Mentre le sanzioni annunciate sono prese dal macellaio di Damasco per quello che valgono, giustamente come 'condanne morali', quindi senza valenza politica, in Siria continuano i massacri. Un pezzo sul FOGLIO di oggi, 03/12/2011, a pag.1, che riprendiamo. Sempre dal Foglio, due analisi sull'Iran, di Pio Pompa la prima, sui rapporti Israele-Arabia Saudita in funzione anti-iraniana, la seconda annuncia l'uscita in Italia del libro " Il paradiso di Zahra", graphic novel contro il regime degli ayatollah.
Ecco gli articoli:
" Dissoluzione siriana "
Il Cairo. Mercoledì dalla Siria è arrivato su YouTube il video di un comandante che disertava dall’esercito di Bashar el Assad con tutto il suo battaglione e le armi al seguito. Soldati dietro a lui e tutt’attorno fin dove arrivava l’obiettivo della telecamera e volti scoperti come se non importasse più nascondersi perché tanto o si riesce o non ci sarà un dopo. E’ la defezione più grande da luglio, da quando ha cominciato a materializzarsi lo scenario più temuto dal regime, il progressivo e sempre più rapido dissolversi della lealtà dell’esercito. Gli ufficiali superiori sono alawiti ma la gran massa è formata da sunniti che ora stanno passando con i ribelli. E’ un fronte politicoreligioso che spacca il paese e va dalle reclute che cambiano fronte fino ai massimi livelli che disegnano già a parole la mappa di un nuovo medio oriente. Ieri da Parigi il leader del Consiglio dell’opposizione siriana, il professore universitario Burhan Ghalioun, ha parlato al Wall Street Journal come fosse già a Damasco: “Non ci sarà più la relazione speciale con l’Iran – teocrazia sciita – e rompere quella relazione speciale vuol dire rompere l’alleanza strategico militare con Iran, Hamas e Hezbollah. Quest’ultimo, Hezbollah, dopo la caduta del regime non sarà più lo stesso”. Ghalioun invoca anche un appoggio internazionale più robusto, inclusa l’imposizione di una “no fly zone”, la chiusura del cielo siriano agli aerei ed elicotteri del regime. Non ci sono dubbi che l’Arabia Saudita è felice di ascoltare l’anti iraniano Ghalioun parlare di una nuova Siria in mano ai sunniti. Ma i nomi della ventina di battaglioni ribelli di 110-200 combattenti che sono aiutati con programmi clandestini dai paesi arabi e dalla Turchia fanno correre un brivido lungo la schiena: Khalid ibn al Walid, Abu Ubaydah al Jarah, Muawiyah bin Abi Sufyan, i conquistatori più violenti dei primi secoli dell’islam. E corrono voci sui canali di comunicazione che le intelligence occidentali starebbero già aprendo ai disertori, per non lasciare agli sponsor di adesso il compito di guidare la successione che – come in Egitto e in Libia – sarà, quando e se arriverà, un problema.
Pio Pompa: "Così sauditi e israeliani collaborano contro l'Iran atomico "
Usa un tono pacato la fonte dell’intelligence saudita quando, in un italiano chiaro e scorrevole, racconta delle operazioni coperte eseguite in Iran per acquisire ogni prova possibile sul percorso di Teheran verso l’atomica. Svela, per la prima volta, l’esistenza di un piano esclusivo di collaborazione con il Mossad sul fronte comune del contrasto al nucleare militare di Teheran. Ha un moto di orgoglio quando vengono citati alcuni episodi di sabotaggio, fino ad accennare un sapiente sorriso nell’affrontare la vicenda delle esplosioni che hanno colpito il sito segreto di Isfahan, destinato all’arricchimento dell’uranio. “Abbiamo ormai la quasi certezza dell’avvenuto allestimento, da parte dell’Iran, di almeno tre testate atomiche. Il tempo è drammaticamente scaduto e non possiamo attendere oltre né Washington né il resto dell’occidente”. Di qui l’inedito connubio tra i servizi sauditi e israeliani, chiamati ora a una missione di straordinaria importanza contro la minaccia che incombe sull’intero popolo sunnita e lo stato d’Israele. “La sensazione, oggi, è che l’Arabia Saudita e Israele siano rimasti soli a fronteggiare la prospettiva del terrore nucleare iraniano. Un pericolo che si aggiunge a quello di matrice islamista che, proprio in questi giorni, sta rivedendo le proprie strategie sul versante della profonda crisi economica e finanziaria che attanaglia l’Europa e gli Stati Uniti e che allo stesso tempo è all’origine dell’attuale isolamento saudita e israeliano”. Questa crisi, aggravandosi sempre di più, rende di fatto insostenibile qualsiasi iniziativa militare nei confronti dell’Iran e della Siria, lasciando il medio oriente al suo destino. E’ per questo che Teheran segue con la massima attenzione le difficoltà dei paesi occidentali, attraversati da profonde fratture negli stessi assetti democratici. “Tuttavia – continua la nostra fonte – non sono soltanto il destino mediorientale o la sopravvivenza di Israele messi in discussione dalla potenza nucleare iraniana, bensì quello di milioni di sunniti pronti a scatenare un conflitto di enormi proporzioni nell’eventualità di una affermazione della potenza sciita iraniana”. E’ bene che di questo la comunità internazionale prenda velocemente coscienza. Altrimenti si darà ragione all’intera galassia fondamentalista, la stessa che sta emergendo come il vincitore della primavera araba. Un fondamentalisto secondo cui “l’11 settembre ha reso l’occidente quanto mai fragile, evidenziando le debolezze della sua democrazia, accelerandone il declino economico e finanziario”.
"Il 'Paradiso di Zahra' ci racconta l'inferno degli ayatollah"
Roma. In copertina si vede il braccio di una donna velata che inalbera un telefonino con una moschea sullo sfondo. Azar Nafisi, l’iraniana emigrata a Princeton e autrice di un fortunato bestseller, “Leggere Lolita a Teheran”, ne parla come una “storia strappacuore, non solo sulla tirannia, la perdita e il dolore, ma una celebrazione della volontà di vivere”. S’intitola “Zahra’s Paradise, i figli perduti dell’Iran”, un grido di protesta grafica contro il regime degli ayatollah e in difesa del popolo iraniano. Nominato come Best digital comic all’Eisner Award, l’oscar delle bandes dessinées, la nuova storia a fumetti è stata pubblicata da First Second Books, dal francese Casterman, e da Rizzoli Lizard per la versione italiana. Gli autori sono due iraniani della diaspora attivisti dei diritti umani, che per proteggersi hanno scelto uno pseudonimo, Amir & Khalil, assicurando così l’anonimato. Per mesi, prima di finire in un libro, le loro strisce sono apparse in rete su un blog frequentatissimo, www.zahrasparadise.com (90 mila visitatori al mese) ogni lunedì. Poi le nuove tavole realizzate in America venivano subito tradotte in arabo, farsi, olandese, coreano e varie altre lingue. Molti già paragonano “Zahra’s Paradise” a “Persepolis”, la fortunata graphic novel di Marjane Satrapi, che dieci anni fa raccontò la sua autobiografia per immagini e ne ottenne un besteller. In effetti, i due racconti a fumetti hanno in comune la stessa attenzione ai fatti, alle testimonianze reali raccolte in Iran per denunciare la situazione politica attuale. Il Paradiso di Zahra allude forse a Zahra Kazemi, la giornalista canadese-iraniana che si era messa a indagare sui missing people e per questo venne arrestata e bastonata a morte in un carcere iraniano nel 2003. Ma è anche il nome di un famoso cimitero sulla strada di Qom, a cinquanta chilometri da Teheran, il Beheshte Zahra, dove è sepolto Khomeini sotto una cupola sorretta da otto colonne, e dove sono finite molte delle vittime della Repubblica islamica, le cui tombe sono talmente numerose che per identificarle servono dei numeri. E infatti la graphic novel racconta una storia vera, vissuta da migliaia di persone durante le manifestazioni di protesta degli studenti di Teheran nel 2009. La storia di una madre iraniana che insieme all’altro figlio indaga sulla scomparsa di Mehdi, il figlio diciottenne svanito nel nulla dopo le manifestazioni scoppiate in seguito alle elezioni rubate del giugno di quello stesso anno. E’ un racconto tremendo in bianco e nero, che per duecento pagine inchioda il lettore alle follie della Repubblica islamica, a cominciare dalle macchie di sangue sull’asfalto in piazza della Libertà e dal venditore ambulante ragazzino che poco prima di fuggire dice di avere visto Mehdi inneggiare: “La nazione preferisce la morte all’ignominia”. Poi c’è il traffico di Teheran “come un naufragio di proporzioni bibliche, ma al rallentatore” sotto l’occhio degli ayatollah che incombono severi dall’alto di enormi gigantografie. C’è la vita quotidiana degli iraniani, il racconto dell’opposizione impossibile, l’insofferenza della popolazione verso il regime (“loro infrangono la legge, noi ne paghiamo il prezzo”) i tentativi di ribellarsi contro l’elezione di Ahmadinejad. Amir, che vive negli Stati Uniti ed è in contatto con amici e parenti rimasti in Iran, ha raccontato fatti vissuti in prima persona. Un episodio ispirato dalle accuse da parte del leader dell’opposizione Mehdi Karroubi secondo il quale i detenuti politici erano stati violentati durante il soggiorno in un centro di detenzione, ha persino dato origine a un’inchiesta giudiziaria. Ma il fumetto è anche pieno di irrisione nei confronti dell’esperto di traffico urbano diventato presidente, perché l’ironia per gli iraniani della diaspora è uno strumento di lotta, che serve a combattere la paura delle sanzioni, a irridere la flottiglia palestinese all’assalto di Gaza, e a gettare un fascio di luce sul buio piranesiano delle prigioni della Repubblica islamica.
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