Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 01/12/2011, a pag. 48, l'articolo di Bernard-Henri Lévy dal titolo " Pace (possibile) tra Israele e Palestina. Ripartiamo dagli accordi di Ginevra ".



Neville Chamberlain, Bernard-Henri Lévy, Winston Churchill
Bernard-Henri Lévy è spesso un genio nel friggere l'aria. Lo testimonia questa sua analisi, nella quale immagina un mondo che non c'è.
I problemi non si risolvono a tavolino, ma guardando in faccia la realtà, come faceva Winston Churchill. E come non faceva Neville Chamberlain.
A quest'ultimo si ispira, evidentemente, Bernard-Henri Lévy.
Ecco il pezzo:
G inevra, è da qui che, otto anni fa, fu lanciato il famoso Piano di Ginevra elaborato e firmato, con l'appoggio di svizzeri e francesi, da personalità delle società civili palestinese e israeliana. Ed è qui che, nella stessa università, forse di fronte alle stesse persone, si sono ritrovati il 22 novembre i principali protagonisti dell'epoca, che il congelamento di ogni negoziato sembra non aver cambiato. Discorso della presidente della Confederazione elvetica, Micheline Calmy-Rey, che dice perché ha voluto, poche settimane prima di ritirarsi dal governo, questa serata di commemorazione e di rilancio del Piano.
Intervento di Yossi Beilin, promotore israeliano dell'iniziativa, che spiega ancora una volta come non esistano altre scelte per tirarsi fuori dalla pericolosa spirale del fanatismo e dell'odio, se non quella di accettare, da un lato come dall'altro, il doloroso sacrificio di una parte del proprio sogno.
Intervento di sostegno del rabbino Yitzhak Vaknin, responsabile del partito religioso Shas e vice-presidente della Knesset: la sola alternativa alla pace — ricorda — sarebbe la trasformazione di Israele in uno Stato binazionale che rinunciasse, quindi, al carattere ebraico che è al centro del suo progetto.
Discorso infervorato di Yasser Abed Rabbo, il partner palestinese di Beilin, quando risponde a una studentessa che gli rimprovera di aver abbandonato il «diritto al ritorno» dei profughi del 1948, dei loro figli, dei loro nipoti, e di aver così svenduto i sacrosanti interessi del proprio popolo: «È il contrario! — esclama —, è esattamente il contrario! La rinuncia a un diritto irrealistico era, e rimane, l'unico modo di evitare una nuova Nakba, in altri termini una nuova catastrofe!».
Quanto a me, cerco di definire diversi modi di agire, e non solo di commemorare, ma di continuare, arricchire, se non portare a termine, un giorno, la bella iniziativa del 2003.
Quando si è fatto quel che voi avete fatto, dico in sostanza a Beilin e a Rabbo, quando si è all'origine di un coraggio e di un genio politico tali, quando si è autori di un piano, l'unico mai concepito prima, che attesta come la coesistenza fra i due popoli sia, più che auspicabile, possibile; insomma, quando si ha fra le mani l'idea di un accordo di cui è stato delineato il minimo dettaglio, ci sono tre maniere di agire.
C'è la via kantiana o, forse, profetica: un'Idea, sì; una grande e magnifica idea che domini dall'alto i confusi e incerti tentativi di darle uno sbocco; un riferimento; un'unità di misura; un'idea che funga da statua, o una statua del Commendatore che presiede alle idee, che permetta di giudicare, di misurare, ho quasi voglia di dire valutare, gli sforzi dei politici, i loro tentennamenti più o meno sinceri, le loro approssimazioni.
C'è la via apostolica o, se si preferisce, democratica: far uscire l'idea dal suo mausoleo; propagarla; diffonderla; voler far conoscere al maggior numero di persone, in Israele, in Palestina, nel mondo, un progetto in cui non un tratto di deserto, non un boschetto di ulivi, non un sasso, non siano stati aspramente negoziati. Obbligare quest'idea, in altri termini, a scendere dal cielo sulla terra e convertire a essa, nella durata, un numero crescente di uomini e donne di buona volontà.
C'è poi la via che voi, amici autori del Piano, prendereste, se sceglieste di mettervi in mano ai re, cioè nel ruolo di coloro che la storia delle idee chiama sansimoniani: alla ricerca del re dell'Idea; alla ricerca di colui che se ne farà il portavoce più illuminato; affidandogliela; lasciandogliela in eredità, in consegna; contando su di lui per incarnarla e, incarnandola, farla entrare, un giorno, nella lettera di un trattato.
È necessario precisare che opto per la sintesi delle tre opzioni, e che tale sintesi ho raccomandato quel giorno?
Opzione numero 1: altre riunioni come questa, dove ci si accontenterà (ma sarà già molto, soprattutto se si terranno a Tel Aviv o a Ramallah) di mantenere viva la fiamma.
Opzione numero 2: portare la buona parola in incontri faccia a faccia, ma anche attraverso i media, i social network, Internet (tutti strumenti di diffusione di cui si è vista, all'inizio delle rivoluzioni arabe, la prodigiosa efficacia) per aiutare il buon vento di una primavera della Pace ad alzarsi.
Infine, soluzione numero 3: cercare, convincere e, forse, decidere il Gedeone, il Saul, il nuovo Sadat o il nuovo Begin, il responsabile americano, europeo, arabo, o dell'Onu, capace di adottare l'idea (e, adottandola, appropriandosela) di farla un giorno trionfare.
Bisogna tentare tutto. Perché è all'incrocio di queste tre vie che, fedeli allo spirito di Ginevra, abbiamo appuntamento con la pace.
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