Iran, Ali Khamenei pensa alle prossime elezioni per disfarsi di Ahmadinejad i 'riformisti' tagliati fuori, la Guida ha già pronti i candidati. Cronaca di Tatiana Boutourline
Testata: Il Foglio Data: 09 dicembre 2011 Pagina: 5 Autore: Tatiana Boutourline Titolo: «Khamenei ha due nuovi amori (presidenziabili)»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 09/12/2011, a pag. I, l'articolo di Tatiana Boutourline dal titolo " Khamenei ha due nuovi amori (presidenziabili) ".
Ali Khamenei Tatiana Boutourline
Milano. Ufficialmente la campagna elettorale per le legislative di marzo deve ancora partire, ma negli opachi centri di potere della politica iraniana le consultazioni sono febbrili: tutti sanno che le legislative rappresentano un’ipoteca sulle presidenziali del 2013. I riformisti sono fuori, gli altri si giocano il tutto per tutto: a decidere sarà la Guida Suprema. Nel Beit, l’ufficio di Ali Khamenei, circolano già due nomi, e non sono quelli del capo del Parlamento, Ali Larijani, né del sindaco di Teheran, Mohammed Qhalibaf: il primo è troppo potente, il secondo troppo carismantico. Il candidato dei sogni è un esecutore efficiente, di ambizioni contenute e comprovata fedeltà, semidigiuno di politica interna e semisconosciuto. I papabili più chiacchierati sono il ministro degli Esteri, Ali Akbar Salehi, e il caponegoziatore nucleare, Said Jalili. Nel 1979 l’ayatollah Ruhollah Khomeini ereditò dai Pahlavi la centrale nucleare di Bushehr. Incerto se ultimarla o distruggerla, il rahbar incaricò un comitato di cinque esperti di pronunciarsi sul suo futuro. Uno dei consulenti era un giovane ingegnere nucleare nato a Karbala, con laurea all’American University di Beirut e PhD al Mit: Ali Akbar Salehi. Il collegio non riuscì a trovare un accordo: in tre votarono per lo smantellamento, gli altri due consigliarono di mettere a regime la centrale, e Salehi era uno di quest’ultimi. Ma la carriera di Salehi poi si sarebbe svolta tutta nel mondo accademico, prevalentemente nella prestigiosa Sharif University of Technology (il Mit iraniano), di cui è stato professore e due volte rettore. Il suo destino cambia nel ’97 quando il presidente Mohammed Khatami lo sceglie come inviato all’Aiea: la coabitazione con l’establishment diplomatico iraniano è tempestosa, Hassan Rowhani, il capo negoziatore nucleare di Khatami, lo detesta e lo chiama “lo straniero”. Nel 2007 è di nuovo in sella, plenipotenziario iraniano all’Organizzazione della Conferenza islamica, un ruolo che lo inserisce nella cerchia più vicina a Khamenei. Nel 2009 il presidente, Mahmoud Ahmadinejad, lo chiama a dirigere l’Organizzazione per l’energia atomica iraniana. Preparato e composto – il contrasto con la retorica bellicosa di Ahmadinejad non potrebbe essere più stridente – Salehi è tutt’altro che morbido nella difesa degli interessi iraniani e il “sorriso dietro la bomba” è la definizione che danno di lui gli oppositori del regime. Ministro degli Esteri da gennaio 2011, Salehi ha finora mostrato fierezza e sangue freddo. Sui radar internazionali l’imputazione più grave a suo carico è quella di aver tirato le fila di una trattativa petrolio vs uranio con lo Zimbabwe. Il secondo papabile presidenziale è, come lui stesso si racconta, “un uomo che non ha dimenticato la trincea”. In un libro del 1990, “La politica estera del Profeta”, Jalili traccia le linee maestre di uno stile diplomatico rivoluzionario: “Maometto non negozia, Maometto fa proselitismo”. Quando nel 2009 a Ginevra comparve sulla scena internazionale come caponegoziatore nucleare le fonti iraniane del Foglio lo descrissero come “un rivoluzionario non ricostruito”. Jalili non è mai stato un uomo di mondo, né aspira a diventarlo. Nato nel ’65 a Mashad, ha studiato scienze politiche. Nel 2001 è diventato direttore generale dell’ufficio di Khamenei, ma nessuno lo ha notato finché nel 2007 ha strappato ad Ali Larijani il dossier nucleare. Disprezzato dai conservatori che lo ritenevano inesperto, in Europa la prima impressione dei diplomatici fu che fosse “specializzato in monologhi”. Consigliere e viceministro di Ahmadinejad, Jalili se ne è gradualmente distaccato di pari passo all’aggravarsi della crisi con Khamenei. Il capo dell’ufficio politico dei pasdaran, Yadallah Javani, gli ha chiesto ufficialmente di correre per la presidenza e Jalili ha ammesso che emissari di Ali Khamenei hanno già sondato il terreno con lui. Per Mehdi Khalaji, autorevole analista del Washington Institute for Near East Policy, Jalili potrebbe davvero essere la risposta alle fantasie di Khamenei.
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