Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 08/12/2011, a pag. 3, l'articolo dal titolo " Ecco i Fratelli musulmani alle prese con il potere (e i salafiti) ".
Roma. “I manifestanti che hanno guidato la rivolta in Egitto erano giovani che, lungi dal voler emulare l’ayatollah Khomeini, si abbeveravano a Thomas Paine e chiedevano libertà, uguaglianza e la fine della dittatura di Mubarak”. Eric Trager, analista del Washington Institute for Near East Policy, è l’autore del saggio su Foreign Affairs “The unbreakable Muslim Brotherhood”, che ha decifrato la scalata al potere dei Fratelli musulmani. A colloquio con il Foglio Trager, che ha seguito le elezioni egiziane per la rivista New Republic, spiega che cosa è andato storto al Cairo, dove il blocco islamista, diviso fra i Fratelli musulmani e gli estremisti salafiti, ha sbancato alle urne. “La determinazione di quei giovani aveva alimentato l’ottimismo: la primavera araba è finalmente esplosa e il medio oriente non sarà più un’eccezione autocratica in un mondo democratico. La transizione politica seguita alla rivolta ha soffocato questo ottimismo. Nessuno si deve adesso meravigliare per la vittoria islamica, i Fratelli musulmani hanno mobilitato tutti e sono popolarissimi. La sorpresa semmai è rappresentata dai salafiti, la seconda forza nel paese, che prima non esistevano neppure come partito.
I salafiti hanno persino battuto la Fratellanza in alcuni distretti. Il blocco laico è molto distante e quindi l’Egitto, più che verso la democrazia, potrebbe dirigersi verso una forma di teocrazia”. Il partito egiziano Giustizia e libertà dei Fratelli musulmani ha vinto anche il ballottaggio svoltosi lunedì e martedì in tutto il paese. In 20 collegi ha battuto in un confronto diretto i rivali salafiti, con i quali c’è tensione e si scambiano reciproche accuse di brogli. A Luxor uomini dei due partiti si sono sparati, e nella parte vecchia della capitale è dovuto intervenire l’esercito a separarli. E’ di quarantadue pagine il manifesto politico dei Fratelli musulmani, sotto l’emblema del partito Giustizia e libertà. Sopra queste pagine ci sono ora gli occhi degli analisti di mezzo mondo, perché da lì si può capire la filosofia politica e l’ideologia che ispirerà l’azione della principale organizzazione politica del mondo arabo islamico. Il manifesto si apre con una invocazione contro “il vecchio regime tirannico” e auspica “la purga della corruzione”. Si dice che “il nostro programma si fonda sui grandi propositi della sharia (la legge islamica): libertà, giustizia, sviluppo e leadership”. La Fratellanza, mescolando un linguaggio marxisteggiante a uno religioso, spiega che i suoi principi si tradurranno in “giustizia sociale, amore per le classi oppresse, proibizione dell’usura, organizzazione dell’elemosina e integrazione della morale e dell’etica”.
Allarme fra le donne egiziane suscita la parte del manifesto che riguarda il genere femminile, laddove la Fratellanza scrive di nutrire “grande rispetto per il ruolo della donna come moglie, madre e procreatrice di essere umani”. In politica estera si auspica un rilancio della lotta per i palestinesi: “Affermeremo il diritto del popolo palestinese a liberare la loro terra dall’usurpatore sionista”. Sulla moralizzazione dei costumi e il rischio quindi di una islamizzazione, il testo è aperto a interpretazioni: “La cultura di una società riflette la sua morale. Incoraggeremo l’industria cinematografica, sia finanziariamente sia moralmente. Vogliamo un cinema pulito e libero dall’eccitazione sessuale e nel rispetto delle norme religiose. Applicheremo un ‘codice d’onore’ alla cultura e alla società”. Zeyno Baran è analista della Hoover Institution, scrive per Foreign Affairs e l’Herald Tribune. E’ autrice di un libro pubblicato a luglio sui Fratelli musulmani in occidente, “Citizen Islam: The Future of Muslim Integration in the West”. Anche lei aveva predetto una tornata elettorale tutta all’insegna del Corano. “Non sono sorpresa della vittoria assoluta degli islamisti alle elezioni egiziane”, dice Baran al Foglio.
“Per anni ho denunciato questa possibilità, l’islam politico è in ascesa ovunque, anche in Europa e negli Stati Uniti. Gli attivisti pro democrazia pensavano che i Fratelli musulmani avrebbero conquistato soltanto il venti per cento, al massimo il trenta. Hanno sottostimato la strategia islamista che è stata preparata con cura per decenni. Erano organizzati soltanto i gruppi islamici, dai Fratelli ai salafiti, che avevano un obiettivo chiaro, un messaggio e la capacità di completare la missione. Ovvero conquistare il potere per via democratica. Per loro il Corano non è una fonte di legge, è l’unica fonte. Non dobbiamo favorirli definendoli ‘moderati’. La Fratellanza ritiene necessario diffondere concetti islamici che rigettano la sottomissione e incitano alla lotta. A Gaza è avvenuto lo stesso. Gli islamisti vinceranno oggi ovunque ci saranno elezioni democratiche e dove gli oppositori laici sono divisi e non hanno una visione chiara del futuro dei propri paesi”. Zeyno Baran spiega così la natura ideologica dei Fratelli musulmani: “Sono una organizzazione globale che persegue la conquista del potere politico attraverso le urne e vuole usare questo potere per plasmare la società secondo le norme della sharia.
In origine, al pari dei baathisti e dei nasseristi, sono stati influenzati dal fascismo e dal nazismo. La loro struttura è segreta e in pubblico si fanno chiamare ‘Società Culturale’. Credono nell’islam come alternativa al sistema politico occidentale, mescolando valori democratici e mentalità totalitaria”. Baran invita a ricordare le origini del movimento. “Hassan al Banna fondò il gruppo per supplire alla caduta del califfato quattro anni prima. Un semplice insegnante, un ammiratore di Adolf Hitler e Benito Mussolini, proclamò che i musulmani dovevano tornare all’islam ‘puro’. I Fratelli portarono questo messaggio nell’istruzione, nella propaganda, nell’attivismo civico. Un altro Fratello, Sayyid Qutb, era disgustato dalla retorica della supremazia etnica, dalla corruzione e dalla repressione dei panarabisti e indicò un fine più elevato: la umma islamica”.
L’occidente deve sostenere i laici
Secondo Eric Trager, che scrive di islam per la rivista The Atlantic, la tattica dei Fratelli musulmani adesso è condividere il potere con altri partiti, “per non essere incolpati della crisi economica egiziana. Se i salafiti entreranno nella coalizione, sarà un Egitto teocratizzato. E’ presto per dire come la regione reagirà a queste elezioni, perché l’esercito mantiene ancora il potere. Il principale fattore del futuro egiziano sarà quindi il confronto fra militari e islamici. Tutti i leader della Fratellanza con cui ho parlato sono stati chiari: vogliono un paese in cui la sharia è la principale fonte della legge, fra cui banche senza interessi, punizioni corporali per i ladri, repressione dei gay, messa al bando dell’alcol e di ogni critica della sharia e del profeta Maometto. L’unica domanda è quanto ci metteranno, ma non dobbiamo farci illusioni sul pluralismo, il liberalismo o la moderazione. Non c’è la luce dietro la lampada del Ramadan che gli islamici hanno scelto come simbolo elettorale”. Trager avverte che anche Israele pagherà questa vittoria. “Un giovane Fratello mi ha spiegato il desiderio di morire da martire in Palestina: ‘Chi ama Dio desidera morire per il suo bene’”. Di scuola realista è David Schenker, a capo degli studi di arabistica del Washington Institute for Near East Policy e consulente del Pentagono. Come Trager, Chenker ci dice che “il dato maggiore di queste elezioni egiziane non è tanto il successo dei Fratelli musulmani, si sapeva che erano ben organizzati e che avevano una struttura impressionante. I cosiddetti liberali erano divisi e deboli, da qui la maggioranza islamica nel prossimo Parlamento. La vera sorpresa a mio avviso è la vittoria dei salafiti, il partito al Nour. Soltanto a paragone con loro i Fratelli musulmani possono essere definiti ‘moderati’. Non è chiaro se la Fratellanza dopo le elezioni in primavera si rifiuterà davvero di stringere un’alleanza con i salafiti, come ha promesso. Quel che vedremo è un confronto fra la Fratellanza, che ha il beneplacito popolare, e la giunta militare. Penso che i Fratelli musulmani per prima cosa, più che all’islam, penseranno all’economia. Ma il ruolo principale di questo Parlamento è la scrittura della prossima Costituzione, quindi si parlerà molto di islam e religione. Con 83 milioni di persone, l’Egitto è un paese strategico della regione. La vittoria dei Fratelli e dei salafiti avrà un impatto storico in tutto il medio oriente, rafforzando ovunque i partiti religiosi. Allo stesso tempo, piano piano, la Fratellanza cambierà le leggi del paese in chiave islamica. Se vai al Cairo, per non parlare delle campagne, vedi come il novanta per cento delle donne egiziane porta il velo. La Fratellanza ha usato la da’wa, la conversione e la predicazione, per cambiare la società egiziana. Costruiranno una società pia”.
Gli investimenti dall’estero
Daniel Pipes, analista neoconservatore, non è certo che dal confronto fra la Fratellanza e i militari i religiosi usciranno vincenti. “La giunta militare ha svuotato il regime di Mubarak mantenendone però la prassi feroce. Vuole promuovere gli islamisti per mantenere il potere. Le Forze armate resteranno al governo nel breve termine, poco quindi per adesso è cambiato in Egitto”. Secondo Baran, i paesi occidentali e gli Stati Uniti avrebbero potuto influenzare il voto egiziano, e potrebbero farlo ancora. “Il problema è che in Egitto la comunità internazionale non ha investito nei movimenti liberali e laici o in quelle idee. Non è troppo tardi, meglio farlo ora prima che l’intera regione sia invasa dalla marea islamista. I risultati delle elezioni egiziane mettono in pericolo le buone relazioni fra Egitto e Israele e sono una sfida alla pace e alla sicurezza regionale. Se i Fratelli musulmani prenderanno il potere assoluto in Egitto, stringeranno legami ancora più stretti con Hamas, la branca palestinese della Fratellanza. Il comportamento del futuro Egitto dipenderà molto da come reagirà la comunità internazionale. I paesi occidentali devono essere chiari: gli aiuti economici dipendono da come il prossimo governo tratterà le minoranze religiose, le donne e i non islamisti, i diritti umani e il trattato con Israele”.
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