000 abitanti del campo. «Ho partecipato alle manifestazioni contro la dittatura sin dal loro inizio in marzo. Ma a metà agosto le truppe governative sono diventate più aggressive. Assad ha armato e aizzato i fedelissimi tra la minoranza Alawita. A Latakia sono circa 200.000 su 800.000 abitanti. I loro informatori si sono infiltrati dovunque. Ho deciso di fuggire quando il mio quartiere è stato bombardato dalla marina militare e dai carri armati. Da allora attendo l'aiuto della comunità internazionale che ci permetta di tornare alle nostre case. Qui l'esistenza è sicura, però noiosissima. Ci garantiscono tutto: dalle tende calde al cibo. Ma non riesco a trovare lavoro», spiega ancora stando ben attento a tenere segreta la sua identità. «I miei parenti rimasti in Siria sarebbero immediatamente arrestati e forse uccisi», aggiunge.
Sono sei i campi profughi costruiti negli ultimi mesi dalla Turchia lungo il confine con la Siria. In tutto tra le 7.000 e 10.000 persone (impossibile dire invece quanti si sono dispersi nel Paese una volta passata la frontiera). Un settimo, a Karbayaz, lungo la fascia di colline che si allungano verso Aleppo, ospita poche centinaia di disertori che ora costituiscono i quadri dirigenti del Nuovo Esercito Siriano Libero, fondato in luglio dal colonnello Riad al-Asaad. In questo periodo con lui è difficile parlare, occorre tra l'altro il beneplacito del ministero degli Esteri di Ankara. Ma abbiamo contattato il suo stato maggiore nel campo guidato dal colonnello Abdel Sattar Taissim Yunso. «Ci sono ormai decine e decine di migliaia di soldati dell'esercito regolare siriano pronti a passare dalla nostra parte. Ma attendiamo. Ci mancano le armi pesanti contro l'aviazione, le navi da guerra e i carri armati ancora a disposizione della dittatura. Risultato è che la nostra guerriglia controlla ormai larga parte delle campagne. Ma le città maggiori — a partire da Damasco, Aleppo e Latakia — restano nelle mani del governo. Si combatte invece nei centri di Hama, Homs, Idleb e sulle principali vie di comunicazione», sostengono. Le vostre prossime mosse? «Elaborare una strategia comune con i dirigenti politici del Consiglio Nazionale Siriano, che raccoglie le voci più note dell'opposizione. Siamo appena usciti con un documento-appello congiunto alla comunità internazionale per la creazione di no fly zone su tutto il Paese e una regione cuscinetto a ridosso del confine turco. Questo ci garantirebbe lo spazio necessario per organizzarci. C'è dibattito per un eventuale intervento Nato come in Libia. Ma sembra proprio che la maggioranza di noi non lo voglia, tenuto conto tra l'altro che la stessa Nato è assolutamente restia. Se ci vengono dati gli strumenti minimi, saremo in grado di liberarci da soli».
Visti però dai vicoli sconnessi di Yayladagi i progetti della rivoluzione appaiono perlomeno ottimisti. Qui la popolazione turca sembra sostenere in massa il regime di Assad. «Vogliono la democrazia e sarà il caos come in Iraq e Libia», dicono in tanti, che non apprezzano affatto l'apertura nei confronti del movimento di protesta siriano fortemente voluta in marzo dallo stesso premier Recep Tayyip Erdogan. A conferma di questa politica, la Turchia dovrebbe sospendere a breve l'accordo di libero commercio con la Siria dopo che Damasco ha fatto lo stesso in risposta alle minacce di Ankara. E nelle ultime settimane l'esercito siriano è tornato in forza nelle zone confinarie, dove quest'estate era molto facile transitare. Le truppe scelte di Assad stanno contrattaccando a suon di assassinii mirati, rapimenti, torture e varie forme di punizioni collettive un po' dovunque. Tra le cancellerie occidentali cresce il timore di un imminente attacco dei lealisti contro Homs nello stile di quelli condotti contro Hama di recente. Elettricità, acqua benzina e connessioni telefoniche vedono privilegiare le zone lealiste. La guerriglia replica come può. Giovedì è stato fatto saltare l'importantissimo oleodotto che porta greggio alla raffineria di Homs. E a iniziare da oggi è indetto uno «sciopero nazionale della dignità»: la disobbedienza civile generalizzata contro la repressione. I morti tra i manifestanti da marzo secondo l'Onu sfiorano ormai quota 4.500, ma qui nel campo sostengono che potrebbero essere oltre 10.000. Tanti chiedono informazioni su parenti e amici arrestati di cui non hanno più notizie da lungo tempo. A nove mesi dal suo inizio, la primavera siriana è ormai drammaticamente sprofondata nella morsa dell'inverno.

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