Vivere in Israele è come vivere sotto a un vulcano Amos Oz intervistato da Sivan Kotler
Testata: Il Foglio Data: 30 novembre 2011 Pagina: 1 Autore: Siva Kotler Titolo: «Amos Oz e la vita sotto il vulcano»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 30/11/2011, in prima pagina, l'intervista di Sivan Kotler ad Amos Oz dal titolo " Amos Oz e la vita sotto il vulcano ".
Amos Oz
Roma. Mentre le stagioni cambiano in medio oriente, in Israele si respira un’aria autunnale. “Stiamo vivendo una realtà fatta di incertezze – conferma lo scrittore Amos Oz – e viviamo sotto una minaccia islamica concreta e costante, considerando che ci sono milioni di persone che vorrebbero assistere alla distruzione dello stato d’Israele”, conclude riferendosi all’Iran. La vita vissuta sotto minaccia è l’argomento delle tre storie che compongono “Il monte del cattivo consiglio”, scritto nel 1976 e ora pubblicato in Italia da Feltrinelli. Quel monte è il luogo dove, secondo la tradizione, fu ordito il complotto per uccidere Gesù e dove Abramo si fermò prima di consegnare il figlio Isacco nelle mani divine. Un luogo visto come “la linea della realtà”, oltre la quale il confine tra verità e immaginazione è “tutto da interpretare”. Ma quella linea, sostiene Oz, in realtà non esiste. Persone trasformate in personaggi, impegnate nella delicata missione chiamata vita, sognano, temono e amano, chi per scelta chi “per umiliazione”. “Negli anni in cui Israele era solo un sogno – dice lo scrittore – la gente credeva di vivere tra due Olocausti, quello passato e quello che si temeva sarebbe avvenuto dopo la partenza degli inglesi dal paese”. Ora le regole della giungla dentro la quale si trova “la villa” Israele, per usare una definizione cara al ministro della Difesa Ehud Barak, sono cambiate. Un nuovo medio oriente, probabilmente lontano da quello sognato da Yitzhak Rabin, si è trasformato in pochissimo tempo in un’incognita prevista e compresa da pochi. La caduta dell’influenza degli Stati Uniti e il peggioramento dei rapporti con la Turchia non hanno contribuito a migliorare lo stato d’animo nazionale di un paese impegnato, come mai prima, anche ad affrontare una protesta sociale di carattere economico, con un occhio rivolto all’Iran e l’altro alla vicina Gaza, prossima probabile sede del governo palestinese. “Viviamo in una situazione di incertezza che non riguarda solo noi ma l’intera regione, anche se la quotidianità appare quella di sempre. Come le persone che vivono sotto un vulcano e conducono una vita normale, si domandano come pagare meno tasse, commettono adulterio con la moglie del vicino di casa e presentano la propria candidatura alle elezioni comunali. La vita va avanti anche all’ombra di una grande minaccia”. Ora come allora, e “anche se nulla è più come prima e tutto è cambiato” dice Oz. Nella sua raccolta che lui stesso definisce “cechoviana”, nonostante l’evidente influenza di Kafka, Amos Oz descrive una società traumatizzata, afflitta da una “nostalgia insopportabile”, il cuore ancorato al passato e gli occhi che guardano con inquietudine al futuro. “La nostalgia oggi è ancora presente – dice lo scrittore – non per quell’epoca, piuttosto per le nostalgie che nutrivamo in quell’epoca. L’unica cosa che forse non è cambiata – aggiunge dopo una breve pausa – è che lo stato d’Israele è rimasto un campo profughi”. Oz vive nel cuore del deserto, circondato dalle pietre e dalle sue amate montagne, lontano dal computer, dal cellulare e, se possibile, anche dai giornalisti. Gli capita di essere preso per il benzinaio o per lo scrittore A. B. Yehoshua. C’è chi, quando Oz dice di non essere Yehoshua, addirittura insiste: “Ma sei sicuro?”. Nel mondo della letteratura, definito da Oz come la versione sobria dell’appariscente cugino, il pettegolezzo, lo scrittore distingue i lettori in buoni e cattivi; i primi sono quelli che esplorano lo spazio tra se stessi e il libro senza cercare allegorie della politica e della realtà. “Il monte del cattivo consiglio” narra “storie di persone che vivono la loro vita quotidiana in un contesto di cataclismi storici; esiste la compassione in questo stato, esiste l’amore. La politica riempie la vita dei personaggi che continuano a vivere amore, odio, solitudine. Non sono individui felici – conclude – ma io non scrivo di persone felici. Non hanno bisogno di qualcuno che scriva di loro”. L’autrice è corrispondente in Italia del quotidiano israeliano Haaretz
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