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Il Foglio Rassegna Stampa
30.11.2011 Le mani di Arabia Saudita e Qatar sull'Egitto
Cronaca di Daniele Raineri

Testata: Il Foglio
Data: 30 novembre 2011
Pagina: 3
Autore: Daniele Raineri
Titolo: «Ecco i soldi stranieri che arrivano in Egitto, dai salafiti ai soldati»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 30/11/2011, a pag. 3, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " Ecco i soldi stranieri che arrivano in Egitto, dai salafiti ai soldati ".


Daniele Raineri, piazza Tahrir,              Re  Abdullah, Arabia Saudita

Il Cairo, dal nostro inviato. Gli investitori stranieri sono in fuga dal paese, ma gli investimenti di denaro nella politica dell’Egitto sono forti in questo periodo post rivoluzione. A luglio ci sono state proteste furiose davanti all’ambasciata dell’Arabia Saudita dopo che era circolata la notizia di grandi finanziamenti da parte del regno ai partiti salafiti, in vista delle elezioni parlamentari che sono partite lunedì. Il rumor diceva quattro milioni di dollari, che non sembra una cifra importante, ma che i salafiti avrebbero investito con profitto nella loro rete assistenziale low cost: in Egitto, grazie al cambio, con un dollaro puoi comprare un pasto, con i soldi sauditi si può puntare a spostare l’equilibrio elettorale in più di un governatorato.
L’ambasciatore saudita, Ahmad al Qattan, ha negato il finanziamento e lo hanno fatto anche i gruppi salafiti, ma la loro smentita è stata peggiore della notizia: “Non abbiamo ricevuto fondi dall’Arabia Saudita, ma da Qatar, Emirati arabi uniti e Kuwait”. A tutti appare abbastanza ovvio che un canale di finanziamento che parte dai sauditi e arriva ai salafiti egiziani sia una delle ragioni della loro prova di forza al loro debutto politico durante queste elezioni: sono ben organizzati, Hizb al Nour – il Partito della luce – ha manodopera in divisa gialla che va a prendere e porta ai seggi gli elettori. La dozzina di emittenti televisive salafite che trasmettono dall’Egitto sono finanziate con soldi sauditi. E venerdì 29 luglio, quando gli islamisti egiziani hanno riempito piazza Tahrir, sventolavano – tra lo sbigottimento dei passanti – anche bandiere saudite. Che i regni sunniti del Golfo partecipino alla gara elettorale nell’unico modo che conoscono, passando denaro ai salafiti, non è una sorpresa.
Il Qatar soprattutto, che tanto si spende per guidare le rivoluzioni arabe nella direzione più conveniente ai propri interessi, è già legato agli islamisti libici e verosimilmente concede udienza e favori anche a quelli egiziani. Anche se non esistono dati disponibili, è possibile che anche la Fratellanza musulmana goda di finanziamenti dall’Arabia Saudita, e sicuramente ne gode grazie ai privati. Gli Stati Uniti non finanziano i partiti politici, ma i gruppi che difendono i diritti civili. L’ambasciatore Anne Patterson, a differenza di quello saudita, a giugno ha dichiarato in pubblico che Washington quest’anno ha speso 40 milioni di dollari per appoggiare la società civile e che 600 organizzazioni hanno fatto richiesta per ricevere fondi. La dichiarazione ha scatenato dibattiti furiosi sull’influenza degli stranieri sull’Egitto, ovvero su un paese dove dalla caduta di Hosni Mubarak in poi la diffidenza contro gli stranieri ha preso i contorni psichiatrici di una mania di persecuzione collettiva: chiunque parli un’altra lingua è guardato con sospetto. In televisione Essam al Nizami, che pure appartiene ai giovani della rivoluzione, più aperti e laici, ha elencato con sdegno le singole voci del sostegno americano ai gruppi civili, “provano l’infiltrazione americana, perché non esistono pasti gratis”. E’ toccato rispondere ad Ayman Okeil, presidente di una fondazione per la pace, lo sviluppo e i diritti umani: “In Egitto non esistono fonti alternative di finanziamento. Quando abbiamo monitorato le elezioni scoprendo i brogli, lo stavamo facendo grazie ai soldi americani”. Emad Mubarak, direttore dell’Associazione per la libertà di pensiero ed espressione, dice che i gruppi per i diritti umani hanno un bisogno naturale di manodopera e di risorse e non c’è altra strada che quella di accettare i fondi che arrivano da fuori.
L’Amministrazione americana nel 2008 ha fatto un mezzo disastro con i finanziamenti per la democrazia e i programmi di governo in Egitto, passando dai 50 milioni di dollari dell’Amministrazione precedente a meno della metà, 20 milioni di dollari. I fondi per le organizzazioni non governative passarono da 32 a soli sette milioni di dollari. L’Amministrazione precedente aveva ridotto in generale gli aiuti all’Egitto, ma aveva mantenuto costanti quelli per i gruppi dei diritti civili. Obama riequilibrò la situazione per non sembrare troppo ostile al potere di Mubarak e, peggio ancora, restrinse la lista dei gruppi che avevano diritto a ricevere il denaro del contribuente americano soltanto a quelli approvati dal governo egiziano – che due anni dopo sarebbe scomparso per la rivoluzione. Il governo americano ha appena dato 100 mila dollari a piazza Tahrir, come fondo per i feriti e le vittime. Ma è imbarazzato da un documento del dipartimento di stato del 2009, in piena era Mubarak, che autorizza la vendita di lacrimogeni e di equipaggiamenti antisommossa da parte di imprese americane all’Egitto per 500 mila dollari.

Il governo finanziato da fuori

C’è anche l’altro binario dei finanziamenti stranieri, quelli che arrivano non a gruppi o partiti ma direttamente al governo del Cairo. La situazione economica è disastrosa e, dalla rivoluzione in poi, l’Egitto ha ricevuto circa un miliardo di dollari dai paesi del Golfo per riempire i buchi nel bilancio – l’esercito riceve più o meno la stessa somma da parte degli Stati Uniti. Ora il paese avrà altri 200 milioni di dollari dal Fondo monetario arabo, un fondo comune con base ad Abu Dhabi, e una seconda tranche da 270 milioni arriverà a dicembre. Il governo egiziano aveva rispedito al mittente l’offerta di aiuto arrivata a giugno dal Fondo monetario internazionale, temendo in futuro troppe interferenze nella propria politica economica. Ma adesso ha riconsiderato la proposta: vanno bene anche i soldi del Fmi. A ottobre il Qatar ha promesso ai generali al governo un investimento risolutivo di dieci miliardi di dollari in Egitto. Non è possibile sapere chi prevarrà alle elezioni, ma chiunque sia non potrà sottrarsi a questa protezione dall’esterno.

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