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Il Foglio Rassegna Stampa
03.12.2011 Anp & Hamas, la differenza sta nei mezzi non nel fine
Non ci sono americani a Ramallah

Testata: Il Foglio
Data: 03 dicembre 2011
Pagina: 3
Autore: Editoriale del Foglio
Titolo: «Un americano a Ramallah»

Non finirema mai di stupirci dello stupore con il quale vengono accolti i cosidetti 'cambiamenti' che riguardano i palestinesi, che si chiamino Anp o Hamas. Anche il FOGLIO, che pure è il giornale con l'informazione mediorientale abitualmente accurata, pubblica oggi, 03/12/2011, a pag.3, un editoriale, dal titolo "Un americano a Ramallah" nel quale si continua  a dare della dirigenza Anp un'immagine che non corrisponde alla realtà. Se realmente Abu Mazen, e con lui Salam Fayyad, rappresentassero l'opzione giusta verso la fine del conflitto con Israele, non si capisce allora perchè l'accordo non sia ancora stato raggiunto. E la responsabilità del mancato raggiungimento ha un solo nome: Anp. Certo Fayyad ha dato impulto all'economia palestinese, con la collaborazione israeliana, ma la pace si fa ai tavoli della politica, sempre disertati dall'Anp. Che si preoccupa di fare la guerra a Israele con nuovi mezzi, si chiamino Unesco o Assemblea Generale dell'Onu, conditi da dichiarazioni infiammanti che di poco differiscono da quelli di Hamas. 
Ecco l'editoriale:

l'esercito e i leader

Non sarò primo ministro”. L’annuncio di Salam Fayyad, attuale premier dell’Anp, non è una buona notizia per il processo di pace tra Israele e palestinesi. La fuoriuscita di Fayyad, un tecnico amato dalle cancellerie europee e da Washington, è stata richiesta espressamente da Hamas: “Niente governo di unità nazionale se resta Fayyad”. Assieme a Fayyad anche Abu Mazen potrebbe presto uscire di scena: il suo mandato è scaduto tre anni fa, e lui ha spesso detto che non si candiderà più. Se davvero si andrà a elezioni nel maggio del prossimo anno – come hanno deciso al Cairo lo stesso Abu Mazen e il leader di Hamas Khaled Meshaal (prima in esilio a Damasco, ma oggi ha trovato di nuovo casa in Egitto) – potrebbe finire la fase del dialogo al posto della violenza portata avanti faticosamente in questi anni da Fayyad e Abu Mazen contro Hamas. Resta la possibilità che Fayyad sia recuperato in extremis, perché Washington senza di lui avrebbe un partner in meno nel turbinio mediorientale. Ma per adesso il premier uscente si è alienato anche il favore di Fatah, partito del rais palestinese, che non gli perdona le purghe contro migliaia di suoi funzionari corrotti o superflui. Gli islamisti non hanno mai accettato il “fayyadismo”, l’idea cioè che per fondare lo stato palestinese si debba rinunciare alla guerra con Israele e lavorare dal basso, con l’economia e il welfare. A Ramallah, dove un tempo i carri armati israeliani assediavano il palazzo di Yasser Arafat, spuntano oggi alberghi, ristoranti e centri commerciali. Fayyad ha saputo dare la “pace economica” alla Cisgiordania perché non ha il curriculum del militante palestinese, non ha tentazioni terroristiche, non ha fatto la carriera nelle carceri israeliane e non è stato in esilio con Arafat. Il termine denigratorio più frequentemente accostato a Fayyad è “collaborazionista”. E come ha detto uno dei leader di Hamas, Mushir al Masri, “il giorno in cui i palestinesi butteranno fuori Fayyad è vicino, il popolo palestinese non accetterà di essere governato da uomini dell’America”. Non è un bel segnale il fatto che il giorno dell’estromissione della leadership filoccidentale sia arrivato nel momento in cui al sud, in Egitto, si profila un governo decisamente filo-Hamas.

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