mercoledi` 27 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






 
Giorgia Greco
Libri & Recensioni
<< torna all'indice della rubrica
Rachel Lichtenstein, Iain Sinclair, La stanza di Rodinsky 05/12/2011

La stanza di Rodinsky   Rachel Lichtenstein, Iain Sinclair
Nutrimenti                                  Euro 19,50

Al centro di questo libro c'è un vuoto. O meglio, c'è una stanza piena di oggetti, lasciata abbandonata da qualcuno che un bel giorno è scappato e non è più tornato indietro. La stanza è a Londra, nel ghetto ebraico del quartiere di Spitalfields, al n. 19 di Princelet Street, in una soffitta sopra a una vecchia sinagoga. Il suo inquilino l'ha abbandonata un giorno del 1969. Quando è stata riaperta, nel 1980, si è scoperto che era appartenuta a un certo Rodinsky. Di lui rimanevano i vestiti appesi ancora nel guardaroba, coperti da un dito di polvere, una custodia per gli occhiali, pile di giornali accatastati vicino al caminetto, vecchi 78 giri, bottiglie vuote, volumi sparsi, dal Talmud allo studio dei geroglifici, una riproduzione dell' Angelus di Millet. Ma chi era l'ebreo Rodinsky? Forse era il custode della sinagoga, forse un erudito, forse un semplice barbone. In quella stessa stanza, qualche anno dopo, capita una giovane artista ebrea alla ricerca delle sue radici familiari. Rachel Lichtenstein vi entra e non saprà più distaccarsene. Da quel momento accumula tracce, insegue piste: la sua vita diventa la vita di Rodinsky. La stanza di Rodinsky (Nutrimenti, pagg. 430, euro 19,50) è un libro-cantiere. Leggiamo e ci sembra sempre di stare dietro le quinte, di muoverci tra gli attrezzi di lavoro, mai sulla scena. È un testo fatto di oggetti, scatoloni, fotografie. Tra le immagini, c'è un diagramma cabalistico rinvenuto nella camera abbandonata, c'è il signor Katz, proprietario di una bottega nel ghetto, c'è anche il padre di Rodinsky, che indossa un vestito nero molto elegante e ha un'aria seria e baffi neri pettinati. Non è un romanzo e non è un saggio classico, è un libro sfuggente, anzi imprendibile.È scritto a quattro mani, da Rachel Lichtenstein, di professione artista, in genere alle prese con installazioni, e Iain Sinclair, scrittore inglese che sull'onda sperimentale degli anni Settanta aveva prodotto testi all'incrocio tra narrativa, saggistica e poesia. La strana coppia dà vita a un volume ibrido, negli stili e anche negli intenti. Rachel Lichtenstein inseguendo un'ossessione cerca di riafferrare la sua memoria familiare: in quel quartiere, proprio doveva stava Rodinsky, avevano abitato anche i suoi nonni. Sinclair invece vaga per le strade di Spitalfields e più che informazioni concrete accumula depistaggi. L'installazione è precaria, a volte si avrebbe voglia di abbandonarla. Ma la fascinazione delle immagini, insegna Roland Barthes, è anche questa: le fotografie sono spettri che spariscono e ci lasciano a mani vuote.

Raffaella De Santis
R2 Cult - La Repubblica


Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT