Bashar al Assad continua la repressione, ma nega di averla mai ordinata Intanto la Turchia manda aiuti ai ribelli. Cronaca di Carlo Panella
Testata: Il Foglio Data: 09 dicembre 2011 Pagina: 5 Autore: Carlo Panella Titolo: «Assad è pazzo, dice l’ America. O è senza potere»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 09/12/2011, a pag. I, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Assad è pazzo, dice l’ America. O è senza potere ".
Recep Erdogan Carlo Panella
Roma. “Bashar el Assad o è avulso dalla realtà o è pazzo”. Mark Toner, uno dei portavoce del dipartimento di stato americano, non impiega perifrasi nel commentare l’intervista concessa dal presidente siriano a Barbara Walters della Abc nella quale ha negato ogni responsabilità nella repressione. Toner avanza l’ipotesi che ormai Assad sia solo un pupazzo nelle mani dei suoi generali: “O ha perduto completamente l’autorità che deteneva in Siria, e quindi non è che un giocattolo nelle mani di qualcun altro, o è completamente avulso dalla realtà; oppure come ha detto lui stesso, si tratta di follia”. Questo lessico inusuale getta una luce pesante sull’escalation militare della flotta russa e di quella statunitense nel Mediterraneo orientale: per controbilanciare l’invio nella base russa di Tartus della portaerei “Kuznetsov” e dell’unità antisommergibile “Ciabanenko” partite dal porto di Severomorsk, gli Stati Uniti hanno collocato al limite delle acque territoriali siriane la portaerei “George Bush” e un sommergibile atomico lanciamissili. Secondo quanto rivelato alla AdnKronos dal generale egiziano Sameh Saif al Yazel, ex braccio destro di Omar Suleiman, capo dell’intelligence di Mubarak, “la mobilitazione di queste unità navali di fronte alla Siria da parte delle grandi potenze punta a un obiettivo politico: gli Stati Uniti mirano a rafforzare le pressioni sul regime siriano”. Escluso un confronto diretto tra le due flotte (“uno scenario da terza guerra mondiale”), resta il fatto che questa mossa da ottocentesca “politica delle cannoniere” che vede Mosca e Washington schierate su fronti opposti indica non soltanto un pericoloso acutizzarsi della crisi siriana, ma anche la centralità che riveste la Siria per gli equilibri regionali, a partire dal fatto che il regime baathista è il più forte e indispensabile alleato di un Iran alle soglie della svolta atomica. Mercoledì alla frontiera tra Turchia e Siria, nei pressi di Guvecci, paesino nella provincia di Hatay, si è svolta una battaglia con un nutrito scambio di fuoco tra un reparto della Syrian Free Army che intendeva sconfinare e un reparto siriano. Ieri, un atto di sabotaggio ha fatto saltare un tratto dell’oleodotto strategico che collega i campi petroliferi dell’est alla grande raffineria di Homs. Lo stesso Assad, peraltro, nell’ammettere la perdita di ben 1.100 militari del regime (la cifra ufficiale del regime a settembre era di 300 perdite, quindi 800 militari caduti in due mesi), ha confermato l’esistenza di uno stato di guerra tra le truppe governative e l’esercito dei disertori. Per comprendere il rilievo di tali combattimenti, si pensi che nel corso del 2010, l’anno con maggiori perdite dal 2003, in Afghanistan tra Isaf e Enduring Freedom sono rimasti uccisi 711 soldati. A differenza di quanto è accaduto in Tunisia, Egitto e anche in Yemen, la spaccatura dell’esercito siriano a oggi è stata unicamente orizzontale, non si è verificata nessuna defezione o incrinatura né nel vertice militare (anzi, come adombra Mark Toner, sono i generali ad avere il pieno controllo del regime) né nel vertice politico di Damasco. Questo, oltre al persistente appoggio al regime da parte degli alawiti, dei non pochi sunniti benestanti e della minoranza cristiana, fa presagire uno sviluppo della crisi lungo. La Turchia, che appoggia l’esercito dei disertori (anche se nega), è intenzionata a strangolare l’economia siriana e ieri ha imposto una sovrattassa del 30 per cento su tutte le importazioni siriane (file di centinaia di camion intasano i due lati della frontiera tra i due paesi). Pesanti sono anche gli effetti delle sanzioni della Lega araba, che continua il suo pressing diplomatico su Damasco, ma senza risultati. Ed è stata per ora rinviata la minaccia di un intervento militare turco per creare una zona cuscinetto, anche a causa di un misteriosa “indisposizione” accompagnata da comunicati ufficiali reticenti (forse un’ operazione per un cancro, scrive il Monde) che ha costretto il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, a una assenza di una decina di giorni. L’unica decisa è la Nato, come dice il segretario Anders Fogh Rasmussen: “La Nato non intende intervenire nella crisi siriana”.
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