Il veleno del multiculturalismo
di Bruce Bawer
(Traduzione di Anna Della Vida)
Bruce Bawer, While Europe Slept
Vorrei spiegarvi con un esempio perché il multiculturalismo è velenoso.
Io vivo in Norvegia. Qui, e ovunque in Europa, vivono moltissimi emigrati dal mondo musulmano che disprezzano i valori della società occidentale, rifiutano l’eguaglianza fra i sessi, seguono codici di comportamento primitivi e patriarcali e un concetto di “onore” che condanna a morte il prossimo (donne, soprattutto) per delle illegalità che né a me né a voi paiono neppure tali. Malgrado ciò risiedono in Norvegia, in alcuni casi ne hanno la cittadinanza, ottenuta con la dichiarazione di essere rifugiati ( per molti un falso palese, dimostrato dal fatto che vanno e vengono regolarmente nel paese di origine dal quale erano “fuggiti”), in altri casi l’ottengono sposandosi con norvegesi (quasi sempre parenti, all’unico scopo di ottenere la residenza).
Spesso arrivano migranti dal mondo musulmano che davvero sono in cerca di un rifugio, gente che sarebbe veramente in pericolo se dovesse essere rimandata indietro nei loro paesi, gente verso la quale i paesi occidentali dovrebbero sentire come un obbligo morale la concessione della residenza, gente la cui presenza si rivela senza dubbio positiva per il paese ospite, per il semplice motivo che questa gente apprezzerà la libertà più di quanto possiamo dire di noi stessi. In altre parole, sono quel tipo di immigranti che, generazioni dopo generazioni, hanno condiviso il sogno americano, ricordando a quelli di noi che hanno avuto antenati anche loro immigrati, quanto la libertà sia un bene prezioso.
Vi voglio raccontare di Azad, un gay iracheno, il quale, secondo un articolo pubblicato sul sito internet NRK (Norwegian National Broadcasting System), vive qui dal 2006 insieme al suo partner Odd Arne Henriksen. Non conosco nessuno dei due, sebbene al mio compagno, dopo aver visto la loro fotografia pubblicata accanto all’articolo, è sembrato di aver già visto Henriksen diverse volte, anche perchè Oslo è una città abbastanza piccola.
Per anni, Azad è vissuto in Norvegia senza aver mai creato problemi né essere stato mai un peso per lo Stato. Ma adesso, una ordinanza di un tribunale gli impone l’espulsione in Iraq. “Se ritorno laggiù – dice – la mia tribù mi ucciderà”. In effetti, il tribunale ha ammesso che se in Iraq Azad viene riconosciuto come gay , rischia “ esclusione, isolamento, e pene corporali” ( in realtà rischia molto di peggio). Eppure il tribunale ha stabilito che “Azad deve adattarsi alle norme socio-culturali del suo paese di origine”, come ha raccontato nell’articolo su NRK.
Lo voglio sottolineare: “ deve adattarsi alle norme socio-culturali del suo paese di origine “.
Dimenticatevi la parola libertà, dimenticatevi le norme socio-culturali norvegesi, dimenticatevi la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Nel prendere una decisione, che per Azad significa la differenza fra vita e morte, ciò che conta per un tribunale in Norvegia, un paese dell’Europa occidentale e membro della Nato, sono le “regole socio-culturali del paese di origine “, per quanto queste norme possano essere primitive e brutali. Azad non è l’unico caso. Negli ultimi due anni, la Norvegia ha respinto non meno di una cinquantina di rifugiati gay. Le cifre di altri paesi occidentali sono di poco migliori.
Nel caso della Norvegia, queste statistiche sono specialmente vergognose, perché questo è un paese che si presenta come estremamente gay-friendly. E’stato il secondo paese al mondo a riconoscere le relazioni fra persone dello stesso sesso. E’ stato poi il sesto ad accettare legalmente il matrimonio gay. Essere gay per un norvegese, significa avere uguali diritti e dignità di fronte allo Stato, che garantisce loro gli stessi diritti che garantisce a tutti, incluso il diritto al matrimonio.
Ma quando si tratta di qualcuno come Azad, che viene da un paese dove sicuramente può essere imprigionato e anche ucciso per il solo fatto di essere gay, allora niente più conta. In casi come questo, il rispetto dello Stato norvegese per gli individui scompare del tutto, adeguandosi al rispetto delle “culture differenti”. Una persona gay, alla quale è toccata la sorte di essere nata in una cultura islamica, non può aspettarsi dallo Stato norvegese nessuna rottura con quelle regole, neanche se quelle stesse regole lo condannano a morte.
Ci sono situazioni qui oggi ancora peggiori di quella che vi ho raccontato. Uno dei cinque milioni di norvegesi si chiama Mullah Krekar, è nato in Iraq, dove aveva fondato il gruppo terrorista Ansar al-Islam. E’ un personaggio violento, brutale, grande sostenitore di Osama Bin Laden e dell’attacco alle Twin Towers, ed è noto per aver praticato la tortura anche sui minori. Arrivò in Norvegia molti anni fa, presentandosi come un rifugiato politico. Oggi vive a Oslo, in una casa confortevole, con la moglie, che lavora in un ambulatorio, e i figli ricevono una buona educazione come usa in Norvegia. Riceve un cospicuo sussidio dal governo e si muove in totale libertà senza alcun controllo. Dall’Iraq ci sono stati molti tentativi per riaverlo, affinché venisse giudicato da un tribunale per i suoi molteplici crimini. Ma le autorità norvegesi hanno sempre rifiutato il rimpatrio basandosi sul fatto che poteva essere imprigionato e forse anche condannato.
In altre parole, le autorità norvegesi sono pronte a difendere – e lo fanno con zelo – ciò che loro definiscono “diritti e dignità individuali” di un terrorista, e non badano se questi “diritti” e questa “dignità” sono in conflitto con altre “norme” o “regole” culturali che così verrebbero offese. Ma se si tratta di Azad, allora tutto cambia.
Bruce Bawer è “Fellow Journalist” al Freedom Center e a “Informazione Corretta”. E’ autore di “Mentre l’Europa dormiva” e “Surrender” (non tradotti in italiano). Il suo nuovo libro “The New Quislings”, sullo sfruttamento operato dalla sinistra in Norvegia del massacro del 22 luglio, uscirà nel prossimo dicembre presso l’editore Harper Collins sotto forma di e-book