IC7 - Il commento di Riccardo Pacifici Dal 20/11/2011 al 26/11/2011
Testata: Informazione Corretta Data: 28 novembre 2011 Pagina: 1 Autore: Riccardo Pacifici Titolo: «Il commento di Riccardo Pacifici»
Il commento di Riccardo Pacifici
Riccardo Pacifi, presidente della Comunità Ebraica di Roma
Ho pensato più volte in questa settimana, su cosa intervenire. Ci sono dibattiti interni alle Comunità sulla nostra identità e rapporto con Israele. Nonostante si affacci ogni giorno di più la minaccia nucleare iraniana, prevale quasi con autolesionismo masochista ancora la posizione di distinguo dentro il popolo ebraico, incosciente delle reali priorità. Un altro tema era quello legato al cambio di Governo con l'ingresso del nuovo esecutivo di unità nazionale del neo premier Mario Monti e l'ansia, scongiurata, che il dicastero degli esteri sarebbe potuto essere guidato da personalità con posizioni dell'Italia filo araba del pre Berlusconi. Fortunatamente la nomina dell'ambasciatore Terzi, amico di sempre, a cui facciamo i nostri sinceri auguri ci ha fatto tirare un sospiro di sollievo. La crisi economica che attanaglia non solo l'Italia, ma l'Europa tutta, dovrebbe imporre alle Comunità Ebraiche (non solo italiane) un'attenta riflessione sui rischi che si corrono per il riaccendersi di focolai xenofobi, lì dove svariate forze politiche già hanno in molti Paesi dell'UE punti percentuali che possono solo aumentare con il peggiorare della crisi. Nello stesso tempo registriamo, almeno a Roma , una forte incremento delle Alyot (emigrazione in Israele) di intere famiglie. Un fatto questo che in una Comunità ebraica secolarizzata farebbe allarmare chiunque sedesse sulla mia "poltrona" per il rischio serio di diminuzione demografica, mentre io personalmente la vivo come un grande successo dell'impegno sionista e per Israele che da anni proviamo a trasmettere. Alyot che sono segnate in parte dalla crisi economica e dall'impoverimento di molte famiglie, ma in molti altri casi della presa di coscienza - finalmente - che Israele non è più Terra di rifugio dai pogrom o persecuzioni, bensì luogo dove trovare una speranza di rinascita economica (il PIL cresce del 7% nel 2011) e vedere garantita la propria continuità ebraica, lì dove inesorabilmente il rischio assimilazione, vede molte Comunità ebraiche in Italia avere numeri così esigui di iscritti da non poter garantire i più essenziali servizi. Si potrebbe anche parlare del dibattito, sterile e inutile, del ruolo dei Rabbini riformati, che possono minare l'identità delle nostre piccole comunità. Mentre di fatto tale esperienza è seppellita già prima di nascere se si leggono i numeri esigui degli aderenti, a fronte per esempio a Roma di una rinascita e risveglio ebraico con, non solo apertura di nuovi luoghi di preghiera, ma come luoghi d'inteso studio dei testi sacri che ci fa gridare al miracolo. Invece voglio condividere, questa volta con voi lettori, l'emozione che sto provando da alcuni giorni, per l'incontro così atteso e sperato per anni, con Gilad Shalit. Il 12 dicembre mattina sarò a casa sua, ricevuto dai genitori Noam e Aviva, e sarò con il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il cui impegno costante e sincero a nome di tutta la città di Roma per la sua liberazione, gli ha fatto avere il privilegio di poter visitare Gilad quale primo politico fuori da Israele. Un privilegio che consentirà al presidente della più grande comunità ebraica d'Italia, ma tra le più piccole del mondo, di vivere l'emozione di poterlo abbracciare e consegnare nella sue mani il braccialetto di stoffa gialla che per tre lunghi anni ho portato al polso per " non dimenticarmi della sua prigionia". Porterò l'abbraccio e l'emozione di ognuno dei 15 mila ebrei romani che dalle pagine di facebook ogni sera gli davano la buona notte e le "madri d'Israele" il venerdì sera accendevano le candele dello shabbat pregando per la sua liberazione. Quelle preghiere sono arrivate a destinazione. I suoi genitori ci aspetteranno a Mizpè Hilà con la voglia di farci passeggiare nelle stradine di questa piccola cittadina ai confini con il Libano nell'alta Galilea. Un gesto di orgoglio e di voglia di condividere con la delegazione romana, la vita di tutti i giorni di una famiglia qualunque israeliana. Un gesto semplice ma altamente significativo. Israele, così come la famiglia Shalit, è consapevole che liberato Gilad, curate le sue ferite, lasciate marcire dalle belve di Hamas in questi 5 anni di prigionia. Sopratutto curato l'equilibrio psichico di un giovane ragazzo strappato dai suoi affetti e dal mondo intero per 5 lunghi anni, lo attenderà, come per ogni israeliano la "normalità", ovvero dover combattere ancora per la propria sopravvivenza. Il nemico, Hezbollah è li a pochi chilometri di distanza. Se qualcuno si è dimenticato cosa accadde in quelle cittadine del nord d'Israele nel 1982 alla vigilia della guerra "Pace in Galilea". Se qualcuno ha dimenticato la guerra del 2006, significa che ha dimenticato di interi paesi costretti a vivere sotto terra per mesi e mesi in attesa di nuovi missili. La mia angoscia è questa e se come ci spiegò il sindaco di Sderot, questo è un trauma che i bambini d'Israele si porteranno per tutta la vita, non oso immaginare cosa potrà significare per Gilad Shalit tornare, mai sia, in un bunker, dopo i suoi cinque anni vissuti sotto terra. Ma ora credo sia giusto godersi la libertà e per noi da Roma l'onore ed il privilegio di conoscere finalmente un eroe d'Israele. Spero del futuro Premio Nobel per la Pace.